Cedere potere ai cittadini.
Il manifesto del New Labour "con Blair dopo Blair"
di Alan Milburn.
La politica, come è ovvio, sta cambiando. […] Per oltre un decennio, Tony Blair ed il New Labour sono stati la forza egemone della politica britannica. Blair ha fatto più che rendere il Labour un partito eleggibile […] Ha ridisegnato il panorama politico e creato una nuova ortodossia nella politica britannica. Un'ortodossia che va aldilà delle singole policy, giungendo ad assumere un approccio politico - liberale in politica economica e sociale, internazionalista in politica estera - che coniuga diritti e responsabilità, che fa delle riforme e degli investimenti nei servizi pubblici la via moderna alla giustizia sociale. La Gran Bretagna, per questo, è oggi un paese migliore, più forte, più giusto.
È qui che si misura la vera grandezza politica, ovvero la capacità di modellare una nuova ortodossia che sopravviva alla vita politica del suo interprete venendo assunta come norma non solo dai sostenitori ma anche dagli avversari. Il problema di Cameron è riuscire a convincere il suo partito ad abbandonare la vecchia ideologia ed accettare questa nuova ortodossia. E questa è un'opportunità per il Labour, ma il partito dovrà dimostrare di avere ancora vento tra le vele e di sapere indicare la nuova rotta per il futuro.
Il cambiamento a cui penso, non ha a che fare solo col personale politico, è un cambiamento di paradigma della politica.
L'idea alla base del New Labour era che per realizzare i valori progressisti si dovessero trovare nuove strade. La vittoria ha significato acquistare dimestichezza con la nozione di "aspirazione" oltre che di "redistribuzione". E questo ha significato un nuovo rapporto tra lo stato ed il cittadino, tra il collettivo e l'individuale. Sono stati pertanto impiegati nuovi mezzi - riforme e risorse nei servizi pubblici, riforma fiscale nel welfare state, devolution nel governo del paese - per perseguire gli antichi fini della cultura laburista: equità, giustizia sociale, rafforzamento dei poteri della comunità.
Ma la controversia che queste riforme hanno talora generato, ha indotto qualcuno nell'errore di credere si trattasse di scegliere tra mezzi e fini.
La riforma è stata dipinta come priva di valori, persino ostile ai valori, là dove appariva tutta rivolta ai mezzi quello che funziona - ed indifferente ai fini - quello che conta. I fini sono importanti in politica. Sono quello che fa circolare il sangue nelle vene di un partito e che motiva il sostegno pubblico. Se vogliamo rinnovare il New Labour è necessario riconciliare i mezzi che impieghiamo con i valori in cui crediamo. Le riforme hanno un fine, un fine progressista, rendere la società più giusta. Per me questo significa ripensare quello che non si è ancora pienamente compreso essere il cuore della politica moderna: il rapporto tra stato e cittadino.
I governi non sono in grado, da soli, di affrontare la crisi ambientale o il problema delle pensioni così come non possono determinare il miglioramento della salute individuale o la riduzione della criminalità. Per far ciò sono infatti necessarie azioni da parte degli individui, non solo del governo. È questo che suggersice la necessità di riformare la vecchia, paternalistica relazione tra stato e cittadino. Quello che serve è una relazione più matura. Una relazione che conferisca più potere possibile dallo stato centralizzato ai singoli cittadini ed alle comunità locali. Così che i cittadini acquisiscano più potere e assumano maggiore responsabilità. Se la vecchia agenda del New Labour si ispirava al principio della competenza economica e del cambiamento del welfare, la nuova agenda laburista dovrà porre al centro il principio dell riforma dello stato e del rafforzamento dei poteri del cittadino.
L'obiettivo della politica, oggi, dovrebbe essere quello di aiutare la gente ad assumere maggiore controllo sulla propria vita. Perché mentre una persona acquisisce sempre più potere come consumatore, non ha ancora lo stesso potere come cittadino. Così, se da una parte l'affluenza media alle elezioni politiche nei paesi OCSE è scesa del 10% in 20 anni e l'scrizione ai partiti politici in Gran Bretagna si è dimezzata negli ultimi 25 anni, dall'altra parte, per molti aspetti, il coinvolgimento pubblico della società civile è in aumento. Impegnati in boicotaggi su prodotti di consumo, movimenti di protesta, organizzazioni della comunità locale, i cittadini diventano sempre meno passivi e sempre più attivi.
