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1998,
Numero 2

IL FUOCO IN MANO A UN FIGLIO

di Ida Lubin

La lingua di Erri De Luca è un distillato di fatica e di densità espressiva. In pochi altri scrittori, l'atto stesse di scrivere, il gesto fisico della scrittura, si sporge altrettanto sulla pagina, incidendola, più che riempiendola, con i segni fitti e brevi di uno stile dominato dalla contrattura e dall'immagine. Molto lontano, e in un certo senso estraneo al canone della narratività italiana di questi anni, De Luca è non a caso uno scrittore di culto: i suoi lettori sono legati a lui da un patto di fedeltà e di passione che va al di là della gratificazione letteraria; i suoi piccoli libri, compatti come mattoni, cadono e germinano in un istante, sono semi che esplodono, sentenze che ramificano, quasi a dispetto della loro proverbiale asperità e di un'insistita, ostentata parsimonia verbale. De Luca scrive con la mano devota di un miniatore popolare di cui tutti riconoscono il tratto inconfondibile, il ruvido acrostico del nome. "Tu, mio", il suo ultimo libro, non fa eccezione a questa generosa scontrosità: esce dal silenzio (dal silenzio profondo e inattingibile di un mare vissuto "sudato", dei pescatori ischitani) e, nel breve giro di una parabola, racchiude tutto lo stupor...