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2007,
Numero 1/2

Il rigetto mediatico della“tangentopoli inglese”

“La reputazione dell'inquirente John Yate, scrive il Guardian, è ancorata da 10 mesi al successo di questa inchiesta ed ora per lui il rischio è di apparire un provocatore politico. Ha potuto lavorare in questo periodo liberamente. E' ora doveroso che anche Mr Blair possa essere lasciato libero di fare il suo lavoro di Primo ministro regolarmente eletto”.
di Simona Bonfante

Non si tratta di tangenti, né di finanziamento illecito. L’accusa è più grave ancora: “spaccio di titoli nobiliari”. Sul banco degli imputati c’è il Labour Party, il partito del Premier che, investito dallo scandalo cash-for-peerages,  è accusato di aver accettato soldi da privati cittadini in cambio della concessione del titolo di Lord, ovvero del diritto ad occupare uno scranno alla Camera “alta” del Parlamento britannico. “Alta” perché non eletta ma, appunto, nominata, su proposta del Governo, da un atto ufficiale di Sua Maestà.
La cosa paradossale è che quello espresso da un giornale non certo sospettabile di filo-blairismo come l’Observer, non è affatto un sentimento isolato. Sempre più spesso infatti, negli ultimi mesi, di questa farsa politico-giudiziaria i quotidiani hanno dato voce all’imbarazzo di quei parlamentari laburisti che, solitamente ostili al Premier, convengono adesso sul fatto che non è certamente quella la strada per detronizzare un Primo Ministro.
Certo, non tutti lo amano ma – è l’opinione di tanti anonimi backbenchers - di lui la gente si fida perché crede davvero in quello che dice. E questa fiducia non può certo essere sepolta da un’operazione giudiziaria.
La democrazia insomma è un’altra cosa.
Come ha infatti osservato anche l’Observer, “si tratta di un’operazione condotta dal braccio poliziesco dell’opposizione politica al Capo del Governo in carica”.