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2008,
Numero 12

1968. Per i Cechi resta l’anno dell’umiliazione

Intervento al convegno della Fondazione Camera dei Deputati
di Jiri Sneberger

Sugli avvenimenti che nel 1968 si sono svolti nell’allora Repubblica cecoslovacca potrei parlare per ore, da testimone. Avevo otto anni quando una mattina mio padre mi svegliò e mi condusse alla finestra: fuori c’era un carro armato russo con una striscia bianca e un gruppetto di cechi. Mio padre aveva le lacrime agli occhi quando mi disse che gli amici non sarebbero più venuti a farci visita. Ricordo che si raccomandò affinchè il ricordo di quel giorno non mi abbandonasse mai, per tutta la vita. In quel periodo per centinaia di migliaia di cechi fu come se il mondo fosse crollato loro addosso. Alcuni scelsero di emigrare: per loro la libertà era più importante di tutto, anche della paura di ritrovarsi in un Paese straniero, dove non conoscevano nessuno, molti nemmeno la lingua. Per tutti gli altri, invece, fu come ritrovarsi in una zona grigia. Se negli anni ‘60 la Cecoslovacchia era, nel contesto europeo, in ascesa per le attività artistiche, culturali e anche scientifiche, con l’occupazione tutto si fermò. Nessun intellettuale ceco trovò la forza di lottare e qualcuno, tra loro, si suicidò. La gente comune reagì all’occupazione opponendo fiori e manifesti a carri armati e cannon...