2002, Numero 5/6
SEMANTICA DEL RIFORMISMO
di Vittorio Valenza
Di questi tempi, il verbo «riformare», con i sostantivi e gli aggettivi derivati, va per la maggiore. Silvio Berlusconi si descrive come un riformatore. La Sinistra è riformatrice per definizione. Umberto Bossi invoca: «riformare, riformare, riformare». Non parliamo di Antonio D'Amato. Tutto ciò non può non suscitare, a un tempo, compiacimento e sconcerto. Compiacimento, se pensiamo al vilipendio cui, ancora in tempi recenti, il termine era sottoposto. Sgomento: come possono soggetti che pensano cose tanto diverse riconoscersi nella medesima definizione? Prendiamo il caso dell' Articolo 18. Berlusconi vuole sottrarre alla sua giurisdizione alcune categorie di lavoratori. Anche Fausto Bertinotti e Antonio D'Amato auspicano dei cambiamenti. Ma mentre il primo propone di estendere gli effetti del suddetto articolo a tutti i lavoratori, l'altro lo vorrebbe abolire. Entrambi, però, chiamano le rispettive proposte «riforme». Sergio Cofferati, invece, vorrebbe mantenere le cose come stanno. È forse un conservatore? Qualcuno l'ha detto. Lui, però, si è adombrato. Liberalismo e convenzionalismo.Noi siamo nominalisti: le parole, con i loro significati, sono creazioni umane. Come scrive Thoma...
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