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LA FINE DELL’ANTI-AMERICANISMO IN EUROPA
La nuova classe dirigente europea vuole ricomporre l’unità occidentale
di Fabio Lucchini


Molti in Europa attendono con trepidazione le elezioni americane del prossimo Novembre, quasi dovessero rappresentare una catarsi. Il ritorno dell'America Buona, del dopo Bush, quella con cui si può discutere e con cui si può avere un confronto. Ma qualcosa è già cambiato. I leaders dei più importanti Paesi europei non stanno partecipando al febbrile conto alla rovescia. Per loro il cambio della guardia alla Casa Bianca è un avvenimento rilevante, certo. Ma non tale da condizionare la loro considerazione degli States. Semplicemente non credono esista il tempo di un'America benigna ed il tempo di un'America ostile. Ritengono invece che un'alleanza profonda come quella che lega il Vecchio Continente agli USA non possa essere valutata in base alle contingenze storiche, ma debba permanere come un saldo punto di riferimento dell'agire politico e culturale del mondo occidentale.

Quanto fu scioccante apprendere nel 2004 che gli americani non si erano ribellati alla politica intransigente ed oscurantista di George W. Bush, riconfermandolo convintamene alle urne? Eppure, dopo l'annus horribilis 2003, quando il solco fra Stati Uniti e Vecchia Europa (capitanata da Germania e Francia) sembrava troppo profondo per essere rimarginato, il dialogo è lentamente ripreso. Merito dell'atteggiamento più conciliante di un'amministrazione americana ammaestrata dalle difficoltà di garantire unilateralmente il sempre più complesso ordine mondiale, ma anche della riscoperta del valore intrinseco dell'alleanza con Washington da parte di alcuni governi europei. Questa tendenza a rivalutare l'importanza, storica e valoriale, prima ancora che politica, dell'amicizia fra Europa e Stati Uniti, è stata intercettata dal settimanale statunitense Newsweek, che si è spinto sino al punto di dichiarare prossima la Fine dell'Anti-Americanismo in Europa. Un'impostazione che nasconde una forzatura, ma inquadra plasticamente il processo in atto. In effetti, il movimento di riavvicinamento all'America è soltanto agli inizi.

Non certo nell'Europa orientale, dove l'atteggiamento positivo verso gli USA viene da molti paragonato alla fascinazione dell'Europa della ricostruzione davanti al Sogno Americano. Per i Paesi dell'Est europeo l'amicizia con Washington ha rappresentato, dalla fine della Guerra Fredda, un'opportunità da cogliere prontamente, senza se e senza ma. Dopo cinquant'anni di anti-americanismo imposto, oltre l'ex cortina di ferro gli Stati Uniti godono di un largo credito. L'ingresso nella NATO di diversi Paesi dell'area è la testimonianza più nitida del feeling fra Washington e le capitali della Nuova Europa di Rumsfeldiana memoria, che non a caso nel 2003 si schierarono con l'amministrazione Bush sulla vertenza irachena e subirono le relative minacce di emarginazione dal consesso europeo. Autore, il presidente francese Jacques Chirac.

Per gli ex satelliti dell'URSS, la Storia conta e parecchio. Ad esempio, non sarà facile cancellare dalla memoria del popolo polacco le vessazioni subite nei secoli dalle potenze europee ed il tradimento di Francia e Gran Bretagna, che permisero che Varsavia, dopo Praga, diventasse un protettorato della Germania hitleriana. Sicuramente, la sindrome di Monaco aleggia ancora. La Storia ha impartito una semplice lezione alle nazioni di quello che fu il cerchio europeo dell'impero di Mosca: i vicini euro-occidentali non hanno mai voluto o saputo proteggerli. Questa eredità storica conserva oggi un peso notevole ed influenza le scelte in un quadro geopolitico che rischia nuovamente di complicarsi.

Ciò considerato, è quasi naturale che gli Stati Uniti paiano l'unico baluardo contro il rinnovato dinamismo di Mosca. Nell'Europa Centro-Orientale e nel Baltico l'anti-americanismo non ha attecchito significativamente negli ultimi vent'anni proprio perché gli USA hanno rappresentato, e rappresentano, per i governi e le popolazioni dell'area sia un modello di democrazia e libertà, loro negata per decenni, sia un amico forte e rassicurante pronto ad opporsi al ritorno dell'imperialismo russo. L'estendersi dell'influenza occidentale, che si sta manifestando in particolare nella difficoltosa costruzione della democrazia ucraina e nella accidentata evoluzione georgiana, ha messo in allarme Mosca. Il processo in atto è suscettibile di risolversi nella creazione di nuove democrazie filo-occidentali ai confini della stessa Russia. Se si aggiunge l'irritazione di Mosca di fronte all'allargamento ad Est della NATO, non è difficile comprendere le motivazioni dell'atteggiamento ostile e prevaricatorio mantenuto negli ultimi tempi dal Cremlino nei confronti di quelli che vengono percepito come indisciplinati vicini. Un tempo acquiescenti e remissivi. Di conseguenza, le tendenze neo-imperialistiche russe hanno costituito un ulteriore e potente incentivo a spingere verso Washington le capitali dell'Europa del  Nord-Est.

Nell'Europa occidentale non è andata così. L'invasione dell'Iraq ha avuto ef...



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