S.B. - Secondo il Ministro della Sanità, Livia Turco, la L. 194 funziona perché da quando è in vigore – orsono trent’anni - il numero di aborti legalmente praticati nelle strutture ospedaliere italiane si è praticamente dimezzato. Bene.
Si omette di osservare, tuttavia, che nel medesimo arco temporale, anche il numero delle nascite si è drasticamente ridotto al punto da aver reso l’Italia il paese con il minore indice di natalità, e dunque con la più critica tendenza all’invecchiamento, tra tutti i paesi europei.
Il dibattito sull’aborto, che in questi giorni impegna politici e intellettuali in riflessioni filosoficamente così ispirate, sta nei fatti oscurando il dato che più dovrebbe investire la responsabilità politica: fare figli in Italia è un lusso; abortire, sempre più spesso è avvertito come una necessità.
Oggi, nel nostro paese, i figli li fa chi può permetterselo. Abortisce chi non ha i mezzi e sa di non poter contare su quei servizi – dagli asili, alle nannies, agli assegni di mantenimento – che nei paesi civili e laicissimi dell’Europa centro-settentrionale, garantiscono la vita e la natalità nazionale con efficacia ben maggiore di quanto non faccia la retorica dell’astrattismo etico.
La differenza tra l’ideologismo paralizzante del nostro paese e il pragmatismo attivo di paesi come Francia o Svezia o Gran Bretagna è che lì si è capito quello che da noi non si è voluto intendere: una nuova vita è un bene, la maternità e la paternità non sono optional ma fasi naturali della crescita dell’individuo e del suo compiersi come “cittadino”. Quello che da noi è mancata è una politica laica al punto da riconoscere la non-negoziabilità di questo principio, agendo conseguentemente con politiche sociali ed economiche capaci di restituire a tutti la facoltà di dare la vita.
Non è certo della politica ma semmai della Chiesa il dovere di rinnovare, in una comunità eticamente smarrita nel mare relativista, l’immensa bellezza della vita, sin dall’atto supremo del concepimento. Ma è della politica il dovere di rimuovere tutti gli ostacoli o le distorsioni che rendono la prospettiva dell’aborto un’opzione realisticamente preferibile alla nascita di un bambino.
Non si tratta, né per la Chiesa né per la politica, di agire in un’ottica limitatrice delle libertà di scelta individuale. Al contrario, si tratta di restituire all’individuo la sua piena e matura responsabilità di scegliere.
L’essere umano – posto nelle condizioni di operare una scelta non condizionata da limiti economici o ideologici – non potrà che assumere come naturale la scelta della vita, non essendo questa un fattore storicamente determinato né dalle convenzioni scientifiche, né dalle ideologie di partito.
Semmai, la vita è l’assioma il cui postulato è l’essere umano.
Rendere gli uomini liberi di auto-realizzarsi sul piano etico dovrebbe essere la principale preoccupazione di una Chiesa che agisce nel mondo, e il principale compito di una politica che si vuole sensata.
La Chiesa agisce nel mondo. E se il mondo mina la libertà di autodeterminazione etica degli esseri umani, per esempio, subordinandola allo status economico, allora la Chiesa ha il dovere di denunciare, ammonire e contribuire a che si rimuovano quei fattori discriminanti. Il dovere della Chiesa cioè è quello di illuminare la politica, là dove dalla sua decisione può derivare una maggiore, non minore libertà di autodeterminazione etica.
Aspettare un bambino non può essere una tragedia, deve poter essere una gioia. Tragedia, tuttavia, e tragedia vera lo diventa quando non si hanno gli strumenti materiali per mettere al mondo, accudire, far crescere il proprio figlio, qualunque sia la condizione sociale e civile di appartenenza.
Le donne italiane in età di maternità oggi per fortuna lavorano in gran numero. Ad un figlio però pensano solo nel momento in cui raggiungono una solidità economico-sociale che dia loro la certezza di non condannare se stesse ed i propri figli ad una vita di privazioni, non solo dai beni materiali ma anche dalle opportunità. Si cerca, insomma, ed è naturale che sia così, una sicurezza che sarebbe giusto garantire a tutti, anche a chi non è in grado di garantirsela da sé. Oggi, tuttavia, una donna non ottiene pi&ugra...