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2014,
Numero 6

“Scacciare i demoni”

Dopo la crisi Cipro-Berlino
di Jean-Claude Juncker

«Chiunque creda che le questioni della pace e della guerra siano eternamente risolte in Europa potrebbe commettere un errore monumentale. I demoni non sono ancora stati cacciati; essi stanno semplicemente dormendo, come le guerre in Bosnia e Kosovo ci hanno mostrato. Sono sorpreso nel constatare come le circostanze dell'Europa del 2013 somiglino a quelle di cent'anni fa.” Lo affermava solo una decina di giorni fa il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker al settimanale tedesco Der Spiegel (l'intervista integrale più sotto). 
La crisi di Cipro, con l'invio di cinque fregate russe schierate ieri dalla marina militare di Mosca - “permanentemente” - di fronte alle coste dell'isola sembra dargli ragione: la crisi finanziaria europea è una crisi di natura geopolitica. “Il 1913 fu l' anno prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale - esclama il settimanale tedesco -  Pensa davvero che possa verificarsi un conflitto armato in Europa?” Juncker: “No, ma noto ovvi parallelismi nella compiacenza della gente. Nel 1913 molte persone ritenevano che mai vi sarebbe stata un'altra guerra in Europa. Le grandi potenze del Continente erano così interconnesse economicamente da far ritenere impossibile un confronto militare, quanto meno per ragioni di mera convenienza reciproca. Soprattutto nell'Europa occidentale e settentrionale, v'era un completo senso di compiacenza, basato sull'assunto che la pace fosse assicurata per sempre”.
Lo storico Dominic Sandbrook , nel commentare l'intervista di Juncker, sostiene che “per la terza volta in meno di cento anni la Germania sta cercando di prendere il controllo dell'Europa”. E' ormai all'ordine del giorno non tanto un “problema Europa”, ma - come titola il laburista New Statesman - “un problema tedesco”. Non è il Quarto Reich, come si è titolato di là e di qua dell'Atlantico più volte nel corso del'ultimo anno e mezzo, ma sicuramente la Germania si trova di fronte al bivio (“essere troppo forte o troppo debole”) creato dall' “essere al centro di una Unione che è stata concepita per limitarne la potenza dopo l'unificazione, ma che invece ha contribuito ad accrescerla: gli errori di progettazione - prosegue il New Statesman - hanno involontariamente privato molti altri paesi europei della loro sovranità senza dar loro in cambio una leva democratica nel nuovo ordine”.
Un bivio che già impegna la cancelliera tedesca in vista delle elezioni di settembre: fino ad oggi ha saputo tenere a bada le correnti autarchiche (e nazionaliste) alla sua destra. Ma da qualche mese, con la nascita del partito “Alternativa per la Germania” che punta all'uscita dall'euro per intascare in marchi i dividendi dell'egemonia commerciale e finanziaria acquisita (lasciando agli ex partners Ue i debiti dei prodotti finanziari tossici rifilati in passato alle  banche europee), per la Merkel il sentiero per la riconferma si fa più stretto.
I possibili aiuti finanziari per Cipro sono diventati il banco di prova del governo Merkel, sostiene l' agenzia Nova da Berlino. Già adesso la sua coalizione “nero-gialla” (Cdu/Csu-Fdp) è in disaccordo sugli aiuti per il salvataggio di Cipro. Mentre il delegato Csu al comitato finanziario del Bundestag, Hans Michelbach, si dice a favore di aiuti finanziari in cambio di riforme radicali e vincoli molto severi, l'esperto finanziario dell'Fdp, Frank Schaeffler, ritiene che Nicosia possa salvarsi da sola: “I crediti per Cipro sono totalmente inutili poiché lo stato insulare potrebbe trovare i soldi dalle entrate del mercato del gas”, ha dichiarato Schaeffler. “Per capire come  procedere, il governo cipriota potrebbe chiedere consigli al presidente della Bce, Mario Draghi, il quale ha fatto molta esperienza all'interno della banca d'investimento Goldman Sachs”. L'adesione della Grecia all'Eurozona sarebbe infatti un “esempio molto significativo e sarebbe avvenuto in concomitanza del suo incarico in Goldman Sachs”. Il presidente del Consiglio economico della Cdu, Kurt Lauk, si sarebbe espresso analogamente: “Tutti i possibili aiuti finanziari dovrebbero essere garantiti da future entrate provenienti dalla vendita del gas; dopotutto il valore di mercato degli enormi giacimenti ciprioti di petrolio e gas naturale è stato stimato per più di 600 miliardi di euro”, ha dichiarato Lauk.
