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OBAMA E L'OMBRA LUNGA DEL '68
In South Carolina gioca in casa, ma deve vincere



La fase cruciale delle elezioni primarie si sta avvicinando a grandi passi. Nella notte italiana tra sabato e domenica i candidati democratici si confronteranno in South Carolina, dove Barack Obama, forte del radicamento territoriale dell'elettorato nero, conduce ampiamente nei sondaggi su Hillary Clinton.
Una vittoria del senatore dell'Illinois sposterebbe ben poco gli equilibri, rinviando lo scontro finale (o quasi) con l'ex first lady ed il suo presenzialista marito al Super Tuesday. Se invece la Clinton ripetesse l'impresa del New Hampshire, dove ribaltò nettamente le previsioni dei sondaggi a lei sfavorevoli, il vantaggio psicologico e politico che ricaverebbe dall'impresa potrebbe lanciarla decisamente verso la nomination. In questo caso però, proprio per la consistenza dell'elettorato di colore, il cosiddetto “effetto Bradley” evocato in New Hampshire, anche se dovesse verificarsi, conterebbe meno. L'effetto Bradley teorizza la tendenza dell'elettorato bianco a dichiararsi indeciso o favorevole ad un candidato di colore, salvo poi votarne uno bianco. Jesse Jackson, candidato nero alla nomination democratica nel 1984 e nel 1988, ne sa qualcosa. Quanto questo fattore possa contare nel caso di Obama, un candidato post-razziale che vuole raggiungere con il suo messaggio l'intero Paese, è tutto da dimostrare.
Il 29 i repubblicani si sfideranno in Florida, per delle primarie che si preannunciano roventi. Mitt Romney sta guadagnando terreno e, dopo essersi lasciato alle spalle un pericolante Giuliani, si avvicina pericolosamente a John McCain. Anche Huckabee potrebbe, stando alle cifre, essere della partita, quantomeno per un piazzamento onorevole. Attenzione comunque all'ex governatore del Massachusetts. Romney potrebbe infatti rappresentare le istanze della base conservatrice del partito che è in cerca del proprio campione e non ama McCain. Dopo un inizio scialbo di campagna elettorale, il ricco magnate, famoso per le sue oscillanti prese di posizione politiche, sembra aver sottratto ad Huckabee il ruolo di alfiere delle conservazione sociale. Tanto più che un altro aspirante conservative come Fred Thompson si è ritirato dalla corsa.

I DEMOCRATS, MARTIN LUTHER KING E IL ‘68
Il 1968 è stato un anno cruciale per il mondo occidentale. La vita culturale e politica degli Stati Uniti è rimasta investita in pieno dal fenomeno, che ha prodotto lacerazioni profonde nel tessuto sociale del Paese. Fu l'anno dell'assassinio di Martin Luther King, il cui anniversario è appena stato celebrato in pompa magna dai candidati democratici, dell'omicidio di Robert Kennedy e dell'offensiva del Tet, che cambiò psicologicamente i destini della guerra in Vietnam. Il Partito Democratico subì le conseguenze più pesanti, spostandosi a sinistra e radicalizzandosi, spianando la strada al ritorno di Richard Nixon e alla riscossa repubblicana dopo tre decenni abbondanti di predominio liberal. Il 1968 spazzò sostanzialmente via le politiche di inclusione sociale avviate da John Fitzgerald Kennedy ed attuate da Lindon Johnson. I sogni progressisti della Nuova Frontiera e della Grande Società tramontarono rapidamente.
Sono passati quarant'anni eppure l'ombra del ‘68 aleggia ancora sulla vita politica americana. Oggi Barack Obama sostiene che Hillary Clinton non sia in grado di riunificate un Paese diviso, proprio per la sua affiliazione culturale agli anni Sessanta e per il fatto di aver combattuto molte delle battaglie che hanno accentuato la spaccatura tra la maggioranza silenziosa ed i liberals. Per il senatore dell'Illinois anche in questo sta il cambiamento, nel superamento della sindrome dei Sixties, nella rinuncia a riproporre nella dialettica politica di oggi gli schemi del passato. Così i democratici accusano i repubblicani di ripetere in Iraq i misfatti compiuti in Vietnam, i repubblicani tendono ancora a caricaturizzare i democratici come hippies pronti a bruciare la bandiera. Molti conservatori detestano Bill Clinton perché in lui vedono il simbolo del narcisismo e dell'auto-indulgenza degli anni Sessanta. Molti progressisti non perdonano a George W. Bush di essere rimasto estraneo al terremoto generazionale ed ai grandi eventi di quegli anni.
Categorie superate. Metà dei cittadini americani sono nati dopo il primo gennaio 1969 e gli stessi sessantottini, con i Clinton in testa, hanno oramai abbandonato ogni forma di radicalizzazione politica. Quel Partito Democratico che dopo la morte di Bob Kennedy e la Convention di Chicago si era spostato talmente a sinistra da perdere contatto con il 60% dell'elettorato americano, si è trasformato in una forza tendenzialmente centrista che ha riposto nel cassetto molti degli argomenti polemici che avevano animato la sua contrapposizione alla destra su tematiche quali pena di morte e controllo delle armi da fuoco. Non che la differenza fra i due partiti sia scomparsa, ma la cesura storica di quarantanni fa è stata rimarginata.
Il 1968 è stato un anno indimenticabile, forse è tempo di consegnarlo definitivamente alla storia.

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