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I NEO-SOCIALISTI E GLI UOMINI DELLA NUOVA FRONTIERA

Il ruolo dell'Amministrazione Kennedy, ed in particolare di Arthur Schlesinger, nella formazione del governo di centro-sinistra nell'Italia del boom economico.

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  I NEO-SOCIALISTI E GLI UOMINI DELLA NUOVA FRONTIERA

di Spencer di Scala

Nel 1958, la proposta di Nenni per un centro-sinistra, fatta ben cinque anni prima, era ancora in discussione e, prima che i socialisti potessero entrare al governo, ne sarebbero dovuti passare altrettanti. Nel 1963, tuttavia, la formula nenniana era già stata praticamente logorata dai nemici dell'apertura a sinistra.
Data l'estrema immobilità della situazione politica italiana e la sensibilità verso gli sviluppi internazionali, sembra improbabile che la coalizione di centro-sinistra avrebbe potuto diventare effettiva senza l'elezione di John Fitzgerald Kennedy a presidente degli Stati Uniti e senza gli interventi del suo consigliere Arthur Schlesinger. L'evidenza sembra portare a questa conclusione, anche se gli esperti del Dipartimento di Stato ritenevano che il centro-sinistra fosse un'idea puramente italiana, e benché Giovanni Pieraccini, luogotenente di Nenni, durante la conversazione che ebbi con lui il 14 novembre 1984, non condividesse questa tesi.
Quando le condizioni politiche per un centro-sinistra maturarono, i suoi oppositori cercarono di ritardarne al massimo l'attuazione. Il 7 ottobre 1985, durante una conversazione telefonica, Robert W. Komer, ex funzionario della Già che attirò l'attenzione dell'amministrazione Kennedy sull'apertura a sinistra, mi disse che molti italiani credevano che gli Stati Uniti si opponessero a tale apertura, permettendo ai suoi avversari di ritardarla. Per tale motivo Komer e gli altri funzionari dell'amministrazione comunicarono agli italiani che Kennedy non si opponeva al centro-sinistra: questo provocò uno scontro tra gli uomini della Nuova Frontiera e la burocrazia americana.
Questi stessi argomenti emersero nella mia conversazione del 25 giugno 1985 con Arthur Schlesinger. Osservai: «Ho la netta sensazione che, senza l'amministrazione Kennedy, gli italiani, privi di un “appoggio positivo”, non ce l'avrebbero fatta...». Rispose Schlesinger: «Certamente, tutto sarebbe stato ritardato di molto perché, come lei dice, le persone che per tutt'altri motivi ostacolavano il centro-sinistra avrebbero tirato in causa gli americani per giustificare la mancata attuazione del centrosinistra».
Verso la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, il sistema politico italiano scavalcò, raggirò e ostacolò nei modi più vari l'apertura a sinistra prima di usare contro di essa tattiche più discutibili.
Il «veto» americano
Com'è stato precedentemente osservato, la politica statunitense in Italia si oppose alla partecipazione del Psi al governo a causa della sua alleanza con i comunisti e anche perché gli americani temevano ripercussioni sulla politica estera italiana, in particolare per quanto concerneva l'appartenenza dell'Italia alla Nato. Durante l'amministrazione Eisenhower, i due ambasciatori Clare Boothe Luce e James D. Zellerbach si attennero rigorosamente al «veto» americano e ignorarono la graduale revisione compiuta da Nenni degli atteggiamenti socialisti nei confronti della politica estera. La Luce interferì apertamente nella politica italiana sostenendo un'apertura a destra con l'inserimento dei monarchici nella coalizione di governo. Durante una conversazione telefonica che ebbe con me, Robert Komer rammentò un pranzo tenutosi a Roma durante il quale la Luce definì Scelba un estremista di sinistra. Sino alla fine del 1961, ella insisteva nel dire che il Psi e il Pci dovevano essere considerati praticamente un unico raggruppamento: quello di estrema sinistra.