Dopo la perdita del “proconsole” Sarkozy, una crisi con Putin lascerebbe la Germania scoperta anche ad est e nell'assoluto isolamento, in un clima anti-tedesco che sta crescendo in modo esponenziale nel Continente e che va assolutamente contrastato per non creare una nuova tragica spirale. Solo un approccio politico alla crisi finanziaria, quindi, può evitare che essa si avviti in crisi geopolitica (e in crisi democratica nella stessa Germania, come ha avvertito un anno fa Jurgen Habermas).


L'Intervista

“Uno spettro si aggira di nuovo per l'Europa – lo spettro della potenza tedesca”, scrive lo storico Brendan Simms nel pezzo di copertina del New Statesman, dedicato al “problema tedesco”. Il settimanale sottolinea che gli ultimi cinque anni hanno visto la “notevole ascesa” dell'influenza tedesca, con Berlino che ha superato indenne la crisi economica e impedito alla Banca centrale europea di lanciarsi nella corsa all'acquisto di bond che i paesi della periferia in bancarotta dell'Europa desiderano tanto, prescrivendo invece loro una dieta di indigeste ‘regole' fiscali. […] Non sorprende, quindi, che in questo periodo si sia registrato anche l'aumento della germanofobia politica e popolare in tutto il continente.
Secondo Simms negli ultimi 500 anni la Germania ha oscillato tra l'essere diplomaticamente troppo forte o troppo debole. Oggi la Germania è sia troppo forte che troppo debole, o almeno troppo poco impegnata. Sta scomodamente al centro di una Ue che è stata concepita soprattutto per limitare la potenza tedesca ma che ha invece contribuito ad accrescerla, e i cui errori di progettazione hanno involontariamente privato molti altri paesi europei della loro sovranità senza dar loro in cambio una leva democratica nel nuovo ordine.
La domanda adesso è questa: come si può persuadere la Repubblica federale, prospera e sicura come non mai, a prendere l'iniziativa politica e fare i sacrifici economici necessari a completare l'opera dell'unità europea? In un modo o nell'altro, la questione tedesca rimane e ci accompagnerà sempre. Perché ogni volta che l'Europa e il mondo pensano di averla risolta, gli eventi e i tedeschi cambiano la questione.
Un altro storico, Dominic Sandbrook, scrive sul Daily Mail che secondo un numero crescente di europei “per la terza volta in meno di cento anni la Germania sta cercando di prendere il controllo dell'Europa”. Si riferisce all'intervista dell'ex presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker a Der Spiegel, che ha fatto il parallelo tra il 2013 e l'anno che ha preceduto lo scoppio della Prima guerra mondiale e avvisato che la minaccia della guerra in Europa esiste ancora. Secondo Sandbrook, se i tedeschi continuano a imporre brutali ristrettezze economiche ai popoli d'Europa, le conseguenze in termini di alienazione sociale, dispute internazionali e ascesa dell'estremismo politico potrebbero essere drammatiche. Abbiamo già assistito a proteste sanguinose contro il giogo economico della Germania ad Atene, Roma e Madrid. […] Grazie a questa crisi politica apparentemente interminabile, la Germania è vista sempre più come l'oppressore dell'Europa che come il suo salvatore. […] Ma la verità è che legare insieme le economie di nazioni diverse come Portogallo, Grecia, Francia, Italia e Germania è servito solo a infiammare vecchie inimicizie.
Nell'intervista a Der Spiegel, il primo ministro lussemburghese ed ex capo dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, incita gli Stati membri della Ue a mettere in campo riforme strutturali. Spiegando i motivi che lo inducono a stabilire un parallelismo tra il 2013 e l'anno che precedette la Prima Guerra Mondiale, Juncker si espone a sostegno della campagna per la rielezione al cancellierato di Angela Merkel (poi vincente, ndr).
