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2014,
Numero 7

JFK. La Nuova Frontiera e la nascita del primo Centro Sinistra

Cinquanta anni fa, al termine del suo viaggio trionfale in Europa, Kennedy veniva ucciso a Dallas. Aveva annunciato la Nuova Frontiera davanti al Muro di Berlino e voluto con Nenni il centro-sinistra in Italia. Che si realizzo col governo Moro-Nenni, pochi mesi dopo
di Stefano Carluccio

Il 22 novembre scorso è stato il cinquantesimo anniversario dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, uno dei personaggi più significativi del ventesimo secolo. Pochi giorni dopo, nel gennaio del 1964, giungeva a compimento la svolta politica in Italia che JFK preparò con Pietro Nenni, dopo un lungo lavoro di verifica sulla effettiva autonomia del Psi dal Pci dopo i fatti d'Ungheria, coadiuvato dal segretario di Stato, Arthur jr Schlesinger, grande amico della famiglia Zevi (Bruno e Tullia) che patrocinò il cambio di passo del quadro politico nazionale con uno spostamento a sinistra per contendere “il movimento dei lavoratori italiani” all'egemonia dell'Unione Sovietica: lo scopo era creare basi sociali con lo sviluppo di un benessere progressivo nel sistema democratico occidentale, e in particolare della società italiana che era confine (come la Germania) negli anni della Guerra Fredda, sulla breccia della Cortina di Ferro. Il Centro sinistra “organico” Moro-Nenni del '63 (che già aveva dato segnali di incubazione dal '62 con il governo Fanfani e l'appoggio esterno del Psi) era dunque parte essenziale della strategia della “Nuova Frontiera” del Presidente Americano.
Critica Sociale dedica un ricordo - con testimonianze raccolte già in occasione del centenario della nascita di Kennedy, (il 30 maggio del 1917) - coniugandolo alla ricorrenza della nascita del primo Centro sinistra. Un omaggio al suo vero promotore, il Presidente che dopo la visita in Italia - sempre in quell'estate - andò a parlare di fronte al Muro di Berlino annunciando la sua visione dell'allargamento dell'area della democrazia liberale e sociale, decisamente anticomunista: una visione che probabilmente fu la vera ragione del suo assassinio.
(Le “larghe intese” di oggi ne ripetono almeno formalmente lo schema essenziale, ovvero il superamento di divisioni ideologiche per convergere su basi programmatiche riformatrici. Non che stia accadendo esattamente questo, ma vista la situazione da cui veniamo e in cui si trova il Paese, - che il tasso di astensionismo peraltro segnala e a cui obbliga, a meno dei forconi al governo - vale la pena di sottolineare l'analogia con lo schema di alleanze politiche del “secondo boom economico” italiano, a maggior ragione oggi che il comunismo non c'è più. Per il bipolarismo, dopo il fiasco ventennale che ci lascia in eredità, c'è tempo: deve prima mettere radici autentiche da entrambe le parti, farsi le ossa e crescere non in contraddizione con il postulato nazional-democratico: ovvero, la Nazione è un soggetto politico unitario. Chi lo sventola lo fa in modo dogmatico, da chierico, non da laico. La proporzionale, viceversa, per ora ne facilità il processo di formazione, mentre il maggioritario ce lo ripropone in forma ingannevole. Quando sarà maturo si potrà adeguare ai nuovi tempi anche la legge elettorale uninominale, ma l'esigenza verrà dalla società, non dalle segreterie di partito).
Era l'estate del 1963: John F. Kennedy è protagonista di un missione trionfale in Europa, infiamma la piazza a Berlino, con il suo “Ich bin ein berliner”, e inorgoglisce Roma celebrando il contributo degli italo-americani allo sviluppo e alla forza degli Stati Uniti. Sullo sfondo però, Jfk fa letteralmente infuriare i governi al potere con la sua Nuova Frontiera applicata all'Europa: Washington vuole aprire a sinistra, e i tradizionali alleati dell'America si sentono traditi.
