1997, Numero 8
LA MORTE DI ROUSSET
di Jean Halévy
Alla fine lo ha traversato quasi tutto, David Rousset, questo secolo breve che diceva di non amare perché i campi di concentramento glielo avevano rivelato come "il più infame, il più assassino" di tutti i secoli. E' morto tre settimane fa nella sua casa di Parigi, lui che era per antonomasia un sopravvissuto, un "salvato" per dirla con un'espressione di Primo Levi, non solo di un'esperienza che lo aveva marchiato a fuoco quella della detenzione nei campi nazisti ma diuna generazione che della memoria e della testimonianza aveva fatto la propria ossessione. Aveva ottantacinque anni, di cui cinquanta passati a tentare di ridestare il mondo dalla sua voglia di rimozione per lo scandalo di un universo concentrazionario che non si esauriva con il lager nazista, ma aveva contagiato, in una sorta di crescendo imitativo, l'Urss staliniana, la Cina maoista, la Cambogia di Pol Pot. Forse senza la guerra, la resistenza e l'arresto, senza la discesa nell'inferno dei campi di Buchenwald, Neuengamme, Helmstedt, questo ex militante trotskista non avrebbe mai preso la penna in mano per misurarsi, in una specie di disperato corpo a corpo, con la materia più sfuggente ad ogni memoria, ad ogni ...
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