William Colby, capo della Cia a Roma e suo futuro direttore, racconta come l'ambasciata influenzò le elezioni amministrative del 1956 autorizzandolo - ripeto testualmente - «a riempire il sedile posteriore della mia Fiat con milioni di lire e tramite il mio agente esterno, un finto studente, a distribuirli lavorando assiduamente per un intero pomeriggio».
Zellerbach mutò lo stile dell'ambasciata durante la sua carica (1957-1960), ma il veto rimase. L'ambasciata rifiutava qualsiasi contatto con i rappresentanti socialisti mentre manteneva un rapporto amichevole con il leader liberale Malagodi, anche a causa della sua ottima conoscenza della lingua inglese, cosa allora molto rara tra i politici italiani.
Anche in questo periodo, tuttavia, i pareri degli americani sull'apertura a sinistra erano contrastanti, preannunziando serie divisioni durante l'amministrazione Kennedy. Colby era favorevole all'apertura perché avrebbe isolato politicamente i comunisti e apportato un altro 15 per cento alla maggioranza di governo. Egli, inoltre, favoriva un appoggio finanziario americano in quanto la mancanza di fondi inibiva una rapida rottura dei socialisti con il Pci. Anche i leader «liberal» della Divisione internazionale della Già vedevano di buon occhio i cambiamenti progressisti politico-sociali che molti elettori cercavano, nell'apertura a sinistra. Komer ricorda che il direttore della Già, Allen Dulles, era favorevole al centro-sinistra; ma, nello scontro che ne seguì per stabilire quale direzione la politica americana dovesse prendere, fu l'ambasciatore Luce ad avere chiaramente la meglio.
Nell'Inr (Intelligence and Research Bureau) del Dipartimento di Stato, John Di Sciullo, uomo di straordinaria energia e di impeccabili credenziali accademiche, aveva messo in evidenza già dopo le elezioni del 1953 l'importanza di una divisione dei socialisti dai comunisti e la necessità di guadagnare l'appoggio del Psi per una stabile coalizione democratica di governo. Convinto che gli americani dovessero raggiungere un'intesa con i socialisti aveva espresso questa tesi nella «National Intelligence Estimate» per l'Italia del 1958.
Gli uomini della Nuova Frontiera
Queste idee rimasero a fermentare fino a dopo l'elezione di Kennedy, nel 1960. All'inizio della sua amministrazione, nel marzo 1961, l'esperto del Consiglio di sicurezza (Nsc) per l'area del Mediterraneo, Robert Komer, mandò un memorandum all'assistente speciale per le questioni di sicurezza nazionale
McGeorge Bundy, suggerendo la possibilità di cambiare l'atteggiamento americano verso l'apertura a sinistra. Quando più tardi il memorandum arrivò al presidente, non se ne fece nulla a causa di problemi ben più pressanti. Komer, però, ne parlò al consigliere del presidente, Arthur Schlesinger Jr., che si mostrò interessato al problema e decise di mutare la politica americana nei confronti del centro-sinistra. Il 9 ottobre 1985, nella conversazione telefonica che ebbi con Komer, costui mi informò che il suo scopo era soprattutto quello di far sì che la politica degli Usa non venisse interpretata dagli italiani come avversa all'apertura a sinistra. «Solo due persone mi hanno ascoltato», mi disse Komer, «Arthur Schlesinger e Jack Kennedy». Nei suoi rapporti, Komer si riferiva a se stesso e a Schlesinger come «Remolo e Remo».
Con Schlesinger, Komer aveva trovato l'uomo della Nuova Frontiera più qualificato a trattare gli affari italiani. Avendo seguito da vicino, come membro dell'Oss, la politica italiana fin dalla seconda guerra mondiale, Schlesinger era diventato, come egli stesso mi disse, «un compagno di strada del Partito d'Azione» e aveva conosciuto La Malfa, Nenni e Saragat. Nel descrivere il suo coinvolgimento negli affari italiani dopo l'elezione di Kennedy, Schlesinger mi disse: «Per lungo tempo sono stato interessato alla politica italiana e ritenevo che il veto imposto dall'amministrazione Eisenhower fosse una sciocchezza. Ne parlai a Kennedy ed egli fu d'accordo con me».
Tuttavia, nel cercare di cambiare la politica americana, gli uomini della Nuova Frontiera si scontrarono con la forte opposizione dei «duri» del Dipartimento di Stato. A proposito di questa opposizione Schlesinger mi disse:

