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2014,
Numero 5

Costituzione italiana e la democrazia organica

Pubblichiamo un paragrafo del capitolo “Oltre la Democrazia organica” dell'ebook di Rino Formica sulla “Questione socialista oggi”
di Rino Formica

Sessant'anni fa, nel clima in fuocato dallo scontro sociale e da grandi passionalità politiche, la parte migliore della coscienza democratica dell'Italia o per lo meno quella parte che aveva avuto la maggioranza del consenso popolare, elaborò la Carta costituzionale ispirandosi ai principi della democrazia organica, che segnerà la storia della repubblica.
Il caposaldo della società organica è il superamento del sistema liberale fondato sull'indivisibilità del principio di libertà, e l'approdo ad una forzata visione della integrazione tra libertà politica e libertà sociale.
Per democrazia organica si intende innanzi tutto una cultura politica, organizzata attorno a un nucleo, a una visione della politica, dei rapporti istituzionali, sociali ed economici e, nello stesso tempo, a una forma di organizzazione dello Stato e di tutti i soggetti politico- istituzionali a questo relazionati organicamente finalizzati alla determinazione di un modello politico.
Per democrazia organica inoltre si intende l'egemonia dei partiti. La vita democratica coincide con la vita dei partiti, vi si riconosce totalmente, parte e si ripara nella vita dei partiti. La classe dirigente del paese è la classe dirigente dei partiti, è il ceto politico. La cultura politica del paese è organica alla cultura politica dei partiti, anche quando si forma nel gioco organico dello scontro politico. I partiti di massa tendono a identificarsi con il ruolo dello Stato e a collocarsi in una posizione di dominus in tutte le relazioni istituzionali, civili e sociali.
Se dobbiamo trarre un bilancio e stabilire quanto di quella ispirazione originaria sopravviva, bisognerà riconoscere che la società organica ha assorbito i grandi conflitti sociali e politici degli anni '60, ha bloccato il terrorismo, ha superato la crisi del comunismo, ha consentito l'ingresso in Europa, ha digerito Mani pulite, ma oggi è definitivamente consunta.
Va anche detto che la società organica, disegnata dai costituenti, si è concretamente riconosciuta nelle forme della democrazia consociativa e ha preferito una logica continuista negli equilibri di potere piuttosto le rotture (rotture formali e continuità sostanziali), abbracciando in questa visione opportunistica tutte le forze politiche indistintamente.
I socialisti nella Costituente ebbero un ruolo importante ma si divisero, per non portare il peso della responsabilità della democrazia organica e non chiudere definitivamente le porte a una democrazia delle libertà, a una democrazia liberalsocialista.
I socialisti pagarono un prezzo alto a questa scelta: la presidenza dell'assemblea costituente e la scissione.
Per tale ragione oggi i socialisti hanno titolo per mettere mano ai cardini della democrazia organica e riaprire la prospettiva di una nuova cultura politica, una visione della politica ispirata ai principi del socialismo democratico e liberale italiano ed europeo.
La Costituente socialista deve ripartire da quei luoghi della Carta democratica su cui si è saldamente insediata la democrazia organica, per slegare i lacci della nostra vita democratica dalle contraddizioni ormai insopportabili determinate dalla crisi dei partiti, dalle insufficienze delle riorganizzazioni in atto sul fronte dei partiti e dalle debolezze della società civile e delle sue forme organizzate.
Da dove partire per una critica dell'ispirazione organicistica della Carta? Dal ruolo dei Partiti. Dal ruolo dei sindacati. Dalla questione vaticana e dalla forma burocratica data al rapporto tra laici e cattolici in Italia, rapporto che è stato incardinato dall'art. 7 proprio nei termini di rapporto tra “potenze”.
Tre articoli-snodo della nostra Costituzione da coinvolgere in una discussione politica di massa, sia ben chiaro!, non da rinchiudere nelle stanze ovattate di commissioni straordinarie. Tre articoli: l'art. 7, l'articolo 39 (i sindacati); l'art. 49 (i Partiti).
La crisi della politica, oggi nel paese, ha assunto una tale forza distruttiva che richiede un ritorno alle origini del problema. La pervicace neutralizzazione di tutti i tentativi di riformismo sistemico ad opera dei protagonisti del compromesso costituzionale (ricordiamo la furia con cui il fronte unito dei cattolici e dei comunisti si oppose al cosiddetto presidenzialismo craxiano) ha portato a lungo andare al degrado del tessuto ideologico dei partiti, alla superfluità delle culture politiche (che per essere efficaci devono formarsi empiricamente, di volta in volta) trasformando i partiti da comunità tenute assieme da una finalizzazione e da un destino a una “comunità di servizio”.
