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2014,
Numero 2/3

Giacomo Matteotti. Epistolario 1904-1924

Raccolta a cura di Stefano Caretti con un saggio introduttivo di Maurizio degl'Innocenti
di Maurizio Degl'Innocenti

Con l'Epistolario 1904-1924, che consta 207 tra lettere e cartoline, edite e inedite, Stefano Caretti presenta al lettore il decimo volume delle Opere di Matteotti, che già consentono una puntuale ricostruzione del personaggio. L'Epistolario (il carteggio familiare è già stato pubblicato) si pone a utile corredo, disvelando stati d'animo e retroscena, e soprattutto ponendosi come insostituibile chiave di lettura del fattore “situazionale”, oltre che strettamente biografico. Così dalla corrispondenza di Matteotti datata dal 27 settembre 1904 con Giulia e Ada Gherardi, che lo hanno ospitato da studente a Bologna, si hanno interessanti informazioni sul suo apprendistato politico. A quella data risulta militante già “da un po' di tempo”, e l'impegno si traduce nella istituzione di un circolo o di una lega di contadini “con un'infinità di discussioni”, nonché nella collaborazione a “La Lotta”, foglio socialista del Polesine. All'azione di propaganda e di organizzazione si accompagna quella per le elezioni politiche dell'ottobre-novembre 1904 a fianco di Nicola Badaloni, riuscito eletto a Badia Polesine, dopo avere perso per pochi voti a Lendinara contro il moderato Eugenio Valli. Matteotti appoggia Badaloni anche nelle elezioni politiche del 1909, e gli è ancora legato nell' aprile 1912 se raccomanda a Gino Piva di recensire sull”‘Avanti” e sull”‘Adriatico” il volumetto di A. Gherardini, Il Pensiero e l'opera di Nicola Badaloni, edito a Badia Polesine nel 1912, prendendone le distanze solo dopo la scissione dei bissolatiani dal Partito socialista al congresso di Reggio Emilia del 1912, che produce effetti laceranti anche nel Polesine prima nelle elezioni politiche del 1913 e poi di fronte alla guerra mondiale.
Contro recenti tentativi di attribuire a Giacomo Matteotti la responsabilità di azioni violente che avrebbero “giustificato” la reazione fascista il “carteggio” off????? una piena e documentata smentita.
“La lettera inviata in data 3 marzo 1921 ad Aldo Parini, segretario della Camera del lavoro di Rovigo e collaboratore di Matteotti, è illuminante sulla realtà polesana, sempre in movimento non risultando mai gli accordi faticosamente raggiunti né stabili né condivisi da tutti. La posizione di Matteotti non è occasionale, ma il frutto di una meditata riflessione, perché ribadisce concetti già rappresentati ad altri organizzatori e esponenti socialisti. Sotto l'apparenza di difendere l'interesse” di classe”, con ciò intendendo l'interesse generale, e di non escludere “le ultime chiamate e i maggiori sacrifici per tutti”, egli denuncia la miopia inconcludente di coloro che vogliono estendere l'agitazione e ne taccia i comportamenti come “meschinamente egoisti”. Certo, non è: in grado di respingere in linea di principio lo sciopero generale, ma lo colloca in una dimensione est rema e, al buon fine, “col massimo vigore”, rifiutandosi alla pratica scioperaiola che tanto ha caratterizzato il biennio rosso, Come comportamento “egoistico” indica la pretesa di estendere lo sciopero anche “nelle campagne dove gli agricoltori (i proprietari) accettino la manodopera”, e di coinvolgere obbligati e bovai. Sul problema scottante delle compartecipazioni, è dell'avviso che occorra accettarle laddove i proprietari accolgano l'imponibile di manodopera, anche per dividere il fronte degli agrari, ammettendo solo l'opportunità, che per consolidare “la vera solidarietà”, bovai, obbligarti avventizi impiegati versino una piccola quota per la cassa comune. Per le semine si dice convinto che non sia “il momento per ora di pensare ti semine forzare, a invasioni di terre e simili”, consigliando piuttosto alle leghe di garantire pubblicamente la fornitura di manodopera a giornata ncccssaria. Chiara è la raccomandazione contro “le violenze stupide e dannose”: “Non precipitate nulla. Chi vuol precipitare è perché nell'anima si sente incapace di resistere”. È evidente la preoccupazionc di tenere unita l'organizzazione, unico strumento valido d'unione, ma l'atteggiamento è pragmatico, attento di non dare agio a “comportamenti egoistici” o a “violenze stupide e dannose”. Esce una figura ben diversa da quella dell'incendiario! E sono i giorni nei quali verrà sequestrato e minacciato di morte.
I rapporti con la Kuliscioff e Turati si fanno più stretti. La collaborazione su “La Critica sociale”, e in parte sull'“Avanti!”, si sviluppa su temi di grande rilevunza, in parallelo alla crescente autorevolezza acquisita dal giovane deputato all'interno del Partito. In una lettera dell'agosto 1919 richiama l'attenzione sulla “ingiustizia” dell'art. 12 della legge elettorale, perché consente la somma dei voti personali a quelli di lista. Si occupa di recensire il libro di J.M. Keynes critico sulla pace di Versailles (La revisione di Versailles secondo J.M. Keynes), cogliendo lucidamente il pericolo dell'oppressione della “nuova Germania democratica”. Nella corrispondenza con il pubblicista francese Charles Omessa del dicembre 1921, Matteotti ne condivide la percezione del “raffreddamento postbellico” tra Italia e Francia, lamentando come la prima si stia accodando alla seconda in una politica di armamenti contro la Germania disarmata, e prevede che così operando “resusciteranno e faranno rimpiangere al popolo tedesco l'antico regime militarista e prussiano come quello che almeno incuteva rispetto ai nemici”. Critica la politica francese in Polonia e in Jugoslavia dove, “anziché mirare alla pace e alla ripresa dei rapporti con la Russia e con l'Italia, attizza gli odi e provoca armamenti e sospetti di qua e di là dei confini”, cosicché “il nazionalismo italiano profitta della tattica del nazionalismo francese, per ripeterne gli errori e i danni contro l'Europa lavoratrice che anela il ritorno della pace”. Ritiene infine che in economia le pretese francesi a danno della Germania sollecitano il protezionismo che è “specialmente dannoso al popolo italiano privo di materie e ansioso di occupare la sua manodopera sia in casa sia all'Estero”. Matteotti scrive sulla pressione tributaria nei Comuni, su Come può diventare “attiua” la gestione privata dei servizi pubblici, e infine, nel novembre 1923, su Smontature finanziarie e La serie dei disavanzi italiani, “con dati ... sbalorditivi”.