Il disimpegno è un sintomo di perdita di potere. Nella società contemporanea votare non basta più. La democrazia deve essere rafforzata ed il ruolo dello stato rinnovato. Fare le cose per la gente non funziona più. Fare le cose con la gente è la chiave - sia che si tratti di migliorare la salute pubblica, o combattere la criminalità, risanare i quartieri e proteggere l'ambiente. Ed a coloro i quali obiettano che con ciò si finisce col concedere troppo ai diritti dei cittadini, io dico che portare il pubblico dentro la tenda del decision-making è il solo modo per far accettare alla gente le sue responsabilità.
Credo si sia ormai pronti per inaugurare una nuova era in cui il coinvolgimento dei cittadini vada oltre la semplice opportunità di esprimere la propria opinione. Un'era che dia l'opportunità di decidere. Il principio alla base di questa nuova forma di governance, come ha sostenuto, tra gli altri, il filofoso David Marquand, deve essere la sussidiarietà, ovvero quel processo in cui il potere si situa al livello più basso possibile, così realizzando il bene della maggior parte della gente possibile. Hanno ragione quelli che sostengono vi siano dei limiti al libero mercato ma bisognerebbe essere altrettanto decisi nel dichiarare che ci sono limiti anche al ruolo dello stato centralizzato.
Nell'era delle riforme thatcheriane degli Anni 80 - le cosidette grandi privatizzazioni - il potere è stato trasferito dallo stato al mercato. Con le riforme neolaburiste di questo secolo - in particolare, la creazione di nuove istituzioni come la Bank of England indipendente, le fondazioni ospedaliere, le accademie cittadine e, adesso, anche le trust school - il potere è passato dallo stato ai nuovi erogatori di servizi.
Quello che però né il thatcherismo nè il blairismo sono riusciti a fare è il trasferimento del potere dallo stato all'individuo. Nel profondo del New Labour rimane un'irrisolta ambiguità sul ruolo dello stato. Lo si può vedere nell'atteggiamento verso il governo locale. La stessa ambivalenza la si può riscontrare anche nel nostro approccio alla rifoma dei servizi pubblici. Nel primo mandato l'accento veniva posto su target stabiliti dall'alto e regole imposte dal centro. Nel secondo mandato il linguaggio è cambiato ed è stata accolta una maggiore disponibilità verso termini come "devoluzione" e "pluralità". (…)
Nonostante le talvolta ferme resistenze al cambiamento, Tony Blair ha realizzato riforme durature nei servizi pubblici. Al posto dei vecchi monopoli di stato, si è dato vita ad una maggiore indipendenza organizzativa ed a nuovi incentivi a competere per migliorare i servizi. Ma a parte il programma per la scelta all'interno del NHS, queste riforme hanno dato più potere alle istituzioni che ai singoli individui.
Il controllo statale, di per sé, non garantisce equità di risultati. Al contrario, una struttura monolitica, diretta dall'alto favorisce nei servizi pubblici solo quei pochi con una voice forte. Naturalmente, è giusto estendere nel NHS i meccanismi che garantiscono la voce, per dare ai pazienti una maggiore opportunità di esprimersi, ma la voce da sola non conferisce potere. Per garantire una più giusta distribuzione delle opportunità è necessario che tutti abbiano anche la possibilità di scegliete. I meccanismi di scelta devono essere accuratamente costruiti - non ultimo per fare in modo che la gente possa assumere decisioni consapevoli - ma si ha prova del fatto che l'effetto è un livellamento verso l'alto, dal quale sono i più poveri ad ottenere i benefici maggiori.
Io che vengo dalle case popolari sono arrivato al governo. Sono stato fortunato. Appartengo alla generazione più socialmente mobile che questo paese abbia mai avuto. Ma penso ci si debba porre una domanda. Pensiamo che per un bambino che cresce oggi in uno dei più poveri quartieri popolari del paese questa mobilità sia possibile o probabile? Temo che la risposta sia no. E penso anche che sia un oltraggio morale che ciò succeda in un paese ricco come il nostro.
Negli ultimi decenni, il fattore decisivo nel definire le life chances sono state le condizioni sfavorevoli alla nascita. La mobilità sociale ha rallentato quando avrebbe dovuto accelerare.
C'è una cappa che pesa sulle opportunità della popolazione di questo paese. Noi l'abbiamo sollevata ma non l'abbiamo ancora infranta.
