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RISPOSTA COMUNE A KHAMENEI

L’imminente summit del G8 all’Aquila offre l’occasione di assumere una posizione comune nei confronti dell’Iran

Maurizio Molinari, La Stampa, 29 giugno 2009,

Il sequestro di otto dipendenti iraniani dell'ambasciata britannica, le accuse di interferenza rivolte da Mahmud Ahmadinejad a Barack Obama, l'appello dell'ayatollah Ahmed Khatami a «giustiziare i rivoltosi» e la repressione asimmetrica dei manifestanti da parte dei miliziani islamici suggeriscono che è iniziato il secondo atto del «golpe di Ali Khamenei», come l'iranista Mehdi Khalaji del Washington Institute ha definito l'esito ufficiale del voto presidenziale iraniano.

Se il primo atto ha visto Khamenei, Leader Supremo della rivoluzione, assegnare a Ahmadinejad la vittoria presidenziale prima di ultimare il conteggio delle schede, respingere la richiesta dello sfidante Mir Hossein Mousavi di rivotare e mobilitare le forze del ministero dell'intelligence e dei basiji per impedire ai manifestanti di insediarsi in una o più piazze della capitale come riuscì agli studenti cinesi a Tienanmen, il risultato è una stabilità assai precaria. Da qui la necessità di un secondo atto con il quale Khamenei punta a chiudere la crisi liquidando ogni opposizione. La parte militare avviene nelle strade di Teheran dove i cecchini dei pasdaran sparano dai tetti e i basiji in tuta nera aggrediscono i manifestanti picchiandoli con i manganelli.

Non c'è uno scontro unico, palese, non ci sono blindati o tank ma una galassia di episodi di microrepressione che, accompagnati da arresti notturni e detenzioni segrete, dimostrano come sia possibile adoperare le tecniche della guerriglia asimmetrica contro la popolazione civile, al fine di terrorizzarla. Per Bruce Reidel, consigliere di Obama sull'intelligence, questa miscela di intimidazione e violenza può portare a uno «scenario fumoso» dove le proteste finiscono ma il regime resta vulnerabile alle liti intestine. È per questo che venerdì il Leader Supremo ha affidato a Ahmed Khatami, fra i capi islamici più oltranzisti, il discorso in cui chiede la pena di morte per i responsabili dei disordini: la minaccia punta ad accomunare i manifestanti pro Mousavi con gli esponenti del clero conservatore khomeinista che li sostegnono. E per questo Hashemi Rafsanjani, ex presidente e khomeinista della prima ora, si è affrettato a chiedere di «superare le divisioni fra noi»: sente arrivare il pericolo di un'epurazione interna della quale potrebbe essere la prima vittima per l'appoggio che ha finora dato a Mousavi. Tanto la repressione della piazza composta dai giovani riformisti, quanto l'azzeramento dalla nomeklatura inaffidabile hanno bisogno di un forte collante ideologico, e Khamenei lo ha facilmente trovato additando all'odio collettivo l'esistenza di presunti complotti stranieri. Per questo Ahmadinejad ha denunciato le «interferenze» dell'America di Obama, della Gran Bretagna e del «regime sionista» e, neanche 24 ore dopo, i miliziani islamici le hanno avvalorate arrestando otto dipendenti civili dell'ambasciata britannica accusandoli di essere spie.

Il secondo atto di Khamenei sarà completo quando i servizi di intelligence, che rispondono alle direttive del figlio Mojtaba, renderanno pubblici i nomi di coloro che hanno partecipato ai presunti «complotti», dando il via all'eliminazione degli avversari. Il fine è di trasformare la sconfitta dell'onda verde di Teheran nell'occasione per blindare la Repubblica Islamica, anche al prezzo di trasformarla in un regime autoritario. «Ma è un grave errore pensare di poter tornare indietro - osserva Suzanne Maloney, coautrice del rapporto della Brookings Institution sul dopo-proteste - perché nulla sarà più come prima dopo quanto è avvenuto». Nasce qui la necessità per gli Stati Uniti e l'Europa di ridisegnare l'approccio all'Iran frutto del «golpe di Khamenei». L'imminente summit del G8 all'Aquila offre l'occasione di assumere una posizione comune con la Russia, che alla riunione ministeriale di Trieste ha già fatto capire di voler essere prudente. Ciò che è in ballo è la scelta che il Gruppo di contatto sull'Iran (composto da Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) dovrà fare circa il riprendere o no il negoziato con l'Iran sul congelamento del programma nucleare. Quanto detto ieri al talk show della Nbc Meet the Press da David Axelrod, consigliere di Obama, su «Khamenei responsabile della politica estera», lascia intendere che Washington pensi di ricominciare la trattativa, mentre la dura condanna della repressione da parte di Nicolas Sarkozy suggerisce che Parigi sia di differente opinione.

Quale che sia l'esito del confronto in atto tra le maggiori potenze, ciò che conta è riuscire a dare in fretta una forte risposta comune alla svolta di Khamenei. Anche perché lo scenario di un Leader Supremo onnipotente dotato di armi nucleari sta mandando in ebollizione il Medio Oriente: la stampa saudita gli rovescia contro accuse infuocate, mentre l'aviazione di Gerusalemme avrebbe confezionato una nuova versione del raid aereo, per il quale basterebbero appena otto jet.


Data: 2009-06-29







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