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MICHEL SLEIMANE. UN PRESIDENTE NEUTRALE O ISTITUZIONALE?

Originariamente considerato “uomo di Damasco”, ha assunto nel tempo un profilo sempre più istituzionale, che lo ha reso una figura riconosciuta come super partes

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Simona Bonfante

L'accordo raggiunto mercoledì 21 maggio, a Doha, tra i leader della maggioranza del governo libanese presieduto da Fouad Siniora e l'opposizione, rappresentata dal Presidente del Parlamento, Nabih Berri, è stato conseguito grazie alla mediazione del primo ministro del Qatar, Hamad Ben Jassem Al-Thani, ed al ruolo della Lega Araba.
L'accordo prevede la formazione di un governo composto da 11 rappresentanti di Hezbollah (5 in più degli attuali), e 16 membri della coalizione filo-occidentale guidata da Saad Hariri, il figlio dell'ex premier assassinato nel 2005 in un attentato presumibilmente orchestrato a Damasco e per il quale è attualmente in corso un procedimento giudiziario. Altri tre posti di governo saranno assegnati direttamente dal Presidente della Repubblica, che – come prevede l'accordo - sarà eletto domenica prossima dal Parlamento nella persona del Capo delle forze armate, Michel Sleimane. A Hezbollah, inoltre, è stato concesso diritto di veto sulle decisioni del governo, ed è stata accordata la richiesta di svolgere le prossime elezioni legislative - che si è convenuto di tenere nella primavera del 2009 - con il sistema elettorale del 1960 che prevede la ripartizione di Beirut in circoscrizioni piccole, così da garantire una migliore rappresentatività degli eletti. È proprio sulla ripartizione delle circoscrizioni elettorali che governo e opposizione libanese hanno avuto maggiori difficoltà a trovare l'intesa, che è stata infine raggiunta dopo sei giorni di difficili negoziati.

A Doha, le parti hanno convenuto infine di non ricorrere ad azioni violente, siano esse verbali o militari. A tal proposito, è stata sottoscritta da maggioranza e opposizione una clausola che vieta il ricorso alle armi per fini politici. L'accordo di Doha non prevede il disarmo di Hezbollah, che molti osservatori giudicano il vero problema dell'instabilità politica libanese. Spetterà così al nuovo presidente il compito di risolvere il problema, assicurando allo Stato la prerogativa dell'uso della forza.
La questione sarà oggetto di una nuova conferenza che si terrà nella capitale libanese, sotto l'egida del Presidente della Repubblica e con la partecipazione della Lega Araba.

Il Presidente del Parlamento di Beirut, il filo-siriano Nabih Berri, ha annunciato la sospensione immediata del sit-in anti-governativo installato alla fine del 2006 nel centro della capitale. L'accordo di Doha è stato salutato con sollievo dall'opinione pubblica libanese, ma molte rimangono le riserve per un risultato che appare per molti aspetti come una vittoria dello sceicco Hassan Nasrallah – il leader di Hezbollah - e dei suoi alleati stranieri.

Cruciale, a questo punto, il ruolo del nuovo Presidente della Repubblica. La crisi istituzionale libanese ha inizio lo scorso novembre, con la fine del mandato del filo-siriano Émile Lahoud. Michel Sleimane, designato nel 1998 alla guida delle forze armate dall'allora capo dello stato, è apparso subito come l'uomo del compromesso, l'unica figura in grado di trovare il consenso delle diverse fazioni politico-confessionali che compongono il complesso panorama istituzionale libanese.
Cristiano-maronita (la famiglia religiosa cui spetta la carica presidenziale), il 59enne Sleimane, originariamente considerato “uomo di Damasco”, ha assunto nel tempo un profilo sempre più istituzionale, che lo ha reso una figura riconosciuta come super partes. La strategia di Sleimane è stata infatti quella di mantenere l'esercito libanese in un ruolo di neutralità che, pur risultando talora ai limiti dell'ambiguità, ha più volte consentito di scongiurare la degenerazione delle crisi politiche in guerra civile.“Lo stato – ha dichiarato il futuro Presidente della Repubblica – esiste perché l'esercito ne è il guardiano.”

Il suo primo atto “politico” risale al 14 marzo 2005, quando  impedisce all'esercito di intervenire per sedare la manifestazione anti-siriana, scoppiata a seguito dell'omicidio dell'ex primo ministro pro-occidentale, Rafic Hariri. Un atto, questo, che ha contribuito a rafforzarne l'immagine “istituzionale”, sino a quel momento appannata da una vicinanza piuttosto esplicita con Damasco. Un'analoga neutralità è stata assunta dal generale nel gennaio del 2007, quando uno sciopero organizzato dall'opposizione  aveva portato al blocco delle principali reti di trasporto stradale del paese. Sleimane ha guadagnato, infine, il rispetto unanime delle forze politiche quando, all'inizio dell'anno, ha impegnato l'esercito in una dura battaglia contro le milizie terroristiche infiltrate da al Qaeda nel campo profughi palestinese di Nahr al-Bared. Scelto a capo delle forze armate dal suo predecessore, alla fine del mandato di quest'ultimo il suo nome aveva trovato il sostegno ufficioso dell'opposizione filo-siriana composta da Hezbollah ed Amal, il cui candidato ufficiale alla carica presidenziale, il generale Michel Aoun – alleato di Nashrallah – era respinto senza appello dalla maggioranza.

Alla fine del 2007, il leader della coalizione di governo, Saad Hariri, designa ufficialmente Sleimane come proprio candidato, suscitando la sorpresa - e il sospetto – della Siria che, da quel momento, ha fomentato le tensioni nel paese, spingendolo sempre più sull'orlo della guerra civile. La crisi istituzionale arriva alla paralisi quando l'opposizione chiede di legare l'elezione presidenziale ad una riforma più generale della composizione del governo e della legge elettorale.

Decisivo per il superamento dello stallo (e delle riserve dell'opposizione) è, a questo punto, l'atteggiamento assunto dal capo delle forze armate in occasione del colpo di forza realizzato da Hezbollah lo scorso 7 maggio. Sleimane, infatti, non interviene per impedire alle milizie filo-siriane di occupare militarmente la capitale libanese. Un atteggiamento, questo, che suscita l'indignazione della maggioranza ma che si rivelerà poi una scelta strategicamente vincente che permette di sbloccare l'impasse.
La prudenza – o l'astuzia strategica? – mostrata da Sleimane nella gestione delle differenti crisi politico-militari che hanno investito il paese negli ultimi tre anni hanno così fatto convergere sul capo delle forze armate il consenso di tutte le forze politiche.

In un paese in cui i contrasti politici hanno una origine confessionale – i sunniti appoggiano la maggioranza di Siniora mentre gli sciiti Hezbollah – ed in cui le ingerenze straniere – Usa, da una parte; Siria e Iran, dall'altra – rendono difficile stabilire i confini dell'autonomia statuale, Sleimane ha saputo assumere un'equidistanza che potrebbe rivelarsi la chiave di volta della crisi. Naturalmente, si dovrà attendere di vederlo in azione. Le riserve maggiori riguardano lo smantellamento delle milizie di Hezbollah, al quale è difficile che Sleimane possa decidere di contribuire.  Si ricordi infatti che il generale non ha esitato a inviare l'esercito regolare in supporto delle milizie di Hezbollah in occasione dell'ultima guerra con Israele, a dimostrazione che nella visione del futuro Presidente sul ruolo strategico delle forze armate libanesi, ad Hezbollah continua ad essere riservato un ruolo.






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