Turati è e resterà il suo punto di riferimento. A proposito dell' odg del congresso nazionale del PSI che si terrà a Milano dallO al 15 ottobre 1921, in relazione al quale Turati rinunzia alla designazione di relatore sul tema: “collaborazione, partecipazione al potere, tattica parlamentare”, Matteotti condivide il rifiuto del tema “collaborazionismo”, in quanto esso sarebbe “la collaborazione portata a sistema e metodo”, laddove si potrebbe ammettere solo come “incidente” o come mezzo per meglio attuare la lotta di classe che resta il fondamento del partito. Non è su questo, pertanto, che si determina la disputa con gli “estremissimi”, quanto sul “metodo per la conquista del potere politico”, essendo la posizione dei massirnalisti incerta tra violenza e conquista legale, mentre quella dei riformisti ferma nella “conquista legale graduale”. Ma auspica che sul tema sia lo stesso Turati (o il comitato di frazione) a prendere posizione. N e riemerge qui il retroterra ideologico classista, del resto comune e comunque ora un inevitabile pedaggio da pagare a fronte dell' offensiva polemica massimalista e comunista, ma l'impianto di fondo è inequivocabilmente democratico, non prescindendo dall' azione graduale e riformatrice e dal metodo legale. Ciò trova conferma nelle polemiche con Serrati del marzo 1922 e con il massimalista trentino Lionello Groff del settembre successivo, quando respinge l'accusa ai riformisti di patteggiamento “coi nemici del proletariato”, concludendo che il programma massimalista (“proselitismo, propaganda avveniristica, pressione continua, opera di critica”) è un equivoco o un errore, essendo di fatto ormai tutt'uno con quello comunista, e cioè “formazione di quadri di forza che con un assalto violento si impadroniscano del potere, mediante una dittatura”. A fronte della proposta del PCdI di un blocco tra i tre partiti di classe, Matteotti risponde a Palmiro Togliatti in data 25 gennaio 1924 che essa contrasta “con l'obiettivo preliminare della restaurazione pura e semplice delle “libertà statutarie”, tanto più che il proponente ha posto tre condizioni inaccettabili: l'indirizzo tattico comunista (“antitetico al nostro”); la partecipazione alla lotta elettorale in qualunque condizione, rendendo così impossibile l'astensione del blocco che più immediatamente esprimerebbe la protesta di tutto il proletariato contro il regime di dittatura fascista, e soprattutto perché si vorrebbe escludere a priori “qualsiasi blocco di opposizione al fascismo e alla dittatura da esso instaurata che si proponga come scopo una restaurazione pura e semplice delle libertà statutarie”, magari con l'appoggio di elementi non appartenenti ai tre partiti. T aIe posizione è confermata nella riposta alla Direzione del Partito comunista in data 16 aprile 1924 in merito all'ipotesi di una manifestazione unitaria per il I maggio. Matteotti respinge la tesi del fronte unico, di cui coglie la strumentalità polemica da parte di chi ha inasprito le ragioni di scissione e di discordia nella classe lavoratrice. E scrive: “Restiamo quel che siamo. Voi siete comunisti per la dittatura e per il metodo della violenza delle minoranze; noi siamo socialisti e per il metodo democratico delle libere maggioranze. Non c'è quindi nulla di comune tra noi e voi”. Per lui il nemico è uno solo: il fascismo, ma complice involontario di esso è il comunismo, perché la violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell' altro. Il distacco con i comunisti è ormai incolmabile. Troppo diversi gli obiettivi tattici e di fondo, perfino il linguaggio. Quello socialista unitario parla ormai di libertà e di democrazia.

