Il volume è dedicato all'esame del fattore generazionale in rapporto ai processi di mutamento politico. E' anche un'indagine storica sulla retorica e sul linguaggio della politica, considerati nella dicotomia giovane/vecchio, nuovo/passato, in una stagione, quella dei primi decenni del Novecento, nella quale “la rivolta dei figli” sembro' acquisire rilevanza in sé nell'opinione comune, in coincidenza con le traumatiche trasformazioni sociali e culturali connesse alla Grande guerra e con l'insorgere dei totalitarismi. Tale problematica è qui considerata analiticamente assumendo a caso significativo il rapporto tra fascismo e antifascismo.
Singolare è la dichiarazione riportata da Togliatti nel 1944: “uno dei più gravi errori del fascismo è di aver trascurato, anzi, ignorato il problema dei giovani. E scagionandoli da ogni responsabilità: “il fascismo fu il governo tirannico e antinazionale degli avidi gruppi privilegiati e della plutocrazia del nostro paese, ed è fare ai giovani un'offesa sanguinosa considerarli come autori e sostegno di questo regime, di cui essi furono, piuttosto le vittime e lo zimbello”.
Per Ruggero Zangrandi addirittura non è mai esistita una gioventu' fascista (“il fascismo non è un fenomeno di generazione, neppure al tempo del suo massimo fulgore”), perchè la gioventù (“quella almeno più legata alle tradizione italiane”) guarda sempre al regime con una certa ironia e perfino con disgusto. Nell'introduzione Ezio Antonimi riassume: “Così, con l'avvicinarsi della guerra, se molti giovani vennero a maturare un'opposizione al fascismo, ancora confusa, si trattò di un'opposizione introversa, solitaria, o sul piano del gusto, alle forme più plateali e volgari dell'esibizione fascista.