Ciò è in parte dovuto ai cambiamenti, nel mercato del lavoro, con l'acuirsi del divario tra lavoratori con e senza qualifiche. Ma è anche dovuto al fatto che porre rimedio alle ineguaglianze impone una strategia che va aldilà della sfera economica. Secondo il permio Nobel per l'economia, Amartya Sen, famiglie e comunità non soffrono solo svantaggi economici ma anche sociali, educativi e culturali. Si dive quindi fare di più perche l'attenzione passi dalla tradizionale soluzione dello stato sociale, che punta a corregere i sintomi delle ineguaglianze - come i bassi salari e la povertà familiare - ad un approccio che affronti le radici dello svantaggio, prima che cominci a condizionare il futuro delle persone. Ebbene, credo che questo significhi pensare ad una nuova forma di redistribuzione - di opportunità - con cui dare alla gente nuove possibilità in ogni fase e ad ogni età della propria vita.
Quello che dovremmo ricercare sono giuste opportunità di vita.
Dando ad un maggior numero di persone un vero ruolo nella società. Liberando il potenziale di ogni individuo in quanto tale.
Permettendo alle persone, indipendentemente dalle condizioni economiche, di acquistare un maggiore controllo sulla propria vita.
Riconoscendo che ciò che ci si deve preoccupare di redistribuire con più equità nella notra società è il potere.
Lo stato moderno ha dunque un duplice ruolo. Deve essere forte là dove i cittadini, singolarmente, sono deboli, fornendo loro sicuerezza ed opportunità; e deve essere debole là dove individualmente i cittadini, potendo esercitare scelta e responsabilità personali, sono forti.
La globalizzazione rende l'economia sempre più dipendente dal ruolo che lo stato gioca nel liberare il talento dei singoli cittadini. Questo significa superare la vecchia idea conservatrice della gerarchia e dei privilegi di classe per una società aperta, mobile e senza classi. Ciò comporta cioè dare più opportunità di progredire attraverso l'assistenza all'infanzia, l'istruzione e la formazione professionale.
La stessa forma di collaborazione deve essere avviata tra stato - o meglio, stati - e cittadini per vincere la sfida del cambiamento climatico. Se metà delle emissioni nocive sono conseguenza delle scelte che i singoli fanno su cosa consumare, come vivere e con quali mezzi viaggiare, allora l'azione del cittadino è cruciale. E la gente vuole sapere in che modo il suo comportamento può fare la differenza. E qui è possibile intervenire, ad esempio con nuove norme per l'etichettatura dei prodotti di uso domestico, o intrudecndo la commerciabilità delle emissioni di carbone e green tax. Non dobbiamo avere cedimenti su questo terreno, anche perché la sensibilità ambientalista di David Cameron non si è ancora tradotta in una proposta politica concreta e questo da a David Miliband (Ministro per l'ambiente, ndr) l'opportunità di contendere quello spazio ai Tory. E giustamente Miliband ha sostenuto che la migliore garanzia per riuscire a vincere la sfida del cambiamento climatico è stipulare un patto tra stato e cittadino.
Un patto analogo a quello che serve per battere il terrorismo. Quello che ci vuole è uno stato forte, capace di proteggere i cittadini, nel loro insieme, come non è possibile fare a livello individuale. E questo vale anche per l'immigrazione di massa in un mondo di frontiere aperte e facilità di spostamento. Credo vivamente che l'immigrazione sia un fenomeno positivo per la Gran Bretagna ma, come ha sostenuto anche John Reid (Ministro dell'istruzione, ndr), non sempre si è riconosciuto che essa è anche fonte di insicurezza. Come dimostra il rafforzamento dell'estrema destra in paesi come l'Olanda e la Francia, questa insicurezza non può essere trascurata dal centro-sinistra. Il sostegno pubblico all'immigrazione si fonda sull'applicazione di regole eque e controlli trasparenti. Si fonda anche sulla ridefinizione del concetto di multiculturalismo, perché la si smetta di avere gli occhi bendati gli occhi - come troppo spesso si è fatto, nella convinzione, errata, di compiere un atto di correttezza politica - davanti l'acuirsi del divario tra comunità etnicamente separate o davanti a comportamenti - ad esempio, nei confronti delle donne - che non tollereremmo altrimenti.
Dopo l'11 settembre ed il 7 luglio, se davvero vogliamo conseguire l'obiettivo di creare un paese in cui possano convivere identità diverse, allora non si deve temere un multiculturalismo moderno che istituzionalizzi i valori comuni, attraverso provvedimenti come l'introduzione della carta d'identità, la conoscenza della lingua inglese e l'educazione civica. Più in generale, questo concetto di equità delle regole va dritto al cuore di quello che deve essere uno stato moderno.
