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2014,
Numero 2/3

Forse fu un errore credere possibile l'apertura ai socialisti con l'idiosincrasia per Craxi

“Senza il sostegno della corrente riformista la svolta della Bolognina non sarebbe stata possibile”
di Emanuele Macaluso

La svolta della Bolognina si è fatta sulle macerie del Muro di Berlino che crollò sei mesi dopo il congresso che rilanciava il nuovo PCI e l'orgoglio comunista.

Ma perchè arriviamo alla Bolognina?
Perchè gli sviluppi politici mondiali e poi quelli taliano spingevano verso un revisionismo più di fondo della politica del PCI in direzione del socialismo democratico. E questa fu la stretta in cui si è trovato Occhetto, il quale da un canti chiese a Craxi di agevolare l'ingresso dei post-comunisti nel'Internazionale socialista, dall'altro fece tuta una serie di operazioni per presentare il nuovo partito come un partito addirittura più a sinistra del PCI (rompendo, tra l'altro, con la tradizione e offrendo a Leoluca Orlando, un ex DC, la condirezione di un partito che sembrava prefigurare l'attuale PD).
Ora è chiaro, diciamo le cose come stanno, che se ci forse stato un gruppo dirigente saggio, avrebbe dovuto capire che a quel punto se si voleva fare una svolta verso il socialismo il candidato segretario sarebbe dovuto essere Napolitano.
Era lui quello che si era mosso con più coerenza in questa direzione. Questa era la questione. C'era invece alla guida del partito Occhetto e fu lui a fare la svolta, ma la svolta si potè fare anche perchè l'area riformista aderì.
Deve essere chiaro che se l'area riformista non avesse appoggiato la svolta di Occhetto, questa non sarebbe passata.
L'area riformista aderì, infatti, con un suo documento autonomo in cui la motivazione di fondo era questa: dobbiamo entrare nel socialismo europeo. Senza la presenza di quel gruppo che aveva avuto una storia nella vita del PCI - e che storia! - la svolta si sarebbe arenata.
Parlo di un gruppo di dirigenti in cui c'erano Napolitano, Bufalini, io, Chiaromonte, Lama, Lina Fibbi, Cervetti e altri.
D'altra parte per il no c'erano: Ingrao, Cossutta, Tortorella, c'era Natta, c'era Pajetta...
Parliamoci chiaro, il congresso successivo alla svolta fu vinto perchè c'era questa parte del gruppo dirigente comunista che si spese a suo favore. Tutta l'area che si definiva berlingueriana, invece, si divise: una parte, compresi Adalberto Minucci e Angius, che erano stati a lungo collaboratori di punta di Berlinguer, dissero di no, e un'altra parte, penso a Reichlin e altri, rimasero a sostenere Occhetto.

Ma perchè ci fu in quest'ultima area di dare al dopo PCI uno sbocco socialista? Cosa impediva di fare questa scelta?
Intanto c'era stata la guerra con Craxi. Ma c'era anche una riserva di fondo sula socialdemocrazia.

La guerra con Craxi, quella ha segnato un' epoca, una generazione.
Tutti quelli che pensavano ad un rapporto diverso con il partito socialista erano bollati di essere al servizio di Craxi. Ho scritto nella mia biografia che credo di essere il solo dirigente del PCI che non ha mai parlato con Craxi. Non ho mai avuto un rapporto con Craxi. Avevo un rapporto molto affettuoso, ho anche delle lettere, con Pietro Nenni, con De Martino, con Giacomo Mancini, con Formica... con tanti socialisti che sono stat miei compagni e amici. Ho avuto un rapporto amichevole con Saragat.

Craxi, no.
Con Craxi non ho mai parlato, non l ho mai incontrato. Mi ricordo che una volta Napoleone Colajanni mi disse: “Craxi ti vorrebbe incontrare”. “Ma per parlare di che?”, dissi io e non lo incontrai. Ma non per diffidenza politica, è che non c'era tra di noi questa consuetudine di rapporti. Altri dell'area riformista, per esempio Gianni Cervetti, avevano un rapporto con lui, e anche Napolitano ne aveva...Io no. Però fui bollato come “craxiano”. In Sicilia ci fu una campagna fatta da Pietro Folena e da altri dirigenti contro di me quando si discusse la ia candidadura alle elezioni del '92. Dissero che se fossi stato eletto sarei andato con Craxi. Tutti i segretari di Federazione si mobilitarono dicendo: “Macaluso è già con Craxi”. E tutti provenivano dall'area del partito che sosteneva Occhetto.
Come poteva lo stesso Occhetto fare una politica verso l'area socialista con un gruppo dirigente che aveva, diciamo così, questa idiosincrasia verso i socialisti?

E anche sul ruolo dei magistrati e sulle culture che nascono da quella stagtone?
E.M: Anzitutto, vorrei fare un'osservazione proprio per entrare in quest'argomento. E cioè, la crisi del sistema politico italiano si apre prima di Tangentopoli. Anche le vicende di cui abbiamo appena parlato dicono che la crisi del sistema politico e delle forze politiche era grave.