Nell'aprile 1923 Matteotti presenta a Turati il manifesto redatto per il I maggio (“Di tutta l'Europa civile, solo l'Italia mancherà alla festa del lavoro”). Oltre a denunciare la perdita della “libertà”, e cioè dei diritti di associazione, riunione, propaganda e di stampa, e del peggioramento delle condizioni salariali, la riflessione è finalmente portata anche sulla debolezza della sinistra, sulle esagerate illusioni, sui rapidi sco ram enti dei facilmente accorsi dopo la guerra e facilmente passati più tardi alle violenze opposte, sui seminatori e sugli autori di continue scissioni, sugli egoismi delle categorie più pronte a mutare colore, sulla trascuranza degli elementi morali ed intellettuali.
La revisione della dottrina pare una necessità ineludibile: “saggiarla al confronto della esperienza, è cosa degna di un partito d'avvenire”. Nella lettera del 4 maggio 1923 a Turati, a cui trasmette la prefazione all'opuscolo Direttive del Partito socialista unitario italiano, ricorda la feconda opera di redenzione delle plebi svolta in trenta o quarant'anni dal partito socialista e i significativi risultati ottenuti in tutti i campi dalla” civiltà del lavoro”, e con orgoglio constata come “l'ascesa e lo sviluppo dell'Italia nella corte civile delle nazioni, coincidano perfettamente con 1'ascesa e lo sviluppo del partito socialista e delle libere organizzazioni operaie”. L'immagine è quella di un graduale, ma profondo processo di emancipazione popolare, e quindi dell'intera nazione, che prima la guerra, poi le illusioni comuniste, e infine “la reazione e la violenza fascista” hanno interrotto e distrutto in larga parte. L'attesa è di riprendere il lavoro avviato improntato alla “grande solidarietà umana” (“]«, rifaremo! “), essendo “il socialismo un'idea che non muore! Come la libertà!”
Il carteggio evidenzia il precipitare della crisi delle istituzioni liberali, che dimostrano tutta la loro fragilità. Nell'estate 1921 la partita sembra già compromessa. Le amministrazioni locali sciolte, le cooperative in liquidazione o infiltrate da fascisti, alcuni esponenti socialisti, come il massimalista Antonio Zilli, passati al fronte avverso, minacce vengono costantemente rivolte contro la casa e la persona stessa della madre settantenne di Matteotti, le autorità di polizia sono troppo spesso conniventi con i fascisti. I compagni di Badia Polesine continuano a informare dettagliatamente sugli accadimenti, come richiesto con insistenza da Matteotti (nell' attesa di tradurre la protesta in atto parlamentare). Matteotti palesa grande lucidità, e percepisce tra i primi la drammaticità della svolta che si va compiendo nell' ottobre 1922, convinto che l'avvitamento della crisi sbocchi nella dittatura, termine che usa precocemente e senza incertezza. Di fronte alla crisi del Governo Facta e alla marcia su Roma la posizione è quella dello spettatore passivo, a testimonianza dell'inanità politica dei socialisti così come delle altre forze di opposizione (“del resto tutto si è svolto fuori di ogni azione o possibilità di azione”). Nella lettera a Treves dell'ottobre 1922 segnala la natura “extraparlamentare della crisi” preannunciando le dimissioni di Facta, e indica la parvenza di “un movimento per Orlando” (“ma non è ancora chiaro”), ben presto abortito. In una successiva a Turati osserva: “Se il Governo o il Re avessero voluto resistere, sarebbe stato facilissimo. Si dice che il Re dapprima avesse consentito allo Stato d'assedio, e solo poi abbia pensato altrimenti. Si dice che i comandi d'esercito abbiano risposto che essi erano pronti a resistere solo se il Governo voleva fare sul serio. Ciò che ... naturalmente Facta non voleva”. Dà conto dell'ipotesi di un Ministero Salandra e delle voci di un dissidio tra i liberaI-nazionali e i fascisti, del coinvolgimento presunto di Baldesi. E proposito della marcia su Roma: “molti studi distrutti, una ventina di morti, indifferenza pubblica. Viltà generale alla Camera: tranne il vecchio Cocco. Tutti pronti a entrare nel Ministero ... con lo strazio nel cuore!”, e “l'aria di non sicurezza, perché tutto è affidato all' arbitrio”, nonostante che la grande maggioranza delle squadre è partita.
In quanto al Partito socialista unitario, nato da pochi giorni dalla scissione con il Partito socialista italiano, a maggioranza massimalista, il neo segretario si trova di fronte a due opzioni: l'aperta opposizione, o “se bisognerà per vivere, vellutare la nostra opposizione, considerare il fatto rivoluzionario esclusivamente dannoso alla democrazia, e portarci sui problemi concreti”. Lascia la decisione alla Direzione che sarà convocata alla vigilia dell' apertura della Camera per sapersi meglio regolare secondo i fatti. E intanto pubblica un manifesto “abbastanza largo da poterei lasciare libero l'esame degli avvenimenti successivi”. E al socialista teramano Giuseppe De Dominicis in data 4 novembre 1922 ammette che è “probabile che permanga ancora quello stato di cose in virtù delle quali ci siano rese impossibili le nostre attività di organizzazione e di propaganda”, e allora “in attesa che la situazione si chiarisca” é necessario continuare a lavorare com'è possibile, riunendo le sezioni e “continuando soprattutto la pubblicazione del giornale, tenendo presente che la stampa è il solo mezzo di propaganda utile in questo momento”. Il consiglio è di evitare” gli atteggiamenti che possono dare al nostro lavoro un carattere cospiratorio”. L'opposizione è ridotta alla stampa! E per giunta le pubblicazioni de “La Giustizia” sono sospese: vengono riprese solo 1'8 novembre. È ormai una lotta solo di “difesa delle posizioni”. L'opposizione si sta sfaldando. Riducendosi la funzione del Partito alla stampa (“aiutiamo la stampa nostra ultima fiaccola di un libero pensiero”), che sembra parlare all'interno più che all' opinione pubblica, i problemi di diffusione, di redazione, di costi sono destinati a ingigantirsi, e ben poco valgono le sottoscrizioni raccolte da Gregorio Nofri o gli appelli rivolti agli emigrati socialisti nelle Americhe. E poi c'è il disorientamento, del resto comune alle altre forze politiche, ma per i socialisti unitari ancora più grave per le ripercussioni sull'universo organizzativo, sindacale e cooperativo.