Il Partito politico oggi è sempre più un contenitore di opinioni contingenti, sensibilità approssimate, istanze particolari, utilità e servizi. Al servizio di chi e di cosa? Al servizio del leader, della leadership di gruppi dirigenti, del sistema politico ormai autonomo e sovranazionale, interconnesso alle centrali di coordinamento politico internazionale (i popolari, i socialisti, i conservatori, i liberali etc.); al servizio dei sistemi valoriali che si coagulano ormai al di fuori dei partiti.
Si è passati, per inerzia e inedia, dal Partito ideologico, dal partito-Chiesa al Partito- servizio. Col sovrapprezzo di assistere al fenomeno dell'incalzare di nuovi poteri (primo tra tutti quello bancario-finanziario) per occupare il vuoto politico del Partito, snervato della capacità finalizzatrice. Con il rischio reale di creare un nuovo organicismo nel sistema dei poteri, una nuova democrazia organica, non più definita dalla centralità dei Partiti, ma dalla egemonia dei nuovi poteri. Insomma, un organicismo tecnocratico. Questo appare realisticamente e nient'affatto catastroficamente lo sbocco autoritario dei processi più o meno democratici in atto in Italia.
Ripartire, dunque, dai punti di raccordo del compromesso organico per ridiscuterli e riaprire la partita della forma e del destino della nostra democrazia.
Riteniamo utile proporre una rassegna delle posizioni che si espressero nel dibattito costituente, al fine di valutare la complessità di una fase politica, le incertezze e le forti volontà dei personaggi protagonisti, i valori e calcoli brevi delle forze politiche. Per valutare la posizione dei socialisti, sofferta come sempre, mai militarmente organizzata, sempre aperta a soluzioni non organicistiche, al dubbio dell'intelligenza e al destino della libertà.
E' una lettura politica quella che si ripropone, per riaprire un orizzonte storico e per orientare le battaglie di domani.
La forma-Partito nel dibattito all'Assemblea costituente
La Costituente socialista deve rappresentare nel quadro politico nazionale il passaggio chiaro e riconoscibile verso la democrazia delle libertà e delle opportunità e deve collocarsi in maniera altrettanto chiara e riconoscibile nel punto di rottura con la democrazia organica, così come è stata concepita e voluta dai padri costituenti.
Per democrazia organica, abbiamo detto, si è inteso l'organizzazione dell'intera vita statuale-istituzionale, dello stesso sistema politico nonché della formazione civica e della partecipazione politica dei cittadini attorno alla formazione e alla vita dei Partiti.
Il Partito, i Partiti, il sistema dei rapporti tra i Partiti è stato e rimane tuttora il centro propulsore della vita democratica, il luogo in cui si riflette e riproduce la stessa meccanica della democrazia (possiamo dire che il modello emiliano rappresenta il prodotto di successo di un organicismo non totalitario). Modello emiliano che ha visto e per molti aspetti ancora conserva una struttura imperniata sul Partito-municipalità-Ente locale attorno ai quali ruotano i rapporti sociali ed economici (i sindacati, le associazioni, le cooperative) e rispetto al quale modello solo “i nemici di classe” e la conservazione possono pensare di mettere in discussione.
Nei giorni appassionati del dibattito all'Assemblea costituente si realizza la prima grande riforma politica della nuova Italia: attorno alla questione dell'art. 49 della Costituzione e al
riconoscimento giuridico dei partiti si costruiscono le fondamenta della “democrazia dei Partiti” (negli allegati si danno ampi stralci di quel dibattito).
Dossetti, La Pira, Moro, Basso, Togliatti, tutti convergono sul punto: l'Italia democratica deve rinascere dai Partiti. Il Partito è il punto di partenza e nello stesso tempo il punto di confluenza dei processi di democratizzazione dell'Italia che rinasce.
Riprendiamo quel dibattito del lontano 1946-47 per una ragione di giudizio sintetico, rinviando alla documentazione per una più informata interpretazione storico-politica. In quel dibattito svoltosi nella prima sottocommissione e nel dibattito generale dell'assemblea costituente si pongono le basi teoriche della visione organicistica della democrazia e di quello spirito costituente che diventerà la cifra sistemica del modello democratico nazionale. Riprendiamolo per comprendere non solo i rapporti di forza (liberali e liberalsocialisti sono in netta minoranza) ma per cogliere le convergenze tra integralismo cattolico e quello comunista che acquisiranno nel tempo come sappiamo intensità e potenza fino a formare un abito di costituzione materiale.
“Alla democrazia parlamentare non più rispondente alla situazione attuale, si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti già in atto” (Basso).
La Pira risponde dichiarandosi d'accordo perché questa (la democrazia dei Partiti) corrisponde a una “visione organica dello Stato”. Anche Moro dichiara di concordare “sul principio che la nostra democrazia si debba avviare verso le forme organiche da lui (Basso) prospettate”.
