2007, Numero 1/2
Il complesso dei “migliori” un residuo giacobino
“Fino a quando un pezzo della “sinistra ufficiale” non farà i conti con ciò che accadde nei primi anni '90, con ciò che lasciò accadere, con ciò che fortissimamente volle fare accadere, l'apertura di un capitolo davvero nuovo, a sinistra, sarà altamente improbabile. Penso ad una dimensione di presunta superiorità etica in cui un pezzo della sinistra ufficiale si è autoimmersa per cui crede che dalla sua parte vi siano “i valori” dall'altra “gli interessi”.
di Daniele Capezzone
Chi oggi si interroga su targhe e intitolazioni di piazze, dedichi piuttosto una riflessione nutrita di verità, a tre pagine della storia italiana di qualche anno fa. La prima: Bettino Craxi che “sceglie” Proudhon, e apre (in nome di un socialismo anche federalista e libertario) la sfida a una sinistra aggrappata non solo a Marx, ma in qualche caso a Lenin stesso (Luciano Pellicani ricorda lo sgomento che provò leggendo, in quei giorni, un’intervista di Berlinguer a Repubblica in cui il segretario del Pci parlava della “ricca lezione leniniana”…). La seconda: quella Conferenza programmatica di Rimini dell’82, in cui Claudio Martelli (e Craxi ed il Psi con lui) lanciano la sfida dei “meriti e dei bisogni”, tagliando la “sociologia pietrificata delle classi”, e ridando diritto di cittadinanza a sinistra ad una parola “vietata e maledetta”: la parola “individuo”. La terza: la grande battaglia sulla scala mobile, e la sfida vincente alla sinistra più conservatrice e alla parte più immobilista del sindacato, puntando -invece- sulla maturità e sulla volontà di innovazione degli stessi lavoratori.
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