Spiegel: Per otto anni Lei è stato una sorta di presidente informale dell'Unione Monetaria. Quando fa il bilancio dei suoi risultati, non Le tocca ammettere che in questo lasso di tempo l'Europa si è indebolita?
Juncker: Per la mia generazione, l'Unione Monetaria ha rappresentato uno strumento di pace. Oggi, noto con dispiacere che per molti l'Europa sta tornando un luogo di dispute regionali e nazionali.
Il modo in cui alcuni politici tedeschi hanno trattato la Grecia ha lasciato profonde ferrite. Mi ha colpito profondamente vedere i manifestanti ad Atene brandire cartelli raffiguranti Angela Merkel in uniforme nazista. Sentimenti che pensavo fossero ormai sepolti nel passato. Anche le elezioni italiane mi sono sembrate eccessivamente anti-tedesche e, quindi, anti-europee.
Sta esagerando. Nessuno può oggi mettere in dubbio seriamente la pace e l'amicizia in Europa.
E' vero, ma chiunque creda che le questioni della pace e della guerra siano eternamente risolte in Europa potrebbe commettere un errore monumentale. I demoni non sono ancora stati cacciati; essi stanno semplicemente dormendo, come le guerre in Bosnia e Kosovo ci hanno mostrato. Sono sorpreso nel constatare di come le circostanze dell'Europa del 2013 somiglino a quelle di cent'anni fa.
Il 1913 fu l'anno prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Pensa davvero che possa verificarsi un conflitto armato in Europa?
No, ma noto ovvi parallelismi nella compiacenza della gente. Nel 1913 molte persone ritenevano che mai vi sarebbe stata un'altra guerra in Europa. Le grandi potenze del Continente erano così interconnesse economicamente da far ritenere impossibile un confronto militare, quanto meno per ragioni di mera convenienza reciproca. Soprattutto nell'Europa occidentale e settentrionale, v'era un completo senso di compiacenza, basato sull'assunto che la pace fosse assicurata per sempre.
Le giovani generazioni sono disinteressate alle lezioni dei politici di Bruxelles sulle trincee di Verdun.
In effetti, non dobbiamo affidarci soltanto alle aberrazioni del passato per spiegare le necessità europee dell'oggi. Il futuro pone questioni altrettanto pressanti. Entro la metà del secolo in corso, l'Europa comprenderà solo il 7% della popolazione mondiale e già oggi l'80% della crescita economica promana da altre regioni del globo. L'Europa unita è l'unica strada per evitare la marginalizzazione. I governanti tedeschi, francesi e britannici sanno bene che la loro voce ha un peso solo grazie al megafono dell'Unione Europea.
L'unico problema è che un fermo impegno per l'Europa e l'Unione Monetaria non paga politicamente perché richiede riforme impopolari. Al culmine della crisi dell'euro, Lei disse: “Noi, capi di governo sappiamo cosa fare, ciò che non sappiamo è come farci rieleggere dopo averlo fatto.” E' ancora vero?
Tanto per cominciare, abbiamo portato avanti una serie di riforme sostanziali. Abbiamo mantenuto la Grecia nell'Eurozona, introdotto dei meccanismi di salvataggio per l'Unione Monetaria e abbiamo stabilito un'unione bancaria europea. Ciononostante, sono preoccupato che la momentanea quiete sui mercati finanziari possa indebolire la volontà di rinnovamento. Passerebbe un messaggio completamente sbagliato se la paura di riformare si diffondesse di nuovo in Europa.
A giudicare dall'esito delle elezioni in Italia, pare chiaro che i popoli dell'Europa meridionale non approvino le iniziative europee di riforma. La cosa non la preoccupa?
Il risultato delle elezioni italiane è stato ampiamente interpretato come un rifiuto dell'euro e dell'Europa, ma a me sembra che la questione di fondo sia un'altra. Beppe Grillo ha saputo presentarsi come il legittimo fustigatore della classe politica italiana, mentre Berlusconi ha promesso di abbassare le tasse. Viceversa, il partito più visceralmente anti-euro, la Lega Nord, ha perso terreno. Di conseguenza, non mi pare che le elezioni italiane abbiano dato un segnale innanzitutto contrario all'euro e alle riforme ispirate dall'Europa.