Nella lettera a Treves del 9 novembre 1922 Matteotti parla “di tutto un movimento di circuizione, esercitato su molti dei nostri uomini, dagli emissari del dittatore”, convinto com' è che si voglia indurre il Partito “a piegare, a consentire, cioè a permettere il più comodo sviluppo della Dittatura”. Si conferma “l'opera perfida di assalto a tutto l'ultimo rimasuglio di ciò che possediamo, non più con la violenza certamente, ma con la semplice minaccia del terrore, con la corruzione degli elementi più resistenti, con la prigionia morale di chiunque dei nostri sarebbe capace di agire”. Matteotti è convinto che anche ai soli fini di prendere per buone “le inevitabili tendenze demagogiche (cosiddette di sinistra) del Governo Mussolini”, la migliore tattica resti comunque “la più ferma e dignitosa resistenza”. A Treves, che dirige a Milano “La Giustizia”, la quale sembra individuare i più impellenti problemi del nuovo Governo nell'ordine pubblico e nel pareggio di bilancio, oppone che sarebbe meglio parlare semplicemente di “libertà” e di “vita, cioè del pareggio nella economia dei lavoratori”. E ammonendo: “aspettiamo a venderei, quando ci pagheranno un prezzo conveniente, cioè una vera e non una falsa garanzia di libertà”. A Turati scrive il 18 dicembre 1922: “Le cose interne sembrano accomodate, e le corporazioni divengono fasciste, mentre le milizie che divengono del Presidente del Consiglio dovrebbero aprire gli occhi a tutti”. Nello stesso Gruppo parlamentare serpeggia verso il Governo una linea attendista, che fa capo a Enrico Ferri (,'leale attesa”), e con qualche difficoltà Matteotti riesce a imporre la propria in una riunione del 6 febbraio 1923, e decisa opposizione, e se ne lamenta: in un “momento grave come questo, non fanno che danneggiare proprio l'unica cosa che ci resta, il nostro bagaglio ideale”. Ancora più grave si presenta “la crisi di persone per la particolare situazione in cui ci troviamo”: l'accenno è alle visite a Mussolini di Baldesi nella prospettiva di un'improbabile unificazione sindacale, di Vergnanini sul futuro delle cooperative, e ancora di Alessandri. E polemizza con lo stesso Turati, che cerca di evitare personalisrni e si dimostra più comprensivo dei timori dei dirigenti della CGdL di salvaguardare il possibile dell' organizzazione confederale. Matteotti continua a vedere nella linea di Baldesi un pericolo mortale, e quando al convegno confederale di Milano del 23 -25 agosto 1923 questi pretende che spetti al sindacato “la difesa degli interessi immediati dei lavoratori organizzati” e dunque di valutare le condizioni “della solidarietà e dell' aiuto a quei partiti e a quei governi che si trovino sulla stessa linea del programma minimo di attuazione pratica e immediata del Sindacato”, vi coglie un assist agli avversari per colorare i socialisti di scopi piccolo-borghesi di bassa utilità immediata, e interpreta la rivendicata autonomia politica del sindacato come premessa per un possibile accordo col Governo. In ogni caso, capisce che una volta accettata la rinuncia all'azione “mediata di tutta la classe e di tutta la collettività produttrice” attraverso il Partito in Parlamento e in paese, sarebbe stata inarrestabile la condanna all' assoluta marginalità del PSU. A Giuseppe Parpagnoli, emigrato in Argentina, trae-
.ia nell'agosto 1923 un breve bilancio del biennio di “reazione [ascista”: “le organizzazioni economiche e politiche del prole-
I ariato vennero in gran parte assorbite o distrutte. Molti giornali perirono. Infinito numero di lavoratori dovettero per fame piegarsi al nuovo giuoco. Quelli che non si piegarono furono boicottati economicamente quando non anche banditi, carcerati o uccisi”. In quanto al PSU assicura la volontà di tenersi “ritto fra tutte queste macerie. Impoverito di soci, di denaro, di istituzioni e di consensi attorno, con voce affiocata e coperto di ferite, pure rimane in piedi circondato di squallore, grazie alla tenacia, e, ben può dirsi, talvolta anche dell'eroismo dei compagni superstiti”. Dice di una sua Direzione operante a Roma, ma “vi funziona come può, incoraggia, traccia le linee della nuova I attica, mantiene unite le scarse forze rimaste”; e di un suo organo centrale a Milano, che registra quotidianamente i misfatti del fascismo e “riafferma la nostra dottrina modificata secondo Ic terribili esperienze, e col solo fatto di uscire, dà ogni giorno ad amici e a nemici la prova provata che il socialismo in Italia, percosso e sconvolto dall' ondata fascista, non ne fu sommerso, resiste, si abbarbica al suolo della Patria ed è deciso a riaversi non appena le circostanze lo permetteranno”. Occorre prendere atto che “La Giustizia” è boicottata dai fascisti in molti centri, cosicché sarebbe necessario l'aiuto d'Oltre Oceano, per consentire al PSU “per le incontrate esperienze” di sperare di tornare a guidare la classe lavoratrice” a raggiungere i suoi destini per una vita piena, assennata e conforme a natura”. Chiosando: “Alcuni affermano che questa via è più lunga di altre che vengono additate, ma in realtà non è tale perché quelle altre vie, in apparenza più spicce e più estetiche, conducono solamente al disastro o ad una sterile contemplazione”. Si ribadisce così che l'obiettivo essenziale è ora non fare morire “La Giustizia”, perché si ha la possibilità di “parlare ai lavoratori solo attraverso la stampa”. Ma mentre si cerca di ritessere i contatti con i socialisti europei, anche in vista della ricostituzione dell'Internazionale socialista, il tesseramento incontra grande difficoltà (“mal connesse trincee della nostra difesa”), e amaramente si deve ammettere che non è “lieta prospettiva per chi è abituato a vedere nella milizia socialista l'onesto e tranquillo esercizio di qualche carica pubblica”. Cosicché “la tessera è il legame simbolico che fa delle nostre anime insofferenti un fascio resistente all'irrompere della tracotanza avversaria, ma è anche il mezzo per dare alla Direzione la possibilità di esplicare vantaggiosamente per il Partito il programma di riorganizzazione delle nostre forze”.