Quando [l'ambasciatore] Harriman venne in visita a Roma [nel marzo 1961], ritornò negli Usa molto irritato dal comportamento di Outerbridge Horsey [vicesegretario dell'ambasciata a Roma] che era estremamente rigido nella sua opposizione. Quindi, l'opinione diffusa alla Casa Bianca, con cui Mac Bundy concordava, era che si sarebbe dovuto abolire questo veto e aspettare il momento opportuno. Fu strano che la nostra azione venisse interpretata come un'intromissione nella politica italiana. Infatti, il nostro scopo era quello di porre fine all'intervento dell'amministrazione Eisenhower per permettere alla politica italiana di seguire più naturalmente il suo corso. Ci sembrava che il centro-sinistra fosse l'unica soluzione, verso cui le forze autonome della politica italiana si stavano dirigendo, e che, inoltre, il governo che ne sarebbe scaturito sarebbe stato meglio accetto all'amministrazione Kennedy. Tutti questi motivi mi coinvolsero e Kennedy stesso, in un certo modo, mi diede via libera affinché facessi la mia parte, sia pure fastidiosa, per la soluzione di questo problema.

Occorre anche notare che Kennedy ammirava i laburisti inglesi con cui Nenni aveva stretti rapporti.
In una relazione al presidente, Schlesinger espose valide ragioni per appoggiare il centro-sinistra. Sebbene gli americani avessero espresso a parole il loro appoggio alle riforme sociali in Italia, egli scriveva, le loro azioni, durante il periodo della Luce, avevano convinto «la maggior parte degli italiani che noi in realtà favoriamo gli interessi dei grandi industriali». Con l'accresciuta indipendenza di Nenni dai comunisti e il suo avvicinamento alla sinistra della De, diveniva più manifesto il bisogno di riforme sociali e cresceva, tra gli italiani, la convinzione che un'apertura a sinistra avrebbe offerto la migliore speranza per una democrazia stabile. Schlesinger esortò Kennedy affinché spiegasse a Fanfani, durante la sua visita a Washington nel giugno 1961, che «se ci fosse stata qualche prospettiva reale che una larga parte della classe operaia potesse essere riscattata per la democrazia, gli Stati Uniti avrebbero accolto ben volentieri tale sviluppo».
Oltre a simili considerazioni ideologiche, molti altri furono i motivi che convinsero l'amministrazione Kennedy ad appoggiare il centro-sinistra. Prima di tutto l'amministrazione cercò l'aiuto italiano per risolvere il problema della bilancia dei pagamenti. Gli sforzi per indurre gli italiani a fare nuove ordinazioni di armi procedevano speditamente, ma Schlesinger chiese con insistenza che gli italiani aumentassero gli aiuti destinati ai paesi meno sviluppati, specialmente in America Latina, Medio Oriente e Africa. L'Italia aveva ridotto i contributi ai paesi sottosviluppati adducendo i propri problemi nel Meridione. Nel discorso che il vicepresidente Lyndon Johnson avrebbe dovuto leggere durante una cena con Fanfani, e che era stato scritto da Schlesinger, quest'ultimo citava il progresso economico italiano in una società libera come «una valida aggiunta all'arsenale ideologico della democrazia». Facendo riferimento in particolare alla questione meridionale italiana, Schlesinger affermava: «Le aree sottosviluppate collegano l'Italia alla maggior parte delle nuove nazioni non allineate del mondo. Se l'operazione “Bootstrap” nel meridione darà risultati duraturi, potrà servire da modello e da guida per queste nazioni».
La visione dell'Italia come modello per i paesi meno sviluppati rimase uno dei temi importanti dell'amministrazione statunitense. Durante i suoi colloqui col presidente Antonio Segni nel luglio 1963, Kennedy non solo lo incