Mentre Mitt Romney si aggiudica 18 delegati in Maine e si rituffa nella difficoltosa rincorsa al lanciatissimo John McCain, Barack Obama si avvicina sempre più ad Hillary Clinton nei sondaggi che precedono ormai di sole 36 ore il fatidico Super Tuesday. In particolare, il senatore dell'Illinois tallona l'ex first lady in California, dove verrà assegnata una ricchissima dote di delegati.
E' curioso sottolineare come tutto, o quantomeno molto, sia cambiato nel corso dell'ultima settimana di campagna. In particolare, appare evidente il rovesciamento di prospettive che coinvolge sia il campo democratico che quello repubblicano, in primo luogo a proposito degli equilibri fra i candidati, in secondo luogo rispetto ai toni più o meno accessi del dibattito intra-partitico.
Pochi giorni prima delle consultazioni in Iowa, in quanti avrebbero scommesso su una corsa equilibrata fra i democratici?
Per Hillary Clinton si prospettava una cavalcata trionfale fino all'incoronazione di Denver. Ora la Clinton, dopo aver trascorso una pessima prima decade di Gennaio, si è ripresa ed appare leggermente favorita nei confronti dell'arrembante Barack Obama, ma la nomination parimenti è tutta da conquistare. Invece, l'indecifrabile nebulosa repubblicana si è rarefatta parecchio negli ultimi trenta giorni: Fred Thompson, il favorito dell'estate scorsa, si è ritirato, Giuliani, il favorito dell'autunno, in pratica non ha neppure cominciato la sua competizione, la stella di Huckabee va spegnendosi. Dall'assoluta incertezza pronosticata è spuntato prepotentemente John McCain, attualmente favorito su Mitt Romney, l'unico avversario rimastogli.
Dopo settimane di invettive anti-Obama, rimandate prontamente al mittente e tali da aver contribuito alla scelta di Edward Kennedy di sostenere il senatore dell'Illinois, Bill Clinton ha forse ritenuto che potesse bastare, o forse qualcuno lo ha indotto ad un periodo di riflessione. Fatto sta che la strategia di Hillary sta cambiando, per evolversi dall'attacco personale alla politica dei sorrisi. Quanto è accaduto due giorni or sono al Kodak Theatre di Los Angeles è apparso agli elettori democratici sicuramente più edificante della lotte intestine delle scorse settimane. Sulla sincerità degli abbracci e degli ammiccamenti fra la Cinton ed Obama è lecito nutrire qualche dubbio, ma la forma spesso in politica è sostanza. Probabilmente, nella riappacificazione ha giocato un ruolo non secondario un'accresciuta tranquillità psicologica dei candidati, dovuta alla posizione di relativa forza di entrambi in seguito ai due brillanti successi in South Carolina (Obama) e in Florida (Clinton). Questo è vero soprattutto per la Clinton, apparsa scossa e smarrita dopo la sconfitta in Iowa. Per Obama è stato d'altro canto fondamentale riuscire ad arginare il momentum, o abbrivio, della rivale dopo l'inattesa resurrezione clintoniana in New Hampshire. Tenendo in Nevada e vincendo nettamente in South Carolina, Obama ha riconfermato la sua taumaturgica capacità di richiamo su giovani e astensionisti. Allargare la partecipazione elettorale. Questa è la strada che deve battere per riuscire nell'impresa. Comunque vada, nessuno potrà disconoscere ad Obama il merito di aver contribuito in maniera determinante all'evidente incremento di votanti democratici rispetto alle primarie 2004.
Nella città californiana è dunque scoppiata la pace; l'unico avversario da attaccare non era presente in sala, ma aveva assunto finalmente le sembianze dell'amministrazione Bush e soprattutto dei suoi eredi politici. Persino durante uno scambio di battute sulla questione irachena la discussione ha mantenuto contorni cordiali. Barack ha ricordato ad Hillary il suo voto favorevole alla guerra, Clinton ha sottolineato l'atteggiamento oscillante di Obama in proposito. Ma nulla più. Addirittura si è avanzata l'ipotesi di un Dream Ticket, della candidatura dell'una/o alla presidenza e dell'altra/o alla vice-presidenza. Al di là delle suggestioni, nel caso l'equilibrio dovesse permanere dopo il Super Tuesday, eventualità non remotissima data la prevalente assegnazione proporzionale dei delegati nei vari Stati che voteranno il 5 febbraio, l'ipotesi potrebbe prendere piede al fine di evitare il rischio di una brokered convention, una convention democratica divisa ed incerta sulla designazione del candidato presidente.
La candidatura di John Edwards alla vice-presidenza non sarebbe peraltro disprezzabile. Secondo Paul Krugman, editorialista del New York Times, ad Edwards, recentemente ritiratosi senza dichiarare a chi andrà il suo appoggio, va riconosciuto il merito di aver introdotto la Questione Sociale nella campagna democratica. Senza la sua insistenza sulla necessità di ridurre l'ineguaglianza nel Paese, il tema della povertà sarebbe rimasto marginale. In particolare, la proposta di Edwards, volta a garantire il graduale affermarsi del principio della servizio sanitario nazionale universale, ha indotto sia Clinton che Obama a pronunciarsi sulla questione. Le ingombranti personalità dei suoi rivali hanno frustrato le sue velleità,...