Matteotti punta su un blocco di alleanze per la libertà, e così si dispiace per il fatto che non si sia riusciti a includere nella lista elettorale per le amministrative milanesi del 10 dicembre 1922 “anche persone e competenze fuori del partito, a destra e a sinistra”. Nel dicembre 1923 aderisce ad un'Associazione nazionale per il controllo democratico fondata da antifascisti a Milano su un precedente inglese durante la prima guerra mondiale, ma insorge quando per il raggruppamento antifascista Prampolini propone il nome “Democratico” insorge perché lesivo delle legittime aspirazioni del partito (“Io e T argetti troviamo la cosa di una inopportunità straordinaria”). Nel maggio 1923 al socialista campano Menotti Bucco, che si rende disponibile a recarsi a Chieti per propaganda, raccomanda di “raccogliere in quella provincia adesioni e possibilmente, con i rimasti nel capoluogo, formare un gruppo o una sezione”, e tuttavia sa bene che nei piccoli paesi ciò è diventato impossibile, e per il resto non si può fare affidamento che su alcuni studi di avvocati, di cui viene fornito 1'elenco. Tra momenti di grande disillusione e incoercibili impulsi a fare, Matteotti non perde comunque la speranza di fare del PSU il centro aggregativo delle opposizioni (“l'unione di tutte le forze che onestamente e lealmente intendono di opporsi alla dittatura fascista”), e in tale prospettiva giunge a considerare l'ipo[(‘si di una riunificazione con i massimalisti. Tale eventualità, su (Id Turati resta molto tiepido, è considerata opportuna per non pvrdere completamente il contatto con le masse. Sta lavorando .ill'opusco]o Mussolini nel 1919-20 (uscirà postumo con il titolo Fascismo della prima ora. Pagine estratte dal “Popolo d'Italia”) e pOlta avanti il lavoro preparatorio per il libretto Un anno di douriuazione fascista, terminato poi agli inizi del dicembre 1923, e pubblicato nel febbraio 1924. L'opuscolo è pronto, è diventato ,Ii 200 pagine e potrebbe “uscire ora per lo scioglimento CameIII”. Gli acclude solo una premessa breve, ma di grande efficacia, .love alla pretesa del Governo fascista di giustificare “la conqui~I il armata del potere politico, 1'uso della violenza e il rischio di lilla guerra civile, con la necessità urgente di ripristinare l'autorità .lella legge e dello Stato, e di restaurare l'economia e la finanza sulvandole dal pericolo”, oppone “i numeri, i fatti e i documenti ruccolti (che) dimostrano invece che mai, come nell' anno fascista, l'arbitrio si è sostituito alla legge, lo Stato asservito alla fazione, e clivisa la Nazione in due ordini, dominatori e sudditi”.
Per rilanciare il partito considera l'opportunità di un concorso a premi per il “distintivo” o per la tessera del 1924, la quale infine sarà oggetto di studi e vari tentativi. Ha in mente di organizzare convegni a Napoli, Roma e, il più importante, a Milano tra settembre e ottobre. Conta ancora sulla autorevolezza di Turati, come dimostra la lettera del 29 agosto 1923: sarebbe un suo discorso quel “qualcosaltro”, più forte, su cui far leva per cercare di aggregare ceti e persone interessate ad “un' azione per la riconquista della libertà, e per toccare l'opinione pubblica”. Ipotizza come sede Torino, alla presenza dello stato maggiore del Partito, e come “programma” la riaffermazione di che cosa ci sia di vivo nella dottrina socialista, per poi ribadire “l'avversione ai metodi che hanno discreditato il partito nel dopoguerra e a tutti gli eccessi negli scioperi, negli appetiti di categoria, nei servizi pubblici” e quindi concludere con obiettivi immediati per la riconquista della libertà e per “la ricostruzione economica e morale del paese”. La prospettiva è ambiziosa: solo così sarebbe possibile “preparare una piattaforma nuova e a larga base, che abbia ripercussione non soltanto negli strati popolari, ma anche nei più colti e moderni della borghesia”. Turati è molto dubbioso “sull'opportunità - direi anche sulla serietà e sulla possibilità - di aprire il fuoco così presto, e di aprirlo proprio a Torino, dove il comunismo e il fascismo ci prendono tra due fuochi, dove, non è molto, si poterono assassinare a varie diecine di compagni (ciò dice l'ambiente) e dove un insuccesso comprometterebbe tutto per un pezzo”, anche se si dice convinto che in caso di elezioni, i socialisti sarebbero costretti a tentare, non fosse che per constatarne l'impossibilità. Ma infine accetta di aprire la campagna elettorale il 20 gennaio 1924 al Teatro Scribe di Torino, il testo integrale del discorso appare su “La Critica sociale” e poi viene raccolto in opuscolo: resterà uno dei documenti più alti dell' antifascismo italiano.
I rapporti con lo stesso Turati non sempre sono all'unisono, anche perché ben presto 1'attività di partito ha due centri: a Roma è la Direzione, a Milano si stampa “La Giustizia” e l'influenza del gruppo di “Critica sociale” è più forte. Un caso significativo è dato dalla celebrazione del Milite Ignoto. Matteotti per primo pensa di non lasciare ad altri “la brutta ipoteca bellicosa su un simbolo così sentimentale”, e ritiene possibile richiamarsi al Milite come colui che è morto “per la patria libera e per un mondo senza guerre”. Ma non tutti i compagni sono dello stesso parere. A Milano, senza coordinamento alcuno con la Segreteria, i socialisti cercano di prendere parte al corteo del 4 novembre, ma vengono aggrediti e allontanati da nazionalisti e fascisti. Intanto, anche “La Giustizia” si è aggregata alla celebrazione della Vittoria. Del mancato coordinamento e del tono esagerato del giornale (“nessuno finora era mai arrivato a questo”) Matteotti si lnrnenta con Turati in una lettera del 6 novembre 1923: “si comI) rende - scrive -1' esaltazione di una Difesa vittoriosa, ma non di lilla Vittoria che per un altro proletario si risolve in una Sconfitta (‘ in una oppressione. Perciò io ti avevo sempre scritto nel senso (klla Patria libera e mondo senza guerre. Ma mai più oltre”. Poi nuutisce la critica dichiarandosi comprensivo della situazione particolare di Milano e dell' Associazione combattenti, e come già per la Confederazione, “nelle circostanze attuali, a cose fatte”, non intende recriminare pubblicamente. Anzi si ripromette “di difendere il fatto” e di trarne argomento contro l'avversario.

Un motivo di maggiore dissenso è dato dall'attesa risistemazione dell'organico del giornale. In data 8 gennaio 1924 Turati lnmenta la frettolosità e la scarsa preparazione di certe decisioni della Direzione (“inutili e, dato il momento, pericolose”). Matrcotti si sente spiazzato, lamenta l'assenza di un minimo di disciplina, alza i toni parlando di “disfattismo”, che “trova tutti i pretesti e tutte le ragioni”, fino a coinvolgere lo stesso Turati (“mi duole soprattutto quando arriva a far presa su di te che ‘l'i uno dei pochissimi che resistevi all'inerzia dei molti. Io non comprendo codesto eterno dire e disdire”), fino a minacciare le dimissioni (“se ciò non va, dite di riconvocare la Direzione, affinché provveda altrimenti. Io così non vado avanti”). Ma poi Matteotti si ributta nella lotta con inalterato impegno. Tramite Canepa e Zaniboni nel febbraio 1924 favorisce una riunione con repubblicani, bonomiani, sardisti, Italia libera e “Patria e libertà, “Volontà” per rilanciare 1'obiettivo del blocco elettorale per la libertà, cioè di una lista nazionale comprendente tutta l'opposizione, ovvero della comune deliberazione per l'astensione. Una volta tramontata l'idea della lista nazionale delle opposizioni riunite, il partito preferirebbe l'astensione purché in questo proposito convengano tutti i partiti d'opposizione, da Amendola e Bonomi ai massimalisti, “non richiedendo invece il concorso dei popolari e dei comunisti”. Anche l'ipotesi dell' astensione svanisce ben presto, come risulta in una lettera a Giulio Zanardi del febbraio 1924. Resta il fatto che già si preannuncia l'Aventino.
Le enormi difficoltà incontrate nella preparazione della campagna elettorale inducono Matteotti a rivolgersi ancora a Turati per annunciare le dimissioni dalla segreteria dopo le elezioni. In realtà, percepisce chiaramente che la lotta politica è entrata in una fase nuova, per la quale larga parte dei vecchi quadri del Partito non sembrano più idonei (“ gente arrivata in altri tempi e per altri modi”). I tempi richiedono gente di volontà e non scettica, per una “resistenza senza limite” contro la dittatura fascista (“Cerco la vita, voglio la lotta contro il fascismo. Per vincerla bisogna inacerbirla”). Tale presupposto si base sulla convinzione, rivelatasi corretta, che il fascismo dominante non avrebbe deposto le armi né tantomeno restituito spontaneamente all'Italia un regime di legalità e di libertà perché “tutto ciò che esso ottiene, lo sospinge a nuovi arbitri a nuovi soprusi. È la sua essenza, la sua origine, la sua unica forza, ed è il temperamento stesso che lo dirige”. Da politico persegue sempre la “ricostituzione delle nostre file” con fede nella libertà, ma l'appello è sempre più rivolto ai “puri di cuore”. Va dunque a ricercare “gli atti di coraggio e di fermezza compiuti dai compagni in nome del Partito, perché d'ora in avanti intendiamo più che mai attingere alle energie morali del partito che fortunatamente rimangono intatte in mezzo al frantumarsi dell'inquadramento materiale della nostra organizzazione”. La dimensione della lotta al fascismo è spostata sul piano dei simboli, dei valori, delle idee. Il martirio di Matteotti ne rappresenterà l'apoteosi. s

Maurizio Degl'Innocenti


Lettera 93. Giacomo Matteotti a Giuseppe De Dominicis

“1922: Quanti morti e feriti da parte nostrsa?”


Roma, 4 novembre 1922

Caro compagno.
Durante gli avvenimenti di questi giorni, la Direzione dci Partito, non ha interrotto che in parte la propria attività. I suoi membri residenti in Roma si sono più volte riuniti per esam i nare i mutevoli aspetti della grave situazione e per raccogliere notizie su quanto avveniva in altre parti di Italia.
In questo periodo, come sempre, i compagni che corrispodono con noi possono assolutamente confidare nella oculatezza e nella prudenza della Segreteria e perciò possono indirizzare le loro lettere al solito indirizzo.
Intanto la situazione politica è da noi seguita con grande attenzione e cerchiamo di trarre da quella insegnamenti utili per l'avvenire. È probabile che permanga ancora quello stato di cose in virtù delle quali ci siano rese impossibili le nostre attività di organizzazione e di propaganda.
In attesa che la situazione si chiarisca è necessario continuare a lavorare come e dove si può; riunendo dove è possibile le nostre sezioni e continuando soprattutto la pubblicazione del giornale, tenendo presente che la stampa è il solo mezzo di propaganda utile in questo momento. Siate molto circospetti e prudenti nel prendere contatti con i compagni e con le sezioni, ma evitate quegli atteggiamenti che possono dare al nostro lavoro un carattere cospiratorio.
Poiché dalla cronaca dei giornali apprendiamo che ovunque sono state compiute nuove distruzioni, necessita che ci facciate conoscere dettagliatamente la situazione locale, indicandoci:
1) quanti morti o feriti di parte nostra o meglio di parte sovversiva ci sono stati da quando è cominciata l'azione fascista a tutto il 4 corrente mese;
2) quante sono state le case private bruciate o devastate a compagni o comunque a militanti in partiti od organizzazioni avversate dal fascismo;
3) quanti sono i giornali che sono stati soppressi;
4) quanti bandi sono stati emanati dal fascismo;
5) quante amministrazioni hanno dovuto dimettersi in seguito alle violenze;
6) quali sono stati i compagni che hanno dato esempi di fermezza e di coraggio di fronte alle violenze fasciste;
7) quali sono stati i compagni che avendo cariche rappresentative hanno dato prove evidenti di non saper tenere con dignità ti posto occupato di fronte alle violenze suddette.
Tutte queste notizie ci occorrono al più presto tenendo presente lo spazio di tempo che va dal novembre 1920 a1 4 del c.m. e indicando per i colpiti oltre ai nomi la professione e la località.
Intendiamo segnalare gli atti di coraggio e di fermezza compiuti dai compagni in nome del Partito, perché d'ora in avanti intendiamo più che mai attingere alle energie morali del partito che fortunatamente rimangono intatte in mezzo al frantumarsi dell'inquadramento materiale della nostra organizzazione.
La Direzione, in questo momento veramente critico per il Partito, intende assolvere a costo di qualunque sacrificio il compito che le fu affidato dal Congresso e perciò fa appello a tutti i compagni perché le si stringano attorno con rinnovata fiducia. Il nostro quotidiano che fra giorni riprenderà le pubblicazioni continuerà ad essere il nostro più efficace mezzo di propaganda. Non tralasciate quindi di procurare abbonamenti e di raccogliere sottoscrizioni inviando il tutto a Milano al compagno Nofri, via della Signora 8.
Ricordare ai compagni il dovere di prelevare immediatamente la tessera la quale serve non solo a testimoniare la inscrizione di ciascuno al Partito, ma anche e soprattutto per dare i mezzi necessari alla Direzione per continuare il programma di lavoro stabilito.
Sicuro che tu ed i compagni di codesta provincia farete tutto il possibile per sormontare con dignità la situazione presente, vi porgiamo i nostri più affettuosi saluti.

Il Segretario Matteotti

(Da “Avanti!”, a. LXXXI, n. 191, 24 agosto 1977, pp. 8-9 . Giuseppe De Dominicis (1883-1967), principale esponente dei socialisti unitari di Teramo)


Lettera 95. Giacomo Matteotti a Claudio Treves

(Il 2 dicembre, insieme a Tito Zaniboni, Baldesi aveva avuto un colloquio con Mussolini sulla possibilità di unificare tutte le organizzazioni sindacali. Antonio Verganini (1861-1934) segretario della Federazione delle cooperative, il 120 novembre aveva discusso con Mussolini questioni inerenti il movimento cooperativo. L'episodio era poi abilmente sfruttato dala stampa fascista per contrapporre lo spirito collaborativo di Vergnanini, nei confronti del governo Mussolini, alla rigida intransigenza di Turati e Treves)

Roma, 2 dicembre 1922

Caro Treves,

Avrai visto la nuova esposizione Baldesi. Come al solito, a noi è stata comunicata solo dopo avvenuta; e non sappiamo se conosciamo esattamente il contenuto del colloquio.
Per Vergnanini abbiamo dato il comunicato che egli non è inscritto al P [artito] S [ocialista] Unitario.
Non sappiamo cosa se ne pensi a Milano; ma da tutte le altre parti di Italia arrivano consensi alla nostra opera, contro gli esibizionismi personali.
Noi crediamo ancora e fermamente che si tratti di tutta una montatura e crisi di persone per la particolare situazione in cui si trovano. Ci ha però fatto meraviglia l'articolo della “Giustizia” Governo e lavoratori(1) che io credevo di Mazzoni, ma che questi afferma essere probabilmente tuo. Ciò che io non credo.
Ad ogni modo cerco di convocare al più presto la Direzione; o a Milano, o a Roma. Magari in settimana se si può farla a Milano. Ti saprò dire. Musatti voleva dimettersi anche dalla Direzione.

Saluti cordiali, Matteotti
Nel blocco amministrativo' come mai non vi è riuscito includere anche persone e competenze fuori del partito, a destra e a sinistra?

NOTA

(1) L'articolo era apparso sulla “Giustizia” del 30 novembre 1922. Nino Mazzoni (1874-1954), dirigente sindacale e parlamentare socialista dalla XXIV alla XXVII legislatura


Lettera 96. Giacomo Matteotti a Claudio Treves

Roma, 4 dicembre 1922

Caro Treves,
Profitto di un messaggero per dirti rapidamente qualcosa.
Qui nulla di nuovo veramente importante.
Ieri il Direttorio (Modigl. - Musatti - Donati - Bocconi - Garib.) deliberava di mandare un telegramma urgente a Baldesi per invitarlo a spiegazioni sui colloqui mussoliniani. Egli ci ha risposto oggi che non può e che mercoledì vedrà Turati a Milano.
Il colloquio è avvenuto naturalmente senza preavvisare alcuno di noi. Dopo il colloquio egli cercò me e informò Modigliani che si trattava soltanto dell'unità sindacale, e che anzi Mussolini non si era opposto alla adesione ad Amsterdam. Naturalmente Mussolini volle sapere come la pensasse ciascuno di noi. Modigliani e altri credono che nel colloquio vi sia stato molto di più da parte almeno di Baldesi. Così a Silvestri e a qualcun altro ha invece detto che partiva per Gardone!!
Certo così non si può andare avanti. Mentre da tutte le Sezioni e da tutte le Province ci vengono incoraggiamenti a stare fermi e diritti, il primo che vuole, fa per conto proprio e impegna il partito compromettendolo.
Volevo fare la riunione di Direzione a Milano perché voi siete certamente impegnati nella lotta elettorale; ma i due o tre rappresentanti del mezzogiorno non potrebbero venire. In caso sarà quindi a Roma subito dopo. Ciao

Matteotti

P.S.: Bararono ha indetto per stasera una riunione tra alcuni massimalisti e alcuni nostri (Musatti, Donati”, ecc.). Sono invitato anch'io. Pare che egli voglia affermare superato il concetto democratico e nello stesso tempo negare la III Internazionale (non so poi come risolva la contradiz.!). Temo sia ingenuamente succube di De Pazzi.


Lettera 97. Giacomo Matteotti a Filippo Turati

Roma, 8 dic. 1922

Caro Turati,
Mi dispiace dei tuoi giudizi, fondati sull' audizione di una sola campana, e precisamente di quella interessata personalmente.

1°) «Tutti noi sapevamo». Non so chi siano i noi. lo potrei dire «tutti noi non sapevamo». Cioè tutti coloro che appartengono al Direttorio ed alla Direzione e si trovavano a Roma non sapevano nulla. Né Modigliani, né Bocconi', né Buozzi, né D'Aragona, né Musatti, né altri che pure non si chiamano Matteotti. Per lo meno Baratono è venuto a chiederlo, e non ha trovato in noi «la ostilità preconcetta».
2°) «Invitato da Mussolini - invitato da D'Annunzio». Tutto ciò risulta evidentemente a te solo e a nessun altro. Noi sappiamo benissimo invece come sono combinati codesti colloqui e purtroppo sappiamo ora anche di quello Baratono «invitato da Mussolini», L'invito era il parto di uno dei soliti intriganti. E se avessimo saputo, avremmo detto di no anche a quello. Se ne sono viste le conseguenze.
3°) «Ritardo per non piegarsi ai comodi del dittatore». Anche questo risulta a te solo. Qui a Roma solo dopo il colloquio, Modigliani ebbe qualche resoconto da Baldesi che non aveva trovato me. Ma Baldesi non disse a Modigliani che poi sarebbe andato a Gardone né a nessun altro di noi; lo disse solo ai soliti giornalisti che dovevano lanciare la réclame. Perché?
4°) In seguito a questo fatto si riunì il Direttorio, anzi pochi membri del Direttorio, tra i quali Modigliani, che propose di telegrafare a Baldesi perché venisse ad informare prima che avvenisse qualche cosa di non riparabile. Da noi nessuno ha saputo della spedizione del telegramma, il quale quindi non voleva affatto lo scandalo dell'ad udendium verbum. Ma trapelò per i giornali solo tre giorni dopo spedito, cioè dopo che fu recapitato. Perché?
5°) Non sento che noi gli dobbiamo alcuna «riconoscenza per essersi esposto alle malignità» ecc. Oggi ci vuole assai poco coraggio ad esporsi a tali specie di malignità. Ce ne voleva nel 1919-20 quando ti ci esponevi tu. Non oggi che tutti sanno con grande facilità buttarsi verso il vincitore nei più diversi atteggiamenti, ma in ogni caso ritrovandosi sempre in una situazione assai più favorevole dei compagni che resistono fermi. E questi, questi soli hanno il diritto alla nostra riconoscenza. Questi soli perché essi soli rischiano veramente qualche danno effettivo. Vedi infatti articolo del “Popolo d'Italia” che è perfettamente l'opposto di quei propositi di libertà che attribuisce adulatoriamente Baldesi a Mussolini.
6°) Il Comunicato della Direzione non ha cercato, neppure esso, lo scandalo. Anzitutto non lo abbiamo comunicato ai giornali, ma alla sola “Giustizia”. Poi, prende in un fascio tutti gli intervistaioli di questo tempo, da Baratono a Zirardini', da Baldesi a Vergnanini - che hanno veramente mosso il disgusto e la nausea in tutti - per lo meno in tutti che vengono da noi e scrivono alla Direzione.
7°) La tua pregiudiziale si applica quindi non a noi, ma a quelli che con i loro fatti, con il loro scarso riserbo provocano tutti gli argomenti di scissione. Noi abbiamo avuta fin troppa pazienza e usate tutte le strade per evitare quel troiaio di cui ora sono riempiti i giornali. Tanto è vero che di noi non si parla affatto, ma si parla soltanto di tutti i nuovi avventurieri. Stamattina il “Messaggero” porta invettive di Zaniboni' contro di noi. L'altro ieri Cabrini mi comunicava un'intervista Zaniboniana sull'emigrazione che era un'ira di dio, e così di seguito ogni giorno.
8°) Che Baldesi abbia salvata la Confederazione, nessuno si è accorto né Buozzi, né Baglion ai quali abbiamo parlato. Evidentemente voi avete notizie speciali. O siete entrati anche voi nella mentalità miracolista.
9°) Per tua norma, Baratono è quasi sulla linea stessa di Baldesi. La parte della riunione coi vecchi massimalisti non terzinternazionalisti era ancora peggio. Ma il putrido era nella suggestione De Pazzi, che chiariva e sviluppava poi l'avvicinamento a Mussolini (il solo temperamento rivoluzionario secondo Baratono); dando a noi la precisa sensazione di tutta la manovra che si ordisce per avvincere questo e quello e sgretolare l'ultima forza ideale che ci resta.
Noi non siamo né abbastanza disonesti, né abbastanza ingenui per aderirvi. E abbiamo consenzienti quasi tutti i compagni delle Federazioni Provinciali che ci hanno scritto.
Tutto ciò senza entrare nell'ulteriore merito delle questioni interne sindacali ed internazionali, di cui parleremo in una prossima occasione. La lettera è per te, per la signora Kuliscioff e per Treves - esclusivamente - per non provocare nuovi pettegolezzi.
Scusami, ciao, tuo

G. Matteotti

P.S.; E (in tutta confidenza) ti ha informato Baldesi delle sue intenzioni giornalistiche?! Tieni nota anche di questo.
Mi duole anche che si parli o almeno si accetti da te alcun accenno di mia «ostilità preconcetta» contro Baldesi. lo non ho nessuna ragione personale; non gli sono nemmeno ... collega di lista di collegio. Fino a quando occuperò il posto di segretario del partito agirò obbiettivamente come tale, e pretendo di essere creduto. Se i compagni non credono non hanno che un mezzo, sostituirmi.


