LA TRIANGOLAZIONE WASHINGTON-MOSCA-TEHERAN
Che partita gioca la Russia tra gli ayatollah e la vertenza con l'Occidente? La posizione di Israele
Fabio Lucchini
Mentre la lotta per la sua successione entra nel vivo, George W. Bush, invece di concedere il suo endorsement ad uno dei candidati repubblicani, preferisce concentrarsi su quell'area del mondo dove il suo settennato alla guida della superpotenza globale ha lasciato i segni più profondi. L'Iran rimane il problema più urgente. In 9 giorni, fino al 16 gennaio, Bush visiterà, oltre ad Israele, Cisgiordania, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, ma non si possono escludere soste a sorpresa in Iraq o altrove. Proprio l'Iraq rappresenta la novità più lieta per il presidente. Per questo motivo non è da escludere una diversione a Baghdad, dove Bush potrebbe incontrare il generale David Petraeus e congratularsi con lui per i recenti successi ottenuti dall'esercito USA nella stabilizzazione dell'area. Sulla questione iraniana statunitensi ed israeliani condividono le medesime preoccupazioni. Durante la conferenza seguita al suo arrivo a Tel Aviv e Gerusalemme, Bush ha “sconsigliato” al governo iraniano di ripetere le manovre provocatorie che nei giorni scorsi hanno rischiato di causare un incidente navale con gli USA nello Stretto di Hormuz.
Più in generale, poi, i recenti e drammatici fatti pakistani rischiano di ampliare il fronte dell'instabilità mondiale dal Medio Oriente all'Asia Centro-Meridionale, creando un gigantesco teatro di conflitti e tensioni, dove le frange fondamentaliste ed estremiste potrebbe prosperare ed unire le proprie forze in funzione anti-occidentale. Con gravissimo danno per la sicurezza regionale e globale. L'acquisizione da parte iraniana di un proprio arsenale nucleare, in una situazione regionale caratterizzata dal disordine, agevolerebbe la realizzazione del vecchio sogno khomeinista: l'esportazione e la diffusione della Rivoluzione Islamica del 1979.
Un attore fondamentale per la risoluzione del problema Iran è senz'ombra di dubbi il Cremlino. Mosca non desidera un Iran nucleare, ma, al contempo, è animata dalla volontà di estendere la propria influenza sulle dinamiche mediorientali in modo indipendente, ed in potenza antagonistico, rispetto agli Stati Uniti. Di conseguenza, il Cremlino si muove con accortezza tra Washington e Teheran, perseguendo i propri interessi geopolitici ed economici. Da un lato, i russi negoziano con gli americani i termini e le condizioni per l'ennesima risoluzione anti-iraniana in sede ONU, dall'altro collaborano attivamente al programma nucleare di Teheran, fornendo il carburante per la centrale di Bushehr. Troppi interessi economici legano i due Paesi per far sì che Mosca adotti un atteggiamento troppo intransigente verso gli ayatollah.
Mosca e Teheran controllano circa il 20 per cento delle risorse mondiali di petrolio e quasi la metà del gas. La prospettiva comune di estendere la rispettiva influenza sul mercato energetico mondiale rappresenta un ottimo motivo per andare d'accordo. La dipendenza energetica dei giganti asiatici (Cina ed India) e dell'Europa serve al meglio gli interessi strategici di Putin ed Ahmadinejad. Inoltre, le opportunità di investimento che lo sviluppo dei settori del gas, del petrolio, e naturalmente del nucleare iraniani paiono offrire, non lasciano certo indifferente Mosca. Le manovre filo-iraniane del Cremlino vanno inquadrate, sottolineano Ray Takeyh e Nikolas Gvosdev dalle colonne dell'International Herald Tribune, come tasselli del disegno strategico della russia putiniana, intenzionata a giocare un ruolo di primo piano nelle dinamiche di un mondo multipolare. In quest'ottica, dopo aver fallito nell'interdire i piani americani in Iraq e in Kosovo, Putin vuole rifarsi impedendo alla comunità internazionale di prendere provvedimenti drastici contro gli amici iraniani. Tutto ciò, ovviamente, piace a Teheran. Gli ayatollah hanno imparato a comprendere e ad apprezzare l'arte della dissimulazione esercitata con perizia da Mosca che, mentre supporta a livello internazionale sanzioni blande e superficiali contro il programma nucleare iraniano, continua a fare affari con la Repubblica Islamica.
Se l'amministrazione Bush pare irretita dalle manovre, più o meno, sotterranee di iraniani e russi, non così Israele. I vertici dello Stato ebraico non nascondono la loro preoccupazione rispetto ai tatticismi iraniani e lasciano intendere di essere pronti a difendersi. Roger Bergman è un giornalista investigativo ed il suo nuovo libro Point of No Return, fa luce su i rapporti incrociati tra Iran, Hezbollah ed Israele, e sul tentativo del governo di Gerusalemme di impedire che, in futuro, un Iran dotato dell'arma atomica tenti di diffondere la Rivoluzione Islamica nella regione. Il libro svela retroscena davvero sorprendenti riguardo al rapimento di ostaggi occidentali in Libano, alle vicende di Imad Mugniyah, il capo militare di Hezbollah, l'uomo in cima alla lista dei ricercati da...
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