P.C.: Fermiamoci qui e facciamo un punto su Craxi.
E.M.: Su questo punto voglio fare una premessa, Craxi è stato un uomo politico forte e capace, sia quando ricostruì un ruolo autonomo del PSI, sia quando costituì il primo governo diretto da un socialista. Il sistema politico italiano era anomalo e consentì a leader autorevoli di partiti minori, Spadolini e Craxi, di guidare governi in cui la DC manteneva la maggioranza relativa. Tuttavia Craxi fece un governo autorevole: Scalfaro agli Interni, Andreotti agli Esteri, Martinazzoli alla Giustizia, Visentini alle Finanze, Spadolini alla Difesa. C'era la solita paccottiglia dei partiti, ma i ministeri chiave erano in mano a forti personalità. Io, allora direttore dell'Unità, fui molto critico sul governo. Seguendone l'attività capii però che sia in politica estera che in politica interna era un gran governo. Quando poi fu cambiato il Presidente del Consiglio, la staffetta con De Mita, si ebbe il segno del degrado della politica. Craxi non seppe reagire bene, non capì che la situazione cambiava e fece errori assai gravi. Il più evidente, molto serio, riguarda come lui lesse l'89. Noi sappiamo quel che avvenne, lo abbiamo detto più volte nel corso di questa nostra chiacchierata. Riassumendo: ci fu la svolta di Occhetto del PCI, una svolta a metà, Occhetto con la svolta non volle andare nella direzione del socialismo, perché avrebbe dovuto fare i conti col socialismo italiano. Dall'altro canto Craxi pensò che l'89 metteva in crisi solo il Partito Comunista e pensava di poter prendere con sé frange dei comunisti. Fu allora che Piero Borghini dirigente comunista, diventò sindaco di Milano. Craxi pensava appunto che il Partito Comunista avrebbe avuto una crisi profonda e lui avrebbe raccolto pezzi importanti di quel partito per tornare rafforzato a Palazzo Chigi. Cioè, rinunciò a sfidare Occhetto sul terreno dell'unità socialista vera, non quella che lui mise nel nome del simbolo.
Avrebbe potuto dire: ora si apre una fase nuova, finisce la ragione di fondo per cui Pietro Nenni fece il centrosinistra (Nenni appoggiato da Lombardi e De Martino). Infatti la ragione di fondo del primo centro-sinistra fu il fatto che il Partito Comunista dopo il '56 ungherese rimase legato al mondo sovietico e nel momento in cui il centrismo entrava in crisi non poteva concorrere come forza di governo.
È chiaro che Craxi avrebbe dovuto sfidare Occhetto sul terreno dell'alternativa della sinistra, come aveva fatto nel ‘78 al congresso di Torino. Invece pensò di tornare a Palazzo Chigi attraverso il CAF, attraverso l'accordo con la Democrazia Cristiana e approfittando della crisi comunista.
Fu un errore politico profondo. Fu un errore che lo portò anche a fare alcune operazioni finanziarie di partito che lo avrebbero poi danneggiato e portato alla rovina. Ti racconto un episodio per capire come Craxi intendeva il rapporto con il PCI che si stava sciogliendo. Craxi tramite Borghini (una volta che io ero a Milano) mi mandò a dire che si poteva fare per le elezioni del ‘92 una lista assieme, socialisti e area riformista dell'ex PCI.

P.C.: Quindi era un invito alla scissione.
E.M.: Era un invito alla scissione, con una motivazione. La motivazione era che il suo gruppo dirigente si era esaurito, che i più noti esponenti socialisti erano diventati dei boiardi di partito. Bisognava riformare e rinsanguare il gruppo dirigente, e lo si poteva fare attraverso l'arca riformista dell'ex PCI. Io gli dissi che era pazzo, che la cosa non esisteva.
Non ottenendo la nostra adesione, lui cosa fa? Fa un'operazione tutta personale, non si fida più di nessuno e affida il denaro delle tangenti a personaggi che non hanno mai avuto rapporti col suo partito: l'architetto, l'amante della contessa, il suo amico d'infanzia, non ricordo neppure più come si chiamavano, gente che non era mai stata iscritta al Partito Socialista. Si affida a loro perché non si fidava più del suo partito, dei suoi uomini e volle fare un'operazione leaderistica di fondo, cioè rifondare tutto attorno alla propria persona.
Qui c'è un elemento che a mio avviso non è stato bene esaminato, tipico di questo tipo di leader, che si innamorano del loro ruolo, che lo ritengono essenziale ed esclusivo. Craxi riteneva che da Palazzo Chigi avrebbe rifatto il verso a Mitterrand. Fu un errore. E che errore! Quindi abbiamo avuto un doppio errore: l'errore di Occhetto di non collocarsi nell'area socialista per sfidare anche Craxi su quel terreno, e l'errore di Craxi di non sfidare Occhetto sullo stesso terreno.
La crisi esistenziale del Partito Socialista e della sinistra ha origine lì, perché l'unica possibilità che quella situazione consentiva era quella di un esame critico della storia del PCI e del PSI, e ognuno avrebbe dovuto farsi carico degli errori dell'altro e non usarli per ditruggere l'altro. Bisognava concludere con una forte iniziativa politica il grande duello che aveva diviso la sinistra. Io penso che la vicenda di Tangentopoli, che arriva dopo, risente di questo clima, nel senso che le forze politiche si sono lentamente sfibrate, la crisi di sistema era già aperta. La stessa Democrazia Cristiana cambia nome e diventa Partito Popolare perché pensa di dar vita a un sistema nuovo, perché avverte che il suo rapporto col popolo e forse anche con la Chiesa è cambiato.

(da “Politicamente s/corretto”
Emanuele Macaluso con Peppino Caldarola)