Un terreno accidentato, per i progressisti. Poiché quando parliamo di equità intendiamo in genere una forma di eguaglianza - che è quello in cui più intimamente crediamo. Ma quando il pubblico parla di equità, è alle regole che pensa.
Il principio dell'equità delle regole deve essere adottato in tutti gli ambiti politici - dalle tasse alla criminalità, dal welfare alle politiche residenziali all'immigrazione - in modo che la gente sappia che gli sforzi e i meriti saranno ricompensati ma la trasgressione delle regole, non sarà tollerata.
Il compito dello stato pertanto non è quello di ritrarsi, lasciando famiglie e comunità sole ad affrontare i capricci del libero mercato, come invece sostengono i conservatori di entrambe le sponde dell'Atlantico. Né è compito dello stato assumere, da solo, la responsabilità di tutto, dall'immondizia nelle strade al comportamento degli scolari in classe. Non è lo stato che ripulisce le strade o punisce gli studenti. Sono i cittadini a farlo. Se gli antichi legami che univano le comunità si indeboliscono si devono adottare misure che rinforzino le responsabilità e le aspirazioni della società. La priorità deve essere, oggi, la creazione di una cittadinanza attiva in cui lo stato mette sempre più cittadini nella condizione di compiere scelte con cui realizzare le proprie aspirazioni di progresso. La destra sbaglia a rifiutare il ruolo dello stato. Loro vogliono demolirlo, io voglio trasformarlo perché controlli meno e dia più potere.
Ecco, quindi, alcune proposte.
Innanzitutto, in economia politica. il nostro approccio deve valorizzare i benefici dell'economia flessibile . Il ruolo dello stato dovrebbe essere quello di creare le condizioni - governo pulito, regole fiscali chiare, stabilità economica, limiti alla regolamentazione - per alimentare la creazione di ricchezza. In questo sono completamente daccordo con la determinazione con cui Gordon Brown sta affrontando il blocco dei salari e della spesa pubblica. Né si può respingere in principio la questione della riforma fiscale. E lo stesso valga per la riforma del welfare.
In secondo luogo, la politica sociale. L'enfasi dovrebbe essere posta sul livellare la società verso l'alto, non verso il basso. La redistribuzione delle opportunità dovrebbe diventare la nuova strada per l'uscita dalla povertà. L'assistenza all'infanzia dovrebbe diventare la nuova arma con cui il welfare state possa fare in modo che ogni bambino sia assicurata la migliore partenza possibile. Uomini e donne dovrebbero poter scegliere il lavoro flessibile che meglio soddisfi la loro necessità di conciliare vita lavorativa e vita familiare. Ma la cosa più importante è che tutti abbiano la possibilità di diventare proprietari, perché questo significa realizzare un programma di lotta a quell'aberrante condizione di ineguaglianza nella società. Le politiche per la proprietà funzionano perché la proprietà stimola la responsabilità. D'altra parte nessuno ha mai lavato una macchina a noleggio!
In terzo luogo, la politica dei servizi pubblici. La gente chiede servizi capaci di rispondere meglio ai bisogni individuali e di offrire una maggiore scelta. Chiede servizi responsivi e di alta qualità. La gente vuole essere trattata come un individuo non come un numero. E come progressisti noi dovremmo volere che i più poveri abbiano possibilità di accedere, come oggi non possono fare, ai servizi migliori. Da qui la necessità di procedere con le riforme. Il settore privato ed il volontariato dovrebbero contribuire sempre di più in futuro con la loro esperzienza, la loro efficienza e gli incentivi che la loro presenza porta alla competizione.
Ma fare in modo che un servizio pubblico - sia esso erogato dal pubblico o dal privato - viaggi sulla stessa lunghezza d'onda dell'utente comporta la cessione a questi di un potere maggiore. È questa nuova accountability - nei confronti del singolo individuo - che dovrebbe costituire il cuore della prossima fase della riforma dei servizi pubblici.
Se opportunamente disegnate, queste riforme, dando più potere agli individui, offrono un duplice beneficio, come suggersice l'esperienza accumulata in altre parti del mondo: combattere le ineguaglianze e innalzare gli standard.
