Lunedì Sarkozy, in qualità di Presidente di turno della UE, si reca in Irlanda per sollecitare un secondo voto sul Trattato di Lisbona. Il tentativo è quello di rimettere in moto il meccanismo bloccato, ma la prospettiva è cambiata. Sarkozy vuole restituire l’Europa ai cittadini, vuole un mercato protetto che imponga regole “ambientali”, “sanitarie”, “sociali” alle proprie imprese, e pretenda reciprocità, in nome di una concorrenza autenticamente equa e leale. Vuole un’Europa in cui la libertà di circolazione sia un’opportunità per gli studenti, i viaggiatori, gli imprenditori europei, non un trucco per permettere ad immigrati irregolarmente entrati sul territorio dei 27 di muoversi senza controllo tra i confini dell’Unione. Sarkozy vuole più, non meno politica agricola comune, vuole che la qualità e specificità della produzione interna sia tutelata non penalizzata dai generosi accordi del Commercio mondiale. Vuole un’Europa in cui l’allargamento non sia un dogma ma una scelta ponderata, non un processo astrattamente perseguito dalle oligarchie di Bruxelles, ma un’opportunità concreta di crescita della comunità. L’Europa che ha in mente il neo Presidente del Consiglio Ue è, insomma, un’Europa politica capace di ritrovare, nella politica – non nel mercato, né nell’estensione dei propri confini, né nei marchingegni istituzionali - lo slancio ideale che possa dar senso alla sua missione.
Contrariamente agi auspici di Tommaso Padoa-Schioppa che, sulle colonne di Le Monde (26/06/2008), chiedeva una presidenza attenta al “metodo” più che al “merito”, la questione che pone Sarkozy non è affatto il “come” ma il “cosa”. È questo l’interrogativo che l’Europa deve porsi, e farlo adesso, perché il tempo è scaduto. Sarkozy dovrà allora essere capace di imporre questo dibattito ai 27 se vorrà che il semestre di presidenza contribuisca a far uscire l’Europa da una crisi, che non è un’impasse istituzionale ma un deficit di responsabilità politica che ha reso l’Unione un “paradosso” della democrazia occidentale. Un paradosso, si, perché come ha acutamente osservato Anatole Kaletsky, sul Times (26/06/2008), all’indomani del “no” irlandese, le élites di Bruxelles hanno preteso che il solo modo per salvare la democrazia europea – che le nuove istituzioni disegnate nel Trattato di Lisbona permetterebbero di realizzare - fosse di ignorare l’esito referendario – il solo strumento democratico oggi a disposizione dei cittadini europei. La democrazia europea, cioè, si salverebbe negando agli europei l’esercizio dei legittimi diritti democratici.
Paradossale è questa Europa che impone alle proprie imprese il rispetto di garanzie sociali, di sicurezza sul lavoro e tutela ambientale, senza pretendere – in nome di una concorrenza equa - la reciprocità ai propri partner commerciali. Paradossale è l’Europa che impone “quote” di produzione agli agricoltori, ai pescatori, agli allevatori e, in nome della libertà di mercato, permette che arrivino sulle tavole dei cittadini europei alimenti prodotti in Asia senza alcuna garanzia di qualità e sicurezza sanitaria. È a questa Europa che Sarkozy dice “no”. Anche a costo di creare uno scontro istituzionale con l’esecutivo dell’Unione, la Commissione europea.
La vera missione della Presidenza francese, allora, non sarà l’adempimento dell’Agenda redatta quando Lisbona pareva una partita già chiusa. La vera missione che Sarkozy sembra essere determinato a realizzare – come ha confermato lo stesso Presidente a France 3 (01/07/2008) - è quella di dar voce ai cittadini europei, costringendo Bruxelles a guardare in faccia la realtà, invece di cullarsi in farraginosi quanto inutili progetti di ingegneria istituzionale. Il “no” irlandese – come lo sono stati prima quello francese e olandese al vecchio Trattato Costituzionale – è una condanna a morte per l’Unione senz’anima partorita dalle oligarchie burocratico-bancarie che l’hanno governata negli ultimi dieci anni. È un “no” all’Europa che l’estensione ad Est ha reso un teatro di conflitto tra interessi economici e regionali contrapposti, un’entità paralizzata dalla non-decisione e condannata al compromesso al ribasso, come è stato, ancora una volta, per il progetto dell’Unione per il Mediteranno che, come ha opportunamente rilevato l’intellettuale algerino Mezri Haddad su Le Figaro (25/07/08), “o è un progetto di civilizzazione o non è”. Ancora una volta, insomma, il punto &egr...