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MILIBAND'S MESSAGE. INTERVENTISMO LIBERALE E POLITICA DI POTENZA

Il ministro degli Esteri britannico spiega in una tavola rotonda organizzata dalla rivista Prospect perché rimane un liberale interventista all’estero e un radicale decentralizzatore in patria

Data: 2008-10-01

Prospect, Ottobre 2008

DAVID GOODHART (Direttore di Prospect): Guardiamo le storia dell'interventismo liberale degli ultimi dieci anni e l'apparente ritorno, nelle recenti settimane, della politica di potenza, e osserviamo come sono connessi tra di loro. L'uso della violenza per risolvere i problemi internazionali non ha avuto molto successo come ad esempio in Georgia.

Cosa sta avvenendo negli affari internazionali in questo momento? Ci sono tre grandi cambiamenti al potere. Prima cosa sta avvenendo una trasformazione da ovest a est, rappresentata dalla crescita della Cina e dell'India. Secondo c'è il mutamento tra la sfera nazionale e internazionale con la crescita dell'istituzioni globali ed internazionali. Terzo si sta verificando un cambiamento tra stati e cittadini, quello io che chiamo la “l'onda civile”: l'idea  che nel mondo le persone, che hanno un enorme e differente accesso alle opportunità e alla ricchezza, appartengono ad un universo collettivo crescente dove i cellulari possono descrivere ai bloggers in Iran o ad un dimostrante in Birmania e come la vita potrebbe essere. Tutto ciò crea un contesto differente nella politica internazionale. Questi tre cambiamenti sono il motivo per il quale il mondo, basato su regole che sembrarono emergere dopo la guerra fredda, si è fortificato o vi è il pericolo di un ritorno della politica di potenza? C'è il pericolo che a questo ritorno inneschi una corsa alla conquista del potere. E' nel nostro interesse incoraggiare un mondo basato sulle regole? Dobbiamo seguire le regole? Questo non invalida l'interventismo liberale? No, piuttosto penso che dia un grande stimolo.

ROBERT COOPER (Collaboratore di Javier Solana, Rappresentante dell'Ue per la politica estera): l'interventismo non è una recente invenzione. C'è ne stato in abbondanza durante la guerra fredda e gran parte è stato molto distruttivo. Nel 1990 eravamo troppo timidi per l'interventismo. È chiaro che anche un piccolo intervento in Ruanda avrebbe salvato un enorme numero di vite, ed è anche chiaro che ci siamo mossi in ritardo nei Balcani. Ultimamente, è tornato un entusiasmo forse eccessivo intorno all'interventismo, ma pare evidente che l'uso della forza possa avere una sua utilità nel creare le condizioni per risolvere determinati conflitti.

DOMINIC LAWSON (Scrive per The Independent): Cosa dobbiamo alle persone di questo paese? Noi gli dobbiamo una politica estera etica; o dobbiamo a loro una politica che ha come principale obbiettivo il non venire sconfitti nello scontro per le risorse energetiche, la nuova grande sfida? Sappiamo bene che la risposta a questa domanda è “ambo le cose”, ma come possiamo riuscire ad ottenere un simile risultato?

GOODHART: Abbiamo bisogno di una Lega delle Democrazie?
COOPER: Se si vogliono risolvere problemi globali come il riscaldamento climatico, potrebbe non essere una grande idea dividere il mondo in buoni e cattivi.

MILIBAND: Bene, parliamo del Pakistan. Tutte le soluzioni proposte dai liberali e dai progressisti per sanare le ferite di questo Paese, che vive una difficile fase di transizione, richiedono tempo per dare i loro frutti. Invece, coloro che in Pakistan complottano e tentano di uccidere i nostri soldati agiscono ora e pongono un problema in questo momento. Ed allora torna la tentazione di affidarsi ad un uomo forte che ristabilisca l'ordine. Il Pakistan sotto questo profilo rappresenta un modello interessante, poiché è stato governato per metà dei suoi sessant'anni di storia da personaggi strettamente legati all'esercito, l'istituzione più potente nel Paese. Eppure non credo che l'esercito pakistano possa avere un'autorevolezza maggiore di un governo e di un presidente eletti democraticamente. Credetemi, se, come me, avete a cuore il destino dei nostri soldati impegnati nelle aree tribali di confine, fate affidamento sulle aspirazioni democratiche del popolo pakistano.

