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2006,
Numero 6

Welfare: dal paternalismo alla responsabilità personale

Si registra anche in Italia (ed è alla base dell’idea dell’Hamilton Project, come del neo laburismo) una ricerca di un nuovo equilibrio tra cittadini e istituzioni finalizzato a superare lo schema della delega verso lo Stato. Si tende a coinvolgere i cittadini nell’esercizio delle funzioni pubbliche. A fianco del modello di erogazione diretta o indiretta di servizi si assiste, a livello locale, alla diffusione di schemi di “quasi-mercato”, con un “regolatore pubblico” nel rapporto tra domanda e offerta dei servizi stessi, dei loro costi, della loro qualità, della loro effettiva necessità”
di Giorgio Vernoni

Qualche anno fa Pietro Ichino, utilizzando un’immagine particolarmente azzeccata, descrisse il modello di welfare state italiano come una strumentazione finalizzata più a proteggere i cittadini dal mercato che non nel mercato. Ancora oggi è difficile negare che le politiche sociali e, in particolare, le politiche del lavoro raramente si concretizzano in azioni di tipo promozionale e preventivo e più sovente consistono in interventi di tipo assistenziale volti a mitigare, di solito per mano del solo attore pubblico, le conseguenze delle avversità della vita. Un esempio di tale impostazione è costituito dalla cosiddetta “mobilità lunga” ovvero quel provvedimento che, nei casi di crisi aziendale, consente ai lavoratori in esubero di ottenere un sostegno economico sino al raggiungimento del diritto alla pensione. Questo tipo di trattamento non soltanto sottovaluta (o forse addirittura rimuove) il problema della perdita del lavoro ma soprattutto nega qualsiasi ruolo attivo ai soggetti interessati sancendo contestualmente la loro incapacità di agire nella società e, addirittura, di intervenire nella propria personale esistenza.
Il paternalismo, al di là di casi lampanti come quello della...