2006, Numero 7
Le difficile destalinizzazione nella sinistra italiana
“Ricorda Piero Ostellino che a Togliatti il rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin non piacque. Lo trovava rozzo. Il leader di PCI non ha nessuna intenzione di promuovere un vero processo di revisione per la ricerca della verità. Non volendo correre i rischi di una vera apertura, né persistere dopo la rottura di Kruscev nella linea precedente, il capo comunista opta per una posizione di sostanziale ambiguità. Molti intellettuali ed esponenti di rilievo prendono le distanze, ma la tesi prevalente nel PCI sui fatti ungheresi resta quella di un putsch controrivoluzionario”.
di AA.VV
Anche in Italia le ripercussioni degli avvenimenti ungheresi vennero precedute da quelle relative agli eventi polacchi. La rivolta degli operai di Poznan del giugno ’56, che determinò la svolta revisionista in Polonia, era stata vissuta con notevole imbarazzo nell’ambito della sinistra, ma in particolare tra i comunisti. Togliatti, segretario del PCI, potente esponente del comunismo italiano e internazionale (per il ruolo avuto in URSS fino al 1944 e poi in Italia) aveva assunto un atteggiamento critico nei confronti del “rapporto segreto” di Kruscev che conobbe “in anteprima” a Mosca durante il XX congresso del PCUS. Scrive Ostellino: “Nella notte tra il 24 e il 25 febbraio (1956), in un albergo di Mosca, Togliatti, l’unico della delegazione italiana che conosca perfettamente il russo, legge attentamente il “rapporto” sui crimini di Stalin...” (v. “Il PCI allo specchio”, Rizzoli, 1983). ...”A Togliatti il rapporto non piace. Lo trova rozzo sul piano culturale, inopportuno su quello della forma, avventato sul piano della sostanza politica” (idem, pag. 473). “... Per uscire dalla clausura dell’era staliniana, sbloccando l’ideologia del PCI dalla sclerosi... sarebbe stato necessario ...
| |