Dossetti rispondendo a un'obiezione dei liberali afferma che le osservazioni dell'on. Mastrojanni “non tengono conto del fatto che oggi la democrazia si orienta verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia parlamentare”.
Togliatti si spinge a richiedere una graduatoria di democraticità tra i partiti: “E' assurdo mettere tutti i partiti sullo stesso piano”.
Si potrebbe continuare con le citazioni e concludere, col senno del poi e per paradosso, che in quella discussione per la costituzionalizzazione dei partiti si realizza il compromesso tra la concezione leninista del partito propria dei comunisti e la versione integralista-organicista della società e dello Stato tipica del cattolicesimo democratico e prevalente nel gruppo dirigente democristiano.
Poniamo un quesito: si può sostenere che la riorganizzazione democratica dell'Italia avviata dai costituenti sulla base della forma-Partito costituzionalizzata, sulla base della assimilazione della vita interna e dell'organizzazione dei partiti alle forma pubblica organizzata (e viceversa), abbia realmente portato il Paese verso quella prospettiva di democratizzazione voluta dal sentimento democratico degli italiani e necessaria a connotare in senso liberale la nostra democrazia? O piuttosto è stato anche questo un episodio di rivoluzione passiva e di continuità tra l'organicismo statuale del fascismo (che affidava alle “istituzioni” il compito dell'organizzazione dello Stato totalitario e al partito unico il compito di ideologizzazione delle masse) e l'organicismo democratico del compromesso tra comunisti e cattolici che ha incardinato il processo della democrazia sulla centralità dei Partiti e in una accezione addirittura “antiparlamentare”?
Sono dunque i Partiti la cellula costitutiva dell'esperienza democratica. Dentro la struttura e l'organizzazione politico-ideale dei partiti si forma la cultura politica e istituzionale del governo e del Paese, dentro la “società” dei partiti si forma la classe dirigente, dentro lo spazio della forma-Partito che è anche forma della politica e delle istituzioni vive la democrazia e la specificità del modello italiano.
Alla luce di questo dibattito, si comprende meglio la discussione che dal dopoguerra ad oggi, sino alla fase attuale di riorganizzazione del sistema dei Partiti, si è avuta sulla forma-Partito, una discussione niente affatto astratta ma solidamente piantata nella concretezza dei rapporti di potere, per l'egemonia e per il governo del Paese.

Si comprende meglio il valore strategico della permanenza della forma organizzativa di tipo leninista del Partito comunista italiano (ancora difesa da Berlinguer in un celebre intervento del 1978), del lungo lavoro di superamento della forma-partito centralista e burocratica avviato dal PSI (iniziato dalla Conferenza d'organizzazione di Firenze del 1975) e della versione policentrica e correntizia della Democrazia cristiana.
Nonostante la diversità delle formule organizzative adottate dai maggiori partiti nazionali, funzionali all'esercizio della dialettica politica e funzionali al controllo delle aggregazioni sociali di riferimento, nonostante la distanza tra il partito-pesante del PCI e le forme più o meno leggere e “laiche” volute dai socialisti e dai democristiani, la vita pubblica nazionale scorre lungo i canali dei Partiti senza mai fuoriuscire dagli argini costituiti dalla nervatura partitica delle istituzioni e dello Stato. Sino all'avvento della democrazia globale, sino all'affermazione della mondializzazione che mette in crisi la forma totalizzante del Partito con le sue declinazioni nazionali.


La “democrazia dei Partiti”

Leggere la Costituzione italiana come compromesso tra organicismi (quello comunista- frontista e quello cattolico-dossettiano), cioè tra visioni organiche della democrazia non è un modo riduzionista per svalutare il lavoro dei costituenti, né per opporsi a una formula soffocante di intesa ai danni di minoranze laico-liberali nel nome di un giudizio storico. E' operazione necessaria di disvelamento della matrice arretrata di una cultura politica che ha operato “organicamente” nel lungo lavoro costituente e che ha le sue radici nella storia del comunismo italiano e del movimento cattolico (con rara ma significativa eccezione nella figura di De Gasperi), nel radicalismo e nella subalternità del proletariato italiano, in una visione dell'evoluzione democratica del Paese che passa attraverso processi di pedagogia politica e civile per mezzo del partito politico di massa (agevolati in questo dall'opera di ideologizzazione e di politicizzazione del Fascismo).
Tutte le fasi di democratizzazione-modernizzazione del Paese avvengono all'insegna della strategia politica e di movimenti politico-ideali di stampo politico-partitico. La società, i processi e i movimenti sociali fanno da contesto, sono i contorni di un disegno ascrivibile al soggetto collettivo del Partito, dei Partiti. La storia civile del paese, con la breve interruzione del Sessantotto, è storia “politica”, è storia di Partiti, è storia di gruppi dirigenti cresciuti nei partiti.
