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EXIT STRATEGY? NO, GRAZIE
Nonostante le critiche e gli appelli, McCain non abbandona l’Iraq, Clinton non lascia la corsa alla nomination




(pagina 2)

... rre (momentaneamente?) ad Obama il ruolo di unificatore del Paese, al di là delle divisioni partitiche.

I consulenti politici del senatore dell’Arizona sono consapevoli della necessità di concentrarsi su una determinata sezione del serbatoio elettorale Dem, che potrebbe essere parzialmente conquistata, soprattutto se il candidato fosse Obama. Si tratta dei colletti blu, uomini e donne, bianchi e tradizionalmente fedeli ad Hillary Clinton. Questi gruppi condividono molto di quello che McCain propone dall’enfasi sulla sicurezza nazionale ad una buona dose di conservatorismo sociale. Frank Donatelli, ex collaboratore di Reagan alla Casa Bianca ed attualmente vice presidente del Partito (il Republican National Committee), punta a riconquistare anche i cosiddetti Reagan Democrats, che negli anni ottanta contribuirono ai trionfi del Gop alle presidenziali e che oggi sono largamente ascrivibili all’elettorato indipendente. L’operazione, dati alla mano, sta riuscendo, agevolata dalla serrata disfida intra-Democratica, che ha portato un elettore Dem su quattro (il 28%  dei Clintonites, il 19% degli Obamaites, dati Gallup) ha dichiararsi pronto a votare McCain nel caso il proprio favorito non venisse scelto a Denver.

Ai Democrats non resterebbe dunque che demolire l'immagine di liberal-moderato che McCain si è costruito negli anni, compiendo spesso scelte eccentriche rispetto alla linea politica del Partito Repubblicano. “Svelare il vero John McCain” nelle parole di Steve Rosenthal, esponente Democratico, “sottolineare la sua natura conservatrice su tematiche quali aborto, protezione dell’ambiente e guerra in Iraq”.

Se per i Repubblicani è già tempo di studiare a tavolino tattiche e strategie per la battaglia di novembre, nel campo avverso la preoccupazione degli elettori e dei quadri Dems rispetto allo stallo delle ultime settimane ha trovato finalmente espressione ufficiale. Il presidente del Democratic National Committe, Howard Dean ha infatti dichiarato all’emittente ABC che la corsa alla nomination dovrebbe terminare il 1 luglio, circa un mese dopo l’ultima tornata elettorale che si terrà il 3 giugno. Traduzione: Dean ha sostanzialmente invitato Hillary Clinton a fare un passo indietro se non dovesse colmare il gap che la separa dal rivale entro quella data. Clinton ha risposto forte e chiaro: "No". La senatrice di New York non si rassegna, vuole che vengano considerati i risultati di Florida e Michigan, e per questo polemizza con lo staff di Barack Obama. Hillary spera ancora di superare l'avversario, almeno per quanto concerne il voto popolare. "Poi deciderà la Convention”. Obama ha dichiarato che la sua rivale ha tutto il diritto di rimanere in competizione sino a quando lo riterrà opportuno, mentre Bill Clinton ha ricordato come lo svantaggio della moglie nel voto popolare sia inferiore al punto percentuale. Dunque, avanti fino a Denver.

Intanto, a più di tre settimane dall’importantissimo voto in Pennsylvania, gli schieramenti si definiscono. Clinton può contare sull’appoggio del potente governatore Edward Rendell, mentre Obama avrà il sostegno di Robert Casey Jr., moderato e popolare senatore dello Stato. I due continuano a stuzzicarsi con asprezza. L’ultima polemica riguarda il fronte energetico. Obama si è avventurato in una sortita contro le compagnie petrolifere, accusate di arricchirsi alle spalle di consumatori sempre più preoccupati dall’aumento dei prezzi dei carburanti. La presa di posizione gli è valsa una contro-campagna informatica orchestrata dallo staff della Clinton, che ha ricordato ai cittadini come la corsa presidenziale dell’attuale front-runner sia stata sovvenzionata anche dalle compagnie Exxon Mobil e Chevron. Un portavoce di Obama ha biasimato i clintoniani per l’utilizzo di una tattica propagandistica “negativa e fuorviante”.

Del resto, la retorica dei colpi bassi, delle scorrettezze e dell'attacco personale sta dominando la campagna per la nomination Democratica, sostiene David Greenberg del periodico The New Republic. Clinton viene raffigurata nell'iconografia liberal come la  perfida  persecutrice ed Obama come la vittima sacrificale. Alla senatrice di New York è stata appiccicata l'etichetta di spietata, feroce, addirittura di nixoniana per la violenza degli attacchi al giovane, ed “indifeso”, rivale. Ma è la politica, bellezza! Tentare di mettere in difficoltà gli avversari è nella natura stessa di una competizione elettorale. Molti osservatori progressisti tendono a raffigurare Obama come un ingenuo agnellino che combatte, a colpi di idealismo, l'oliata macchina elettorale della Clinton.

In realtà, il giovane senatore si è già dimostrato un politico scafato in grado di prodursi in durissimi affondo contro gli avversari e la sua organizzazione elettorale si è invero rivelata migliore di quella della Clinton, sia nella raccolta fondi che nella pianificazione strategica. Le...


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