Quarto punto, la politica di governance. La politica dovrebbe esser retta da un nuovo assunto: lo stato deve governare meno, non di più. E per far assumere alla politica questo principio, è necessario realizzare una riforma istituzionale. Il governo deve cioè essere ridimensionato, nell'estensione e nei suoi compiti. Un cambiamento, questo, che è nello spirito di questo tempo perché, per curioso che possa sembrare, la globalizzazione in realtà ha rafforzato la domanda pubblica di localizzazione. A guidare il governo, quindi, dovrà essere un processo attivo di devoluzione di potere alle comunità locali. I Council dovrebbero essere liberati di buona parte del controllo adesso esercitato dal governo centrale, come ha già cominciato a fare Ruth Kelly (Ministro delle Comunità e del Governo locali, ndr). Il sistema di finanziamento dovrebbe passare dal sistema di tassazione nazionale ad uno locale in cui attraverso referenda, le comunità locali possano decidere su base locale l'aliquota fiscale . Le comunità locali dovrebbero assumere il controllo del budget da impiegare per la sicurezza e la pulizia delle strade e,attraverso il modello delle fondazioni ospedaliere, costruire una nuova forma di proprietà pubblica - organizzazione co-gestita a livello di comunità - che assuma il controllo dei servizi locali, come i centri per l'infanzia, i parchi e gli edifici pubblici.
Ma si può fare anche di più. La polizia locale e i servizi sanitari dovrebbero rispondere più direttamente ai cittadini attraverso elezioni. L'obiettivo dovrebbe essere quello di assecondare nel paese un nuovo input democratico, che contempli anche l'elezione diretta della Camera dei Lord e l'obbligo, per i governi nazionale e locale - magari impegnati da un nuovo patto costituzionale - a condividere il potere non ad accumularlo.
Dopo più di dieci anni al potere, un decennio nel quale il New Labour è stato spesso ingiustamente associato all'idea di controllo centrale, è necessario sposare una cultura più aperta, più serena, meno partigiana, una cultura in cui si abbia più dialogo e meno monologo. E per avere questa nuova, pluralistica forza politica è necessario seguire un sistema elettorale proporzionale - magarai con un metodo di voto alternativo - per entrambe le camere del Parlamento. Il Parlamento dovrebbe avere il potere di votare sulle guerre. Le proposte di legge dovrebbero poter essere vagliate da entrambe le camere, in seduta congiunta. Comitati selettivi dovrebbero riunirsi fuori Londra. I ministri dovrebbero regolarmente tenere incontri consultivi come parte del processo di policy-making e, come sostenuto da Hazel Blears (Chair del Labour Party, ndr) e Douglas Alexander (Ministro dei Trasporti, ndr), il partito dovrebbe trovare nuovi canali per raggiungere quelle comunità che è suo compito servire. Credo che questo significhi dare voce ai sostenitori ed agli iscritti nella selezione dei candidati e nella formulazione delle policy.
Dove ci porta tutto questo? Non soltando a nuove policy ma spero a una nuova politica. E ad un modo nuovo di fare politica.
Una nuova politica che veda aldilà di organigrammi e comitati. Che veda nuove policy che dando più potere ai cittadini consentano ai singoli di assumere un maggiore controllo sulla propria vita. Non si tratta solo di definire una riforma costituzionale ma di adottare una ben più radicale redistribuzione del potere nella società. Il cambiamento costituzionale è lo strumento con cui riformare solo l'attuale paradigma del potere. Ma quello che serve oggi è un paradigma nuovo.
Mi rendo conto che possa apparire un atto di fede pensare di cambiare un sistema in cui i governanti governano ed i governati subiscono, per una forma di democrazia attivamente partecipativa in cui i governati contribuiscono a governare. E so che è necessaria una nuova guida per far crescere la capacità della gente a partecipare efficacemente. ma sarebbe sbagliato credere che la gente non voglia partecipare. O che non abbia la capacità di farlo. Quello che non è realmente distribuito nella società non è l'abilità, ma l'opportunità. E questo significa potere. È questo il nuovo terriotorio della politica. ma in verità, né la destra né la sinistra ne hanno ancora raggiunto consapevolezza. E chi lo capirà per primo credo vincerà sia sul piano ideologico sia sul piano elettorale.
Credo sia questa l'agenda che il New Labour dovrà tracciare per il prossimo decennio. Si dovrebbe chiudere qui il primo capitolo della letteratura laburista. E se ne dovrebbe aprire un secondo. Il quale avrà un diverso programma politico ma avrà il medesino set di valori comuni. E sul piano politico, questo significherà stare al centro, non in posizione estrema, affrontare il futuro, non confrontarsi col passato, modernizzare i mezzi, mantendendo fede ai fini.