1998, Numero 3
GODOT DA MOSTAR A ROMA
di Attilio Scarpellini
Chi sono? All'inizio soltanto dei ragazzi, poco più che dei bambini: teneramente addormentati nell'ombra, uno accanto all'altro, con le gambe raccolte, proprio come ragazzi che si sono perduti in un bosco. E in effetti, il cerchio su cui sono stesi è tappezzato di foglie cadute. Escono dall'ombra, nell'ombra ritorneranno alla fine dello spettacolo, di nuovo addormentati: dal sonno al sonno il loro Beckett spiega le vele come un sogno, in un'ora di puro cristallo. Certo, vedendoli sorgere uno dopo l'altro dalla terra sui cui dormivano non si può fare a meno di rabbrividire, sapendo chi sono, i ragazzi venuti da Mostar, immaginando chi avrebbero potuto essere: l'ombra di altri ragazzi che dormono ancora, quelli per cui il ritardo del Godotonusiano è stato fatale. Ma questo orologio che muove una ronde scandita dai dialoghi di Beckett, ruotando attorno a una catasta di libri pronti al rogo (o forse salvati, strappati al rogo come un resto di civiltà) va altrove che verso la guerra; e il suo movimento è perfetto, proprio perché le sue lancette umane, le diverse coppie di Vladimiro e Estragone che si danno il cambio sulla scena, sono dei ragazzi e degli attori. Dei primi mantengono l'in...
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