1998, Numero 7
PIERRE VIDALNAQUET O LA VERITÀ PERSEGUITATA
di Ida Lubin
Cos'hanno in comune Hannah Arendt e Pierre VidalNaquet? L'ebraismo, ovviamente, portato da entrambi più come una stimmate intellettuale che come un'appartenenza nazionalreligiosa. Ma al di là di esso, o forse proprio grazie ad esso, ad accomunarli è il loro culto per la verità di fatto. Il fatto, l'incontrovertibile, l'ineludibile, ciò attraverso cui la critica deve passare, per comprendere, per giudicare. Ma anche: ciò che nessuna ideologia può negare, che nessuna retorica può mistificare. Un fatto: Eichmann in Israele, la sua agghiacciante normalità, il carattere non mostruoso dei carnefici nazisti. Un fatto: l'uso della tortura durante la guerra d'Algeria, a soli dieci anni dalla fine dell'occupazione tedesca, quando era la Gestapo a detenere questo macabro privilegio. La repressione, la "menzogna al potere" con GuyMollet, la cattiva coscienza di una Francia democratica che per la terza volta, dopo Dreyfus e dopo Vichy, guarda negli occhi il disonore. Forse se la polizia francese non avesse arrestato un universitario di nome André Mandouze, Pierre VidalNaquet sarebbe diventato ugualmente quel grande storico delle rappresentazioni culturali della Grecia antica che tutti conosci...
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