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2005,
Numero 10

La guerra dei Sei Giorni e il “tradimento” della sinistra italiana

Per molti ebrei che militavano nella sinistra il divorzio con Israele nel '67 fu un cocente risveglio. In quel contesto, infatti, solo una parte della sinistra liberal democratica ed una significativa - ma non maggioritaria - del PSI si schierò con Israele. Il PCI e il PSIUP si collocarono sul fronte antiisraeliano”.
di Sergio Scalpelli e David Bidussa

La storia dei rapporti politici e culturali delle sinistre italiane con la realtà di Israele ha nella guerra dei sei giorni (5-11 giugno 1967) il momento di frattura più profonda. Per un lungo periodo niente è stato più come prima. In quella congiuntura, forse la sorpresa più profonda fu quella di trovare un segmento rilevante della sinistra italiana su posizioni politiche molto critiche nei confronti dell’esperienza culturale e politica di Israele, prima ancora che del suo governo. A molti ebrei che militavano a sinistra quello sembrò un improvviso tradimento, comunque il risveglio cocente di una delusione. In quel contesto infatti solo una parte di area liberal-democratica e una parte significativa, ma non maggioritaria, del Partito socialista italiano si trovò a difendere le ragioni di Israele. Gran parte della sinistra italiana, ovvero tanto il Pci (con la sola eccezione di Umberto Terracini) come il Psiup, si collocarono sostanzialmente sul fronte antiisraeliano. In quell’occasione maturò un divorzio tra mondo ebraico e sinistre, un divorzio i cui effetti ancora durano e che, con lentezza, è stato parzialmente ricomposto in questi quaranta anni. Perché quel divorzio ha avuto u...