Anche l'esperienza del centro-sinistra, il primo incontro tra il socialismo italiano e il partito dei cattolici, non è inteso come occasione storica ma sfuma e scolora in un evento di governabilità possibile, registro di nuovi e diversi rapporti di forza e riequilibrio di poteri. L'Italia cambia e svolta solo quando c'è un salto nell'organicismo politico degli assetti democratici e di potere (il centrismo prima e il centro-sinistra poi), oppure c'è uno scatto di autonomia nei gruppi dirigenti degli apparati di partito, oppure quando irrompe la società nella struttura e nella recinzione della politica.
Naturalmente la democrazia organica ha conosciuto momenti di splendori sia con il centrismo, quando la DC si è fatta Stato, ha modellato le strutture statuali (soprattutto nelle articolazioni economiche dell'impresa pubblica) a immagine della sua particolare “socialità” e immettendo nel circuito amministrativo il ceto politico raccoltosi attorno a quel partito. Anche se va detto che la suddivisione correntizia del partito della Democrazia cristiana è stata un potente antidoto alla degenerazione burocratico-autoritaria e centralistica e, anzi, ha rappresentato una forma originale di adesione di questo partito all'articolazione della società italiana e all'incorporazione e rappresentazione di interi pezzi di società e di ceto politico-amministrativo (si pensi al rapporto tra Sinistra di base e Mezzogiorno; tra Sinistra DC e movimento sindacale etc.).

Un altro momento di gloria è stata, va da sé, la fase tormentata dei governi d'unità nazionale sul finire degli anni Settanta, della quale si è già detto in altra parte del documento.
Ma la democrazia organica è stata fortemente contrastata dall'esterno, come al tempo del Sessantotto, la cui forte spinta sociale poteva far prevedere un indebolimento “organico” dei Partiti a favore delle strutture cosiddette intermedie della società, ma che in realtà rientrò nel recinto organizzato dei partiti per la ragione del radicalismo politico e dell'ideologia “rivoluzionaria” che ne privilegiò gli aspetti per così dire “organizzativistici” (si veda la proliferazione di movimenti e partitini, tutti a struttura rigorosamente leninista- centralista).
La reazione socialista al compromesso storico negli anni Ottanta, con il governo Craxi, fu un momento di contrasto (dall'interno) dell'organicismo. Craxi comprese che la formula pattizia del compromesso democratico rappresentava la forma più alta di guida dall'alto, di centralizzazione dei processi di allargamento della democrazia, con gravi rischi di autoritarismo. Ma Craxi non comprese che la risposta alternativa doveva procedere non soltanto dal lato dei contenuti liberaldemocratici e riformisti dell'azione di governo, non soltanto dal lato cioè della governabilità, ma andava assegnato all'obiettivo della riforma dei partiti e alla promozione della società organizzata non solo entro formule partitiche, un alto grado di priorità. Al contrario, l'esperienza di quel governo si mostrò, dal punto di vista sistemico, come la riduzione del “buon governo” alla solita intesa verticistica.
Ma qual è l'inciampo più grande sulla strada del modello organico della “democrazia dei Partiti”, che ne mette irreversibilmente fuori gioco i meccanismi di funzionamento?
Si chiama globalizzazione il punto di caduta dell'organicismo democratico e, nel caso italiano, conosce una versione specifica che è la europeizzazione, cioè la denazionalizzazione di alcune funzioni essenziali di governo: la politica monetaria sopra ogni cosa, i regolamenti unitari in diverse materie e discipline della vita nazionale.
In questo processo sovranazionale saltano le regole e i vincoli nazionali delle relazioni politiche, saltano i rapporti meccanici tra partiti e i rispettivi insediamenti sociali, saltano le relazioni tra gruppi e apparati di partito. Le culture politiche e gli interessi specifici che regolavano i rapporti interni al ceto politico non amministrano più i vecchi legami, le vecchie correnti. Le logiche politiche nazionali si mescolano con quelle sovranazionali. La sovranazionalità europea entra in contrasto con la globalizzazione mostrando le angustie di una mera visione europea, evidenziando sempre più le necessità di esporsi alla competizione, di definire strumenti autorevoli ed efficaci di regolamentazione dei flussi globali.
I Partiti nazionali, insomma, diventano componenti di un sistema, non sono più il centro del sistema. Accanto ai Partiti e spesso in competizione con questi vi sono altre strutture e altri soggetti di rappresentanza, altri interessi organizzati e “raggrumati” in organizzazioni, individualità professionali che competono con leadership politiche (il caso Berlusconi può essere ascrivibile a questa fenomenologia), culture politiche che per essere riconosciute hanno necessità di incorporare la globalizzazione e per affermarsi non hanno bisogno del timbro della propria scuola nazionale e di partito ma devono saper ricercare il punto di equilibrio tra interesse nazionale e interesse sovranazionale.


PD e Cosa rossa: rinnovamento nella continuità

Il modello di partito politico e il sistema politico basato sulla democrazia organica dei Partiti è in crisi irreversibile. La Costituente socialista gioca la propria legittimazione a soggetto politico di governo sulla qualità della risposta a questa crisi che è crisi dell'organizzazione e del sistema della politica in Italia.
La Destra larga di Sarkozy ha cominciato il cammino dell'elaborazione dell'alternativa alla crisi dell'attuale sistema di globalizzazione. E a Sinistra?
Se è fuori discussione che la costituzione del Partito democratico (PD) sta dando luogo a varie iniziative di ristrutturazione e di aggregazione di partiti sia nel centrodestra, sia al Centro che in tutta l'area del radicalismo e del movimentismo di Sinistra, è altrettanto vero che il PD di per sé non costituisce esempio di risposta a quella specifica crisi della forma- Partito che è data dal ruolo totalizzante ed esclusivo dei Partiti nella dialettica politica e di governo e si colloca in perfetta continuità con l'ideologia organica assegnata ai Partiti dalla Costituzione.
Si può dire che il maggiore motivo di debolezza del processo democratico (il PD) sta nella consapevolezza di dover superare in tutta fretta i modelli tradizionali di organizzazione, di aprirsi al policentrismo sociale organizzato per fare spazio a nuclei di società democratica aggregata in movimenti, di dare rappresentanza e ruolo politico a questi movimenti e, nello stesso tempo, registrare da parte del gruppo dirigente ulivista l'incapacità di dare soluzione onorevole al busillis.
L'inflazione di democraticità e di regole garantiste nelle procedure per l'elezione del segretario e dei gruppi dirigenti del PD, cui assistiamo in questi giorni di vigilia elettorale, non solo contrasta con la prassi di prevaricazione degli apparati ma è il segno strutturale di una contraddizione irrisolta, anzi della incapacità di superare la “tradizione”, è la dimostrazione della forza attrattiva dei vecchi modelli, con il ricadere irrimediabilmente nel partito-apparato (al plurale, vale a dire nella sommatoria di apparati che amplificano gli effetti della burocratizzazione). Quali sono i processi in atto (nel PD) di formazione di una cultura politica unitaria? Il fusionismo politico-ideologico che è lenta ma programmata agglutinazione di pensiero e di esperienze si tramuta in semplice sommatoria, anzi in palese distinzione delle antiche famiglie in nuovi sistemi correntizi e nuovi schemi di alleanze.
Dov'è il Partito diverso? Dov'è quel modello che doveva essere il luogo di un policentrismo organizzativo (soggetti politici assieme con soggetti sociali-professionali e interessi democraticamente organizzati) tenuto assieme da una solida cultura riformista e da forti gruppi dirigenti radicati nella specificità e nella rete del localismo, tipico della realtà italiana? Si vedono solo i prodromi di un fenomeno di infeudamento politico determinato dall'inedito intreccio di rinnovati mescolamenti di alleanze e nuovi sistemi di potere su base territoriale.
Altrettanto sta accadendo nella cosiddetta aggregazione della Cosa rossa. In questo caso il progetto fusionista si complica in quanto convergono forti matrici organizzative e resistenti insediamenti politico-sociali, trasportati da protagonisti con basi sia nella tradizione del comunismo italiano, del radicalismo operista che in quella del movimentismo giovanile e anti-istituzionale, ambientalista e antiamericano.
Come si possa conciliare la continuità con la tradizione comunista di stile berlingueriano, la difesa ad oltranza del blocco sociale operaio con il Welfare allargato richiesto dai movimenti a copertura della domanda di masse giovanili in condizioni lavorative di precarietà o di in occupazione, non è dato sapere. Così come non convince la soluzione proposta di tenere assieme un fronte così largo con il semplice ricorso alla “cultura del conflitto”, con l'unica risorsa del principio di contraddizione di classe in grado di “far avanzare” i processi democratici e nello stesso tempo di produrre soluzioni e sbocchi positivi per i conflitti.
Si propone uno strano ibrido politico. Per la Sinistra alternativa la cultura di governo non coincide con il riformismo ma piuttosto si alimenta e si arricchisce attraverso il conflitto e tanto più con esso si intreccia (governo e conflitto) tanto più è prodiga di buoni risultati.
Di quello che accade a Destra non conviene parlare per scelta precisa di economia della nostra discussione.
Va registrata solamente una analogia sul fronte sia dei fenomeni aggregativi sia della confusione e dell'incertezza dei progetti e delle strategie, dovute alla necessità di tenere assieme e di occupare contemporaneamente il centro moderato e il radicalismo conservatore e anti-sistema, ancora presente in dimensioni massive.
Il Socialismo largo per battere la Destra larga. Abbiamo detto che l'ispirazione organicistica originaria si è col tempo “sfarinata”. Rimane come “zoccolo” sub-culturale, retro-cultura politica della cultura politica nazionale, retorica di ultima istanza.
Sin dal lontano 1947, in verità, dovette fare i conti e piegarsi alla durezza del quadro internazionale e interno. Poi lasciò il campo alle forme consociative e compromissorie per dare risposte fallaci e “unitarie” all'irrompere della complessità, per poi essere definitivamente travolta dal pluralismo della società, dei soggetti economici e sociali, dalla forma sovranazionale dei governi. L'organicismo si travestì da “autonomia del politico” per sopravvivere all'avanzare dell'autonomia del sociale e soprattutto all'autonomia delle forze economiche del capitalismo mondiale.
In un campo disegnato dal vuoto di organicismo, dalla sconfitta delle grandi ideologie, dell'esaurimento del compromesso socialdemocratico e della stessa questione sociale (ristretta alle fasce marginali della società), dalla vittoria del capitalismo a ovest come a est, al nord come al sud, in questo campo si insedia la Destra larga. Di questa Destra Sarkozy è l'alfiere.
Se l'economia capitalistica domina sull'intero scacchiere mondiale e si intreccia con tutti i sistemi politici (si chiama mercatismo, unione di liberalismo e comunismo, con l'occhio evidentemente al modello cinese, che è anche il modello asiatico, ma anche forse il modello russo) se dunque l'economia è un vettore che cammina secondo un tracciato ineludibile (l'economia come la forma di un nuovo materialismo storico) la politica riesce finalmente a emanciparsi dall'economia e può dispiegare il suo potenziale, a quel punto solo tecnico, lasciando alle forze politiche la possibilità di differenziarsi solo su basi ideologiche.
A quali conclusioni giunge la Destra moderna? Presto detto: l'economia è globalizzata (sotto forma di mercatismo), la Politica è tecnica di governo delle contraddizioni e ricerca dell'equilibrio possibile, la società si organizza e si differenzia secondo valori (le ideologie) e non più su una linea di difesa degli interessi materiali. Il ritorno trionfale dell'ideologia, dunque, come nuovo orizzonte della politica e della modernità.
In altre parole, la politica non degrada in ideologia (come abbiamo erroneamente pensato con lo sguardo rivolto al secolo scorso) ma si riconverte in tecnica più ideologia seguendo un livello superiore di organizzazione sociale, un livello di società che, superate le vecchie formule di divisione classista, si riarticola secondo una pluralità di interessi e di visioni sempre meno dettati dall'economia e sempre più immateriali (valoriali) che prima erano compressi nel contenitore del classismo.
Se il terreno politico e nello stesso tempo la sfida della Destra moderna (larga) è definita dai valori e dalle identità e dalla fine della questione sociale, la risposta del Socialismo largo deve competere sul piano dei valori (le libertà non garantite, anzi negate, dal neo- capitalismo autoritario) e sul disegno di una nuova questione sociale che non replichi l'antistorico schema classista.
Il Socialismo largo deve sottrarre alla Destra la “qualità” dei riferimenti valoriali (libertà, solidarietà ma anche sicurezza e merito, non “salario per tutti” ma “opportunità per tutti”) e deve rilanciare la questione sociale, sapendo che oggi questa si coniuga come: qualità della vita, economia eco-compatibile, lotta alle nuove povertà nel Nord e nel Sud del mondo, risposte alle solitudini e alle marginalità sempre meno economiche e sempre più sociali ed esistenziali).
Se la democrazia organica è stata superata dal pluralismo della società, dal pluralismo della Politica, dal pluralismo dei valori ma anche dal trionfo del capitalismo “a una dimensione” (o se vogliamo: del capitalismo a democrazia variabile) compito dei socialisti è garantire sempre uno sbocco democratico e “plurale” ai processi di modernizzazione e globalizzazione.
Se la Destra pensa a una gestione “limitativa” delle libertà in nome della sicurezza e delle identità, la Sinistra deve far avanzare l'intero fronte della libertà e della sicurezza, dell'etica e della laicità, della questione sociale e delle pari opportunità, della questione sociale e della questione etica. Se lo scontro sarà tra la Destra moderna e la vecchia Sinistra, la sconfitta è già all'orizzonte.
Il socialismo democratico e largo deve saper legare le Libertà, le autonomie, i doveri con le solidarietà; le forme inedite del soggettivismo e del privatismo con l'interesse generale. I socialisti devono costruire una nuova ingegneria delle libertà, contro le ingegnerie burocratiche e le ristrutturazione degli apparati, che è quel che accade oggi nella Sinistra. Nel dibattito oramai aperto (ma mai concluso) sulla riforma della Costituzione dobbiamo immettere i fluidi delle nuove libertà. Libertà e riconoscimento per forme di organizzazione degli interessi politici e degli interessi economici entro il quadro del bene comune e della solidarietà. I socialisti assieme con le altre forze democratiche costruttori di una stagione revisionista.
Nel 60° anniversario della Carta costituzionale spetta ai socialisti il compito di aprire un serio e vasto dibattito sulle difficoltà della politica con la fine del ruolo dei Partiti nella società organica.
La Costituente socialista deve porsi l'obiettivo di andare oltre la democrazia organica e aprire un nuova fase di modernizzazione del Paese.
Negli anni '80 l'iniziativa socialista seppe interrompere e mettere in crisi il ciclo delle modernizzazioni passive promosse all'insegna della democrazia organica, inaugurando il primo ciclo riformista a guida socialista, che potè partire a condizione di colpire il punto più duro e conservatore del sistema di potere dato a quel tempo: l'egemonismo del comunismo italiano sul sindacato e sulla classe operaia, un lascito della democrazia del compromesso.
Oggi come allora, ma sempre in condizioni di minorità politica, i socialisti devono sostituire la strategia della governabilità (meglio dire della “buona governabilità”) adottata negli anni '80 con un nuovo fronte di lotta politica che sconvolga le due tendenze in atto nella Sinistra (sul fronte democratico e su quello alternativo e movimentista) unificate dalla logica continuista, dalla legge del “rinnovamento nella continuità”.
Questa nuovo fronte di lotta deve essere il fronte delle libertà, dell'autonomia della società che affianca l'autonomia del politico, delle responsabilità, del merito, dei doveri, della solidarietà.
Oggi come allora va trovato l'anello debole della catena consociativa-organicistica che ancora avviluppa la democrazia italiana. Il punto debole è in quelle parti della Carta costituzionale che racchiudono la visione organica e partitocratrica che ha alimentato e continua ad alimentare le culture politiche e di governo.
L'iniziativa socialista deve puntare a rimuovere quella cultura, rinnovare quei punti, non nel chiuso delle Commissioni bicamerali ma in una vasta discussione pubblica, aperta alla società.
Non di una iniziativa istituzionale c'è bisogno ma di una iniziativa di massa.

Elenchiamo schematicamente alcuni capitoli sui quali va esercitata in apposite sezioni di lavoro una discussione approfondita.
Metter mano al ruolo dei Partiti nel tempo della globalizzazione. Comprendere che la riforma dei Partiti non passa esclusivamente dal rinnovo dei meccanismi interni, cioè dal loro grado di democraticità, ma si configura nel rapporto con le nuove forme delle aggregazioni sociali (i movimenti, le “condensazioni” come le chiama De Rita), si riconosce dalla capacità dei Partiti di fluidificare la comunicazione tra società politica, istituzioni di governo e società plurale.
Valorizzare il ruolo di soggetto politico autonomo del sindacato al tempo della contraddizione tra gli interessi corporati delle fasce protette del mercato del lavoro e gli interessi generali, di lungo periodo delle nuove generazioni che affrontano senza adeguate protezioni i rischi delle ristrutturazioni produttive e della globalizzazione.
Ridiscutere l'art. 39 della Costituzione vuol dire rifiutare il ruolo subalterno del sindacato ai partiti. Ribaltare la concezione del sindacato come parte passiva della società organica che lo voleva Agenzia pubblica per i contratti, ufficio pubblico salariale. Ridiscutere l'articolo 39 ha il significato di rafforzarlo nel ruolo autonomo di soggetto politico, attore generale assieme con altri della politica del paese e dell'allargamento della democrazia.
Mettere mano alla sovranazionalità delle decisioni nazionali, senza respingerne il valore positivo e innovativo ma prevedendo, per alcune grandi questioni di interesse nazionale, il ricorso alla volontà dei cittadini.
Bisogna rimettere mano alla Questione cattolica, salvaguardando il bene prezioso della pace religiosa, partendo anche qui dalla Costituzione, da quell'articolo 7 che sancì lo scambio politico, il compromesso tra comunisti e cattolici e che finì per amministrativizzare da un lato e privatizzare dall'altro il rapporto tra laici e cattolici (il cattolicesimo democratico che privatizzò la delega politica facendone strumento di potere e di egemonismo), con il risultato di costituzionalizzare un concetto di laicità con il segno dell'ambiguità, dell'incertezza e dell'opportunismo burocratico.
Su questo punto la Costituente socialista deve dire parole chiare perché ne va la prospettiva del paese e la permanenza stessa del soggetto socialista (sul tema I socialisti e i cattolici rimandiamo al recente convegno organizzato da Socialismo è Libertà il 9 luglio scorso a Roma).
Agli inizi degli anni '60, con il primo centro-sinistra l'incontro tra socialisti e cattolici determinò la prima grande svolta politica del paese e fu un incontro tra due visioni della questione sociale e delle modernizzazioni che si scontrarono e si scambiarono. Il limite e la forza di quell'esperienza è ancora oggetto di acceso dibattito tra politici e storici.
