2005, Numero 1/2
Editoriale
“Il marxismo italiano, quale fu interpretato e divulgato particolarmente dalla Critica Sociale di Turati e dagli altri scrittori di simile provenienza, nonostante le sue professioni di rigida osservanza, è stato giudicato “impuro”: e impuro era in effetti e a sua lode, appunto perché abbastanza puro nel suo sentimento fondamentale, fede di uomini che avevano cominciato da repubblicani, democratici e liberali e, checchè ne dicessero, tali si mantennero nel loro fondo: gli stessi che cinquant’anni prima sarebbero stati patrioti del Risorgimento e che ora, nelle nuove condizioni e innanzi ai nuovi problemi, si erano fatti socialisti”.
di Sergio Scalpelli
È questa forse la più bella ed esatta definizione del socialismo della Critica Sociale che mai sia stata sinteticamente illustrata, e non da un socialista, ma dal padre del liberalismo italiano, Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915. Il socialismo riformista non ha mai concepito se stesso al di fuori della democrazia liberale. Il “classismo”, che ha attraversato vittorioso ed ha dominato la cultura della sinistra non solo comunista, ma anche socialista del ‘900 fino a Bettino Craxi, non è mai stato concepito dagli intellettuali e sostenitori della Critica Sociale nella sfera del “politico”, ma sempre e solo in quella economica. Questa radice della sinistra italiana non si è mai confusa con la tradizione marxista e non ha subito né il fascino, né il tabù dell’ ”unità della classe”. Il suo profilo politico-programmatico ha perseguito l’emancipazione dei lavoratori come fattore di crescita del capitalismo, e lo sviluppo di questo come fattore storico necessario al sostegno di una piena democrazia sociale, secondo obiettivo del programma nazionale e democratico del socialismo mazziniano e garibaldino. In Italia questo socialismo è sempre stato minoritario r...
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