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2007,
Numero 9/10/11

Da Togliatti a Berlinguer: “Non diventeremo mai socialdemocratici”

Certamente nel testo contro Filippo Turati prevale l'antisocialismo: l'odio, il disprezzo e la condanna per il socialista in quanto autonomo dai comunisti e animatore di tradizioni più antiche e più vitali. E' l'epoca in cui il Komintern teorizzava il "socialfascismo". Ma quanto di questa politica è morto? Moltissimo, ma non tutto. Rimase intatta da parte comunista la condanna della "socialdemocratizzazione".
Ancora negli anni Cinquanta la socialdemocrazia era dipinta come a deriva fascista ("governo SS" era il ministero Scelba con il leader del PSDI vicepresidente) e successivamente negli anni Sessanta la "socialdemocratizzazione" del PSI ad opera di Nenni (la politica di autonomia dal PCI e di unificazione PSI-PSDI) fu indicata come indebolimento della democrazia italiana di fronte al sempre incombente pericolo fascista.
L'orrore per la socialdemocrazia è di nuovo evocato da Enrico Berlinguer alla fine degli anni '70 persino a fini interni. Nel novembre 1979, dopo la sconfitta elettorale e la fine dell'"unità nazionale" per la prima volta il segretario del PCI si trova ad essere contestato in seno al Partito e come "capro espiatorio" egli sceglie Giorgio Amendola che aveva criticato atteggiamenti - soprattutto sindacali - che non avevano contrastato adeguatamente l'estremismo ed il terrorismo di sinistra. "Non diventeremo mai socialdemocratici": è l'esorcismo del segretario del PCI dalla tribuna del Comitato Centrale nel corso di un discorso conclusivo tutto rivolto (per un'intera pagina dell'"Unità") contro l'anziano dirigente a cui rimproverò di non conoscere "l'abc del marxismo" proprio nei giorni in cui "Giorgione" compiva mezzo secolo d'iscrizione al Partito.
di Ugo Finetti

“Turatiana” pubblicato da Palmiro Togliatti su “Stato Operaio” dell’aprile 1932 ha molteplici motivi di interesse e di attualità.
Dal punto di vista dell’invettiva in esso Togliatti segue lo schema classico della propaganda del Komintern degli anni trenta secondo cui il “nemico” ha sempre tre caratteristiche: a) è ridicolo (ovvero un fallito); b) è corrotto (e corrompe); c) è fascista (o apre la strada al fascismo).
Da questa incompatibilità tra anticomunismo ed antifascismo discende l’inesistenza di un antifascismo che possa agire indipendentemente dai comunisti ovvero al di fuori di un quadro di unità della sinistra secondo i contenuti proposti dagli stessi comunisti. E’ sulla base di tale convinzione che si collezionarono i casi di quanti hanno temuto di aver ragione contro o al di fuori del Partito. Ancora nel 1961 nella conferenza stampa tenuta con Mario Alicata all’indomani del rilancio della destalinizzazione operato da Kruscev al XXII Congresso del PCUS, Giancarlo Pajetta così replicava a chi sollevava il tema delle corresponsabilità del comunismo italiano nelle repressioni staliniste: “Tra rivoluzione e verità scelgo la rivoluzione” (nel resoconto dell’”Unità” la frase ven...