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2004,
Numero 10

SIMONE WEIL E LA POVERTÀ FELICE

di Nicola Fanizza

LE LENTI DELLA GUERRA Verso la fine degli anni Trenta, il sofferto percorso teorico di Simone Weil giunge al capolinea. L'esito di tale deriva è la formulazione di un pensiero «impolitico»1 che, saldando Erose Logos, recupera il valore conoscitivo dei riti, ossia la funzione conoscitiva delle pratiche sociali che stazionano nell'atmosfera del dono, della generosità, della compassione, della carità, dei riti che sono comunque lontani da qualsiasi intenzione celebrativa. Si tratta di un nuovo pensiero della soggettività, di un soggetto che si spende per l'altro, che sceglie di condividere la povertà, che sceglie di condividere la sofferenza, che sceglie insomma ciò che non si lascia scegliere. E perché dovremmo scegliere ciò che per sua natura non si lascia scegliere? La sventura, dice la pensatrice francese, va intesa come uno status ontologico umano, una condizione intermedia ? e come vedremo contraddittoria e paradossale ?, che offre a qualsiasi individuo la possibilità di avvicinarsi alla verità e nel contempo di liberare dentro di sé l'amore che vi è tenuto prigioniero. D'altra parte il suo interesse precipuo nei confronti delle riflessioni che hanno per oggetto l'esserenelmondo...