Lettera 184. Giacomo Matteotti a Filippo Turati

Roma, marzo-aprile 1924

Caro Turati
Vorrei fermare un pensiero, nella tua rivista affinché non abbia neppure il sospetto di ripercussioni elettorali, e prima delle elezioni affinché non sembri più tardi conseguente a un esito qualsiasi delle medesime. L'esito darà la misura della violenza e del terrore, non del consenso dei singoli partiti.
E vorrei fermarlo personalmente, non come segretario del Partito, tanto più che io sono deciso e spero, subito dopo le elezioni, che mi vorrete aiutare a liberarmi da un incarico che doveva essere provvisorio per due mesi e si è prolungato invece per oltre un anno.
«Anzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fin qui; la nostra resistenza al regime dell' arbitrio deve essere più attiva; non cedere su nessun punto; non abbandonare nessuna posizione senza le più recise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso Codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'Italia un regime di legalità e di libertà; tutto ciò che esso ottiene, lo sospinge a nuovi arbitrii a nuovi soprusi. È la sua essenza, la sua origine, la sua unica forza; ed è il temperamento stesso che lo dirige.
Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può raccogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano.
D'altro canto bisogna tornare a considerare la posizione del Partito Socialista Italiano. Purgato dai terzinternazionalisti e nettamente discorde da Mosca, ormai non è diviso da noi che da minori divergenze teoriche, più o meno equivoche o avveniristiche. Nella pratica e nel momento attuale non vi è poi alcuna differenza rilevante; e si potrebbe anzi dubitare se non sia minore la rigidezza e la combattività, in quelli che riparano sotto il pretesto formale che tutti i Governi borghesi sono eguali.
Ora, per tali divergenze tutte astratte o proiettate nel più lontano futuro, non è permesso tenere divisa la classe lavoratrice italiana, e toglierle tutto quel lievito di speranze, di ardimenti, di consensi, che soli possono permettere un' azione efficace, entusiastica e concorde nel momento attuale.
Il nemico è attualmente uno solo: il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell' altro. I lavoratori italiani, ammaestrati dalle dure esperienze del dopoguerra, devono riunirsi concordi contro il fascismo che opprime, e contro l'insidiosa discordia comunista; così nel campo dell'azione politica, come nella economica.
I fatti del resto lo impongono, anche al di sopra delle nostre minori antipatie, risentimenti, ecc.
Se non possono muoversi i Partiti ufficialmente, i socialisti dell'uno e dell' altro campo devono porre la questione e risolverla. Senza ritardo. Le cose non avvengono da sé; ma ad opera degli uomini. Il ritardo serve soltanto a diffondere un più largo scetticismo nelle masse, e a lasciare quindi penetrare negli spiriti indeboliti i veleni più opposti.
Le obiezioni sono facili, e le sento; ma bisogna superarle ad ogni costo, per agire rapidamente.

G. Matteotti

(L'articolo, proposto da Matteotti, non vide mai la luce. Sulla “Critica Sociale” (1-15 aprile) veniva invece pubblicato un commento di Turati contrario ad ogni ipotesi di riunificazione dei due partiti socialisti)


Lettera 186. Giacomo Matteotti alla Direzione del Partito comunista

“Non c'è nulla di comune tra noi e voi”


Da “La Giustizia”, a. XXXIX, n. 93, 17 aprile 1924, p. 1.
1) La lettera della Direzione del Partito comunista per una manifestazione unitaria in occasione del 1 o maggio era apparsa sull”‘Unità” del 15 aprile 1924. La pubblicità data alla lettera aveva suscitato la reazione negativa non solo dei socialisti unitari ma anche dei socialisti massimalisti (cfr. “Avanti!”, 17 aprile 1924) che la giudicarono strumentale.
2 Il riferimento è al fallimento delle trattative tra i tre partiti della sinistra per una strategia comune in occasione delle elezioni politiche dell'aprile 1924.


Roma, 16 aprile 1924

Riceviamo la vostra lettera contenente la solita proposta poligrafata per tutte le occasioni”. L'esperienza delle altre volte e dell' ultima in particolare', ci ha riconfermati nella convinzione che codeste vostre proposte, apparentemente formulate a scopo di fronte unico, sono in sostanza lanciate ad esclusivo scopo di polemica coi partiti socialisti e di nuove inutili dispute.
Ciò può recare piacere e vantaggio a voi, come al governo fascista dominante con gli stessi metodi di dittatura e di violenza che voi auspicate. Ma non fa piacere né a noi, né alla classe lavoratrice, che subisce il danno delle vostre disquisizioni e dei riaccesi dissensi.
Chi ha moltiplicato e inasprito le ragioni di scissione e di discordia nella classe lavoratrice è inutile e ridicolo si torni a camuffare da unitario e da «fronte unico».
Restiamo ognuno quel che siamo: Voi siete comunisti per la dittatura e per il metodo della violenza delle minoranze; noi siamo socialisti e per il metodo democratico delle libere maggioranze. Non c'è quindi nulla di comune tra noi e voi.
Voi stessi lo dite ogni giorno, anzi ogni giorno ci accusate di tradimento contro il proletariato. Se siete quindi in buona fede, è malvagia da parte vostra la proposta di unirvi coi traditori; se siete in mala fede, noi non intendiamo prestarci ai trucchi di nessuno.
Perciò, una volta per tutte, vi avvertiamo che a simili vostre proposte non abbiamo nulla da rispondere.
Tanto per vostra norma e definitivamente; e indipendentemente da quella che sarà la decisione della nostra Direzione intorno alla festa dello Maggio.
Il Segretario del Partito Socialista Unitario, Matteotti