In Italia, ricorderà anni dopo Giulio Andreotti, si visse con estrema preoccupazione e irritazione la decisione dell'amministrazione Usa di aprire un canale di dialogo diretto con Aldo Moro e i socialisti di Pietro Nenni, che si apprestavano a varare insieme il primo centro-sinistra, frutto di una travagliata stagione politica interna iniziata con il fallimento della ‘legge truffa' nel 1953 e dello stallo politico conseguente, con la Dc costretta in fasi alterne a ricorrere al sostegno del Movimento sociale italiano (Msi) per garantire una maggioranza al Paese.
Il capo dello Stato, Antonio Segni, proposto da Moro proprio per rassicurare le ali estreme del suo partito, non nasconde la propria ostilità al disegno di inclusione dei socialisti nel governo, che il presidente della Repubblica considera ancora troppo vicini, almeno culturalmente, all'Urss. Il primo luglio Kennedy arriva a Roma: era sbarcato in Italia il giorno prima ma, stanco dopo le tappe in Gran Bretagna, Irlanda e Germania, aveva deciso di passare una notte alla villa Serbelloni sul lago di Como per riposarsi. Viene accolto all'arrivo dallo stesso Segni e da Andreotti. La sera il ricevimento al Quirinale: Kennedy lascia tutti di sasso quando prende sottobraccio Nenni, con il quale ha un lungo colloquio.
E' un gesto simbolico: il principale ostacolo all'apertura a sinistra in Italia era sempre stato infatti il veto di Washington, il no secco alla partecipazione di socialisti o comunisti al governo del Paese, che la destra italiana sbandierava non appena il ‘rischio' di questa apertura si palesava. Kennedy cambia la linea Usa, anzi la sua amministrazione si attiva in concreto per fare da ponte tra Dc e Psi e facilitare una soluzione politica di compromesso. E' una linea che non piace a molti americani, in particolare “ad ambienti americani in Italia capaci di ostacolare non solo il centro-sinistra ma tutta l'azione di Kennedy”, scrisse il 2 novembre del 1963 Riccardo Lombardi a Nenni.
Una evidente allusione ad una ricorrente coincidenza, nella gelida messa in guardia di Lombardi, tra mafia e forze di blocco ad ogni progresso liberaldemocratico e riformista, che fa pensare ad una costante tenaglia che ha stretto in tutto l'occidente, ma particolarmente in Italia, ogni tentativo di costruzione di uno Stato stabilmente democratico ed occidentale.
(Sulla questione della mancata ricostruzione di una forma Stato e sulle sue cause nella storia politica del dopoguerra, molto importanti in questi fascicoli i contributi di Rino Formica – numero 5 – e di Ugo Finetti – numero 4).
Le trattative sono febbrili, il progetto di nuovo governo guidato da Moro finisce nella palude delle negoziazioni interne. Il 21 novembre c'è un nuovo intervento dell'amministrazione Usa, che spiega agli alleati italiani che il centro-sinistra “è una priorità” per Washington. Il 23 arriva sul tavolo delle delegazioni di Dc e Psi la notizia che Kennedy è stato ucciso. I responsabili politici dei due partiti decidono che non si può più rinviare. L'accordo per il primo governo di centro-sinistra viene firmato in poche ore, quando il cadavere di Kennedy non era ancora stato seppellito. Orfana del ‘padre' putativo, l'intesa non durerà che qualche mese, e sotto la spada di Damocle di un minacciato golpe, il Piano Solo, le forze conservatrici riusciranno a marginalizzare la presenza socialisti, riducendo al tempo stesso la capacità di autonomia di Moro.
A seguire:  L'intervista esclusiva concessa alla Critica da Tullia Zevi, vera e propria madrina del centro-sinistra italiano, perché capace di convincere, unitamente a Giuseppe Saragat e ai laburisti inglesi, Arthur Schlesinger (consigliere di Kennedy) dell'affidabilità del Psi di Pietro Nenni dopo i fatti d'Ungheria del 1956;  il racconto dello stesso Schlesinger del colloquio prolungato tra Kennedy e Nenni al Quirinale in occasione della visita in Italia del presidente americano; il resoconto del professor Spencer Di Scala del duro scontro interno all'amministrazione Usa sull'ingresso dei socialisti al governo in Italia.
Ripensare a Kennedy non significa limitarsi a un cerimoniale rievocativo, ma riflettere sul vero significato della sua eredità politica, in Europa e - particolarmente - in Italia.