Dai tempi della Costituzione repubblicana politici e giuridici discutono della giustizia penale: Nel corso degli anni sono intervenute numerose riforme che inutilmente hanno cercato di risolverla. Eppure l'accertamento di un fatto e la riferibilità dello stesso alla responsabilità di un soggetto agente non dovrebbe essere impresa eccessivamente complicata. E allora perchè tanti errori giudiziari? Forse perchè la causa della crisi non risiede tanto nel sistema delle leggi quanto nella cultura delle leggi e nel difetto di conoscenza dell'uomo.
Il giudice è un uomo che resta sostanzialmente tale senza la cultura della prova e la cultura della pena.
Ma “giudicare" può essere un mestiere? Perchè mai in cinquant'anni il nostro paese non è riuscito a formare il giudice dei valori accontentandoci del giudice della norma? Il diritto come valore, la qualità del giudice che dev'essere soggetto solo alla Costituzione, la forma e la natura della giuria, la miseria culturale della punizione non finalizzata alla rieducazione, la compatibilità della giustizia sociale, libertà e autonomia del giudizio, questi sono i nodi essenziali di un processo che non può riguardare solo la nazione ma affermare l'universalità dei diritti fondamentali intesi come valori naturali.
Nel nostro paese, recentemente, il processo penale è riuscito a selezionare il quadro politico, a mettere fuori legge i partiti storici, a leggitimare politici e percorsi antidemocratici, a cancellare i diritti dei nuovi potenti non scelti dal popolo, a modificare il dissenso e l'antitesi sociale.
Il giudice tecnico, il giudice per mestiere è stato il protagonista di tanto scempio della democrazia.
Il carcere e la sentenza sono serviti più del suffragio universale e della cultura politica. Come è potuto accadere?
Il libro cerca di dare una risposta a questi inquietanti interrogativi.