La realtà è che il grande sconfitto è stato il presidente del consiglio uscente, Mario Monti, apprezzato dall'Europa ma rifiutato dagli italiani. Ciò significa la fine delle politiche riformatrici in Italia?
Sarebbe un grave errore. La conseguenza delle elezioni italiane non può essere il ritorno alle politiche che hanno causato i problemi attuali. Non è possibile combattere la crisi economico-finanziaria appesantendo il già consistente debito pubblico nazionale. Non vedo grandi alternative a una solida politica budgetaria.
In altre parole, i politici italiani dovrebbero perseguire politiche rifiutate dalla maggioranza dei loro connazionali.
Sto per enunciare un principio ambizioso: Nessuno dovrebbe seguire politiche sbagliate solo per paura di non essere rieletto. Chi intende governare deve prendersi la responsabilità per il suo paese e per l'Europa intera. Ciò significa, se necessario, mettere in atto le politiche giuste anche se molti elettori le ritengono sbagliate.
Portato alle estreme conseguenze, questo ragionamento implica che i politici non dovrebbero tener conto del volere dei cittadini. Non è una interpretazione azzardata del concetto di democrazia?
Non c'è dubbio, i politici devono rispettare il più possibile il volere della gente, tenendo conto tuttavia dei trattati europei. Se gli italiani intendono eliminare la tassa sugli immobili, dovranno trovare un altro modo per mantenere gli impegni presi. In Europa, ancor di più che nella politica nazionale, dovremmo tutti seguire gli insegnamenti di Martin Lutero: “Usiamo un linguaggio che la gente capisca, ma non diciamo alla gente ciò che vuole udire”.
Recentemente, diversi paesi Ue, Germania e Francia incluse, si sono espressi a favore dell'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie. Perché il Lussemburgo (il suo paese, ndr) ha votato contro?
In linea di principio sono stato un sostenitore dell'introduzione di questa tassa nell'Eurozona, a patto che fossimo riusciti a convincere tutti i paesi membri. Tuttavia, quando diversi governi hanno rifiutato (Irlanda, Paesi Bassi e pochi altri), è parso chiaro che il Lussemburgo avrebbe patito uno svantaggio competitivo se avesse accettato di adottare la tassa a quelle condizioni.
In settembre si terranno le elezioni per il Bundestag Tedesco. Se glielo chiederanno, farà campagna a sostegno dei Cristiano-Democratici (Cdu) di Angela Merkel?
Me lo hanno già chiesto e ho detto di sì.
Tuttavia, Lei è più vicino alle politiche europee dei Socialdemocratici dell'Spd. Ad esempio, sostiene gli eurobond, rifiutati dai leader Cdu.
Potrà suonare presuntuoso, ma credo che debbano essere Cdu e Spd a posizionarsi rispetto a me, non viceversa. Perché mai dovrei dire con quale forza ho più punti in comune rispetto a singole questioni?
Se supporta la campagna della Merkel, poi dovrà sostenere la politica della cancelliera in Europa.
Mi sento molto vicino alla cancelliera e alla Cdu, ma, a parte ciò, durante la campagna elettorale tedesca vorrei sfidare due preconcetti. Come sapete, in Germania vi è la diffusa convinzione che solo i tedeschi siano davvero impegnati per un approccio che unisca solidarietà e solidità economica. Vorrei ricordare che la Commissione Europea mai ha intrapreso una procedura d'infrazione contro il Lussemburgo per deficit eccessivo, ma lo ha fatto contro la Germania.
Nel corso dell'imminente campagna elettorale, pensa di ricorrere alla citazione merkeliana: “Se fallisce l'euro, fallisce l'Europa”?
Durante la nostra istruzione religiosa a scuola, speso domandavamo: Come è possibile provare l'esistenza di Dio? Devo dire che ho imparato dalla Chiesa Cattolica a rispondere alle domande che si riferiscono a questioni esistenziali. In questo caso, la questione non si pone. La questione della sopravvivenza o meno dell'euro non si pone e, conseguentemente, non tenterò di rispondere teoreticamente alla domanda sul commento della cancelliera.