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LA DIPLOMAZIA DI BUSH IN MEDIO ORIENTE
ripubblichiamo un'analisi di Foreign Affairs



La politica estera dell'Amministrazione Bush - con l'attenzione globale catturata dall'iniziativa in Medio Oriente, la diffidenza montante contro l'unilateralismo militare, il conformismo catastrofista sull'Iraq – è stata oggetto in questi anni di analisi drammaticamente parziali. Ciò ha nei fatti impedito di rendere adeguatamente conto di un aspetto cruciale ed invero ambizioso della politica estera dell'America Repubblicana: il progetto di riconfigurazione delle istituzioni internazionali, attraverso la redistribuzione del potere verso i paesi “emergenti”, come Cina e India.
È questo il senso della riflessione, consegnata alla rivista americana Foreign Affairs, dal prof Daniel W. Drezner – docente di Politica Internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy presso la Tufts University, nonché autore di "All Politics Is Global."
Nel saggio “The New New World Order”, pubblicato sul numero marzo/aprile 2007, Drezner descrive con puntualità tempi, modi e ragioni del progetto Usa volto all'affermazione di un nuovo multi-polarismo. Favorire l'ingresso di quei paesi all'interno del sistema di governance internazionale, infatti significa per Washington  riscrivere un nuovo ordine mondiale che riconosca alle nuove potenze un peso politico adeguato all'influenza effettivamente esercitata sullo scenario globale.
Così – spiega l'autore – Washington è ormai attivamente impegnata nel compito di valorizzare il profilo delle potenze emergenti presso i consessi internazionali, dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), all'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), e coinvolgere paesi come Cina e India nei più autorevoli forum per la discussione di temi “pesanti”, come la proliferazione nucleare, le relazioni monetarie, l'ambiente.
La dottrina del “nuovo ordine mondiale” non è nuova, con quel copyright depositato nella cassaforte ideologica di famiglia, per l'appunto da Bush padre. Un nuovo ordine mondiale – è la pragmatica constatazione di fondo – si è già realizzato nei fatti, con l'increbilmente rapida crescita delle potenze asiatiche, ed il conseguente scivolamento ad Est del fulcro degli interessi geopolitici ed economici globali.
“Goldman Sachs e Deutsche Bank – si legge – stimano che entro il 2010 il combinato di crescita globale e reddito interno di Brasile, Russia, India e Cina – i paesi del così detto Bric – supererà quello della somma di Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito e Italia, raggiungendo, entro il 2025, un valore economico effettivo pari a due volte quello dell'insieme dei paesi rappresentati nel G7.”A fronte di questi sostanziali cambiamenti negli assetti del potere globale, tuttavia, le istituzioni internazionali – dalla Nato al Wto – sono rimaste immobili, cristallizzate in un modello di governance strettamente in mano alle potenze post Seconda Guerra Mondiale - Usa, Urss, Giappone, Europa – così negando ai nuovi protagonisti globali il diritto di incidere e co-decidere quelle regole che le vecchie potenze pretendono tuttora di dover controllare.
Il nuovo ordine mondiale si pone quindi primariamente l'obiettivo di fissare un nuovo equilibrio multilaterale, giudicando auspicabile un sistema istituzionale internazionale inclusivo, che riconosca alle nuove potenze un peso adeguato all'influenza conquistata sui campi dell'economia e della finanza globale, e permetta di governare la multipolarità nel rispetto di una cornice legale comune.
A dispetto dellla disattenzione generale – osserva insomma Drezner - George W. Bush è riuscito a compiere la missione inseguita, un ventennio prima di lui, da George H. W. Bush, costruendo nei fatti quel “nuovo ordine mondiale” che il padre aveva così opportunamente delineato.
Il successo della strategia americana non è tuttavia ancora garantito. Due – secondo l'autore – sono,  infatti, i principali ostacoli al consolidamento strutturale dei progressi sin qui conseguiti da Bush.
Da una parte, l'ostilità al progetto dei paesi che avvertono come un'insidia al proprio status internazionale l'eventuale ingresso nelle istituzioni globali dei nuovi protagonisti asiatici. “Alcuni stati membri dell'Unione europea – si legge nel paper – hanno mostrato un ben scarso entusiasmo per la strategia americana. Anzi, per assicurarsene il fallimento, la Ue si è data parecchio da fare per implementare accordi bilaterali e di cooperazione con i paesi emergenti, in modo da contrastare l'offensiva unilaterale degli Usa.”
La seconda difficoltà incontrata dall'Amministrazione Bush è invece legata alla cattiva reputazione che ha circondato Washington dopo il discredito dagli Usa tributatato alle istituzioni internazionali, all'inizio della crisi irakena. Il fatto che, dopo aver umiliato l'Onu, l'Amministrazione diriga adesso una partita a livello di organismi internazionali così complessa è fonte di non poche perplessità negli stakeholder globali, come prova la resistenza di quella coalizione di “scettici” verso l'apertura a Cina e India, che conta paesi “non-allineati”come Argentina, Nigeria e Pakistan.
Nonostante il trend della crescita asiatica fosse consolidato già negli ...


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