FALKNER: Così una democrazia talebana guidata da una versione pakistana di Mullah Omar dovrebbe essere negli interessi occidentali, considerando anche il loro potere sul nucleare?

MILIBAND: I fatti suggeriscono che i pakistani si preoccupano maggiormente della occupazione, della giustizia, dello sviluppo del paese e di un buon governo. Quando ho chiesto a Asfandyar Wali Khan, il leader del Partito Nazionale Awami nel Nord-Est del confine (un partito secolare nell'area tribale del Pakistan)  cosa sarebbe successo se avesse avuto un partito concorrente nell'area tribale, lui rispose che le formazioni politiche religiose non avrebbero di certo avuto la meglio.

FALKNER: Per cui l'Iran come democrazia ci va bene e siamo felici che l'Iran abbia le armi nucleari?

FALKNER: Sto cercando di comprendere la filosofia dietro a questo ragionamento, sto cercando di capire quanto “realista” tu sia nel riconoscere che democrazia, diritti umani e intervento liberale siano appropriati solo dove possiamo usarli con successo, mi chiedo quanto pragmatico tu sia.

Noi usiamo il liberalismo quando possiamo ed occasionalmente dobbiamo fare accordi sgradevoli con persone che non ci piacciono.

RICHARD REEVES (Direttore del think tank britannico Demos): Un liberale come John Stuart Mill avrebbe detto che se le persone vogliono una democrazia fasulla, a noi la cosa non dovrebbe interessare. D'altro canto se un paese ne invade un altro la situazione è diversa.

GOODHART: Parliamo del Kosovo, dove furono uccise un notevole numero di persone.

GOODHART: Adesso la Russia usa il Kosovo contro di noi.

LAWSON: Così la nostra politica “leggera” è fallita in Russia? I russi stanno spingendo i georgiani in enclave proprio come i serbi fecero con gli albanesi del Kosovo.

MILIBAND: Lo scopo del viaggio del presidente Sarkozy a Mosca è stato quello di affermare le regole che devono essere sviluppate affinché i confini stabiliti vengano  rispettati. Ma non ci sono mezzi militari per fermare i movimenti della Russia verso la Georgia.

MILIBAND: La cosa più importante è costruire le nostre amicizie. Facciamo questo imponendo delle forti istituzioni. Consideriamo gli stati balcanici dieci anni fa, lo scetticismo espresso adesso per la Georgia e l'Ucraina è stato applicato precedentemente alla Lituania, alla Lettonia ed all'Estonia, per le quali pensavamo si potesse verificare l'invasione dei carri armati, ma non è avvenuto. Adesso è diverso per la Georgia e l'Ucraina, perché la storia della Russia in Caucaso è diversa dalla sua storia nel Baltico.

MILIBAND: In un certo senso sono a favore della sovranità nazionale. I principi che sto difendendo nelle ultime settimane sono in parte il valore del governance democratica e della sovranità nazionale ed in parte il ruolo delle norme internazionali. E' importante considerare che la Russia è dipendente dal sistema internazionale. La gente sta seduta nei propri paesi, attorno a tavoli come questi, dicendo che abbiamo più da perdere dalla rottura del sistema internazionale che da guadagnare. E Mosca starà facendo le stesse considerazioni. Il mercato delle azioni è crollato del 40 percento da giugno, con Gazprom che ha perso 16 miliardi di dollari in un solo giorno ad agosto. A questo proposito staranno pensando: possiamo avere benefici dal un sistema internazionale senza disciplina?

