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1999,
Numero 1/2

Brasile, banco di prova del dollaro

di Adriano Savio

Un accorgimento monetario non salva un paese dalla bancarotta se non momentaneamente; questa è la prima lezione che si può trarre dalla crisi brasiliana.
Quando nel 1995 il governo brasiliano varò il “piano real”, cioè legò l’andamento della valuta nazionale al dollaro, l’intenzione era quella di sconfiggere l’iperinflazione ormai a tre zeri. La manovra riuscì perché la sopravvalutazione del real fu ovviamente collegata a una politica di tassi d’interesse alti e a una serie di privatizzazioni che produssero l’ingresso nel paese di forti capitali, ingenerando un clima di fiducia che permise al Brasile di superare indenne la crisi messicana.
Saggezza avrebbe voluto che il governo nel frattempo varasse tutti quei provvedimenti strutturali che gli economisti di mezzo mondo consigliavano per eliminare i motivi che avevano portato all’inflazione: che si agisse sul debito pubblico, che si tagliasse la spesa pubblica, che si riformasse l’amministrazione fiscale.
Ma così non fu; nel frattempo l’euforia borsistica internazionale cresceva, l’indice Bovespa della borsa di San Paolo tirava come mai si era visto, l’unione doganale con l’Uruguay, il Paraguay e l’Argentina (il Mercosur) veniva rea...