Per anticipare una discussione che dovremo affrontare con sistematicità possiamo dire che uno dei limiti consistette nella mediazione partitica del rapporto tra socialismo e cattolicesimo in Italia, nelle condizioni determinate dalle vicende, dalla storia e dalla rigidità del PSI e della DC e dai vincoli del sistema politico nazionale (e dal ruolo di opposizione governante dell'allora PCI).
Oggi l'incontro tra socialisti e cattolici può avvenire su basi assai diverse, ma non meno proficue. Negli anni '60 socialisti e cattolici erano portatori di due diverse concezioni della questione sociale. Oggi il rapporto potrebbe iscriversi nel confronto tra le questioni sociali ancora aperte ma non più dilaceranti come allora, le questioni delle libertà e le questioni dell'etica.
Socialità, libertà, eticità possono essere i lati di un terreno comune di confronto per una nuova svolta politica del Paese e per una concezione non esclusiva della laicità.
Conviene tentare.


In conclusione

L'ispirazione organicistica della nostra Costituzione ha dunque segnato l'esperienza democratica del Paese, nel bene e nel male. Ha consentito il superamento in positivo e non traumatico di passaggi di fase cruciali ma ha determinato la rigidità del sistema politico, di cui ancora soffriamo, che fa dell'Italia un caso “anomalo”.
La società italiana è andata maturando una cultura pluralistica che la pone allo stesso livello delle culture politiche più avanzate. Al contrario, il sistema politico e dei Partiti è ancora attratto da un campo di forze ideologiche e culturali che appartiene al passato. Prova ne è che tutti i tentativi di revisione-rivisitazione della Costituzione si sono fermati sulla soglia di quella Prima parte che ne custodisce gelosamente i principi ispiratori, dando vita a una discussione concentrata esclusivamente sulla razionalizzazione dei meccanismi di governo e sulle “buone pratiche” di funzionamento delle istituzioni.
Questo è l'anello debole della “catena democratica” del Paese: una società evoluta e plurale e un sistema bloccato da una cultura ispirata all'integralismo e all'organicismo appartenuto alle due maggiori forze politiche che hanno edificato, in un gioco sottile di contrapposizione-integrazione-collaborazione, l'impianto democratico costituzionale.
Su questo anello debole deve concentrasi l'azione dei socialisti italiani, deve farsi sentire l'iniziativa della Costituente socialista.
Va usato il “pugno” della determinazione in un “guanto” di prudenza, realismo e saggezza. Non va chiesta l'abolizione pura e semplice di tre articoli della Carta (l'articolo 7, il 39 e il 49). Va sollecitato un grande dibattito politico e di massa sui tre pilastri che tengono ancora in piedi la cultura organicistica, con questa, una situazione contraddittoria, confusa, manipolativa e riduttiva della vita democratica.
Ridiscutere l'art. 7 non vuol dire rinunciare alla pace religiosa e un tonfo nel passato. Piuttosto il contrario, un salto in avanti nel rapporto tra Stato e Chiesa, per slegare il dialogo tra laici e cattolici dai meri vincoli burocratico-contrattuali, per riscrivere assieme regole di una nuova laicità, che accomuna (non solo contrattualmente) i sentimenti religiosi alle necessità statuali di governo del pluralismo e della complessità sociale. Per fare in modo che il sentimento religioso (al plurale) non sia il liquido di contrasto della modernità, ma diventi componente di una nuova laicità e strumento di governo della modernità (riprendendo una importante intuizione di Habermas).
Per dibattere l'articolo 39 sul Sindacato. Per ridare forza, soggettività, autonomia al Sindacato. Per archiviare definitivamente la stagione del sindacato “cinghia di trasmissione”, per sottrarlo alla funzione di semplice agenzia salariale. Insomma per aprire nel paese una discussione sulle condizioni che portano il sindacato ad essere soggetto del pluralismo politico e non potere “corporato”, soggetto del sistema e non contraddizione del sistema.
Va ripreso l'articolo 49 della Costituzione, sui Partiti. La forza della crisi ha imposto che la ridiscussione del ruolo dei partiti venga oggi ripreso nelle forme dell'antipolitica, nelle forme qualunquistiche della “casta”.
Va invece ripreso da quel punto, da quell'articolo, perché da lì sgorga l'acqua che ha fertilizzato il campo ideale della democrazia italiana e fatto crescere la sua cultura politica. Rinnovare quella cultura politica non solo è importante ma assolutamente necessario.
Sessant'anni fa i socialisti tentarono di impedire il congiungimento degli integralismi, tentarono di limitarne i danni, tra limiti e contraddizioni. Oggi i socialisti devono riprendere quella battaglia senza dimenticare il giudizio di Calamandrei di una Costituzione “poco lungimirante”.