Un testo Classico del socialismo giuridico.
Scritto dal giovane avvocato venticinquenne, Filippo Turati, e ritrovato dopo anni di oblio.
Studiato e discusso da dodici detenuti nel carcere di Opera (Milano) in un seminario tenuto dalla Critica Sociale, questo libro è un “colloquio” tra i Turati e i reclusi sulla inutilità della repressione penale per estirpare il delitto.
La compresenza del bene e del male in ciascun individuo - si afferma nel volume – non consente di dividere le persone detenute e le persone libere in due “umanità” differenti: il carcere deve svolgere un ruolo di favorendo l'educazione alla socialità attraverso il lavoro e la cultura e sostituito appena possibile con altr eculture penali alternative. Solo così si restituisce ad ogni detenuto il diritto ad un futuro. Il dovuto risarcimento del suo debito verso la società, infatti, non giustifica il formarsi di un debito della società dei suoi confronti con la negazione del diritto alla vita e ad una seconda opportunità di scelta, come vuole la costituzione. La denuncia è la migliore terapia contro il delitto perché solo il detenuto può sconfiggere il criminale che è in lui collaborando cosi' alla più generale riforma della società secondo giustizia e sicurezza.