GOODHART: Un nuovo argomento. Il cambiamento climatico può  essere ridotto senza grandi variazioni negli stili di vita occidentali? E se questo non può accadere, cosa potremmo fare considerando che sembrano esserci soltanto piccoli segnali che l'Occidente sia pronto a fare sacrifici?

GOODHART: Ma l'azione multilateralismo sta diventando più difficile, non è vero? In parte ciò è dovuto al fatto che stiamo vivendo nel mezzo di uno spostamento del potere globale da ovest a est. Doha ha fallito. Un accordo sul cambiamento climatico a Copenhagen sembra problematico.

GOODHART: E' solo uno sbocco transizionale nell'attesa di cambiamenti politici dall'ovest?


MILIBAND: Sì. Io penso che la Turchia abbia fatto dei cambiamenti irreversibili. Sono stato lì due volte l'anno scorso ed ho constatato che sia per la sfera pubblica che privata ha adottato norme democratiche e liberali..il regolamento della corte costituzionale è molto significativo in proposito. In termini di interesse strategico: il mondo è un posto molto più sicuro se la Turchia diventa un forte partner dell'Europa ed un membro dell'UE. Pensa solamente alla questione energetica. La posizione della Russia e la situazione del Caspio cambierebbero se la Turchia facesse parte dell'UE.

GOODHARD. Cosa permette che ci sia equilibrio in Iraq?

MILIBAND: E' creare la possibilità di costruire una forte democrazia in medio oriente. I curdi sono al sicuro. Ma c'è stato un numero elevato di perdite umane, iracheni, americani, inglesi ed altri. Inoltre si è verificato un grande cambiamento degli equilibri regionali, specialmente per l'Iraq.

GOODHART: L'avremmo fatto se avessimo saputo che sarebbe successo?

MILIBAND: Se avessimo saputo che non ci fossero armi di distruzione di massa, non ci sarebbe stata una risoluzione delle Nazioni Unite, così l'intera vicenda sarebbe stata diversa.

REEVES: Sei sicuro che in Iraq ci siamo mossi seconde le regole ed i principi di cui hai parlato prima?

MILIBAND: Guarda, dal 2003 ad oggi le persone non hanno mai avuto intenzione di cambiare le loro posizioni, ma al contrario nei i prossimi cinque anni si muoveranno in questo senso, e tra dieci anni noi sapremo chi aveva ragione e chi torto. Noi compiliamo un registro del rischio con frequenza semestrale nell'ufficio degli esteri, cosa è andato bene e cosa male, negli ultimi anni l'Iraq è andata meglio di quanto ci si aspettava.

FALKNER: Ma tra cinque anni non analizzeremo l'Iraq da ieri ad oggi e non ci preoccuperemo di stabilire chi aveva ragione e chi torto, ma diremo che si è scatenato un nuovo tipo di radicalismo islamico. L'Iraq è stato visto come una nazione irragionevole e imperialista. Dovunque sono andato nelle comunità del nord dell'Inghilterra, conducendo una campagna contro la guerra, ho incontrato persone che confondevano l'intervento palestinese e afgano, che ho sostenuto, con l'Iraq. Quando guarderemo indietro ad un Europa lacerata dall'islamismo, additeremo la guerra in Iraq.

MILIBAND: Non sono d'accordo. Non è la guerra in Iraq, è l'assenza di uno stato per i palestinesi, che è la più grande scusa per il radicalismo islamico: quarantuno anni dopo la guerra del 1967 rappresenta il biglietto da visita per l'estremismo violento. Ho avuto un incontro pubblico con il ministro degli esteri pachistano a Birmingham, ed ha affermato che la causa è la Palestina. Se sei del Bangladesh del Kashimir, della Somalia o del Pakistan la risposta è la stessa.

FALKNER: Le persone di cui stai parlando non sono quelle che si fanno saltare con le bombe.

GOODHART: Stai dicendo che la politica estera britannica dovrebbe essere determinata sulla base di quello che le comunità musulmane nel nord pensano? Come hai detto, spesso non fanno neanche una razionale distinzione tra l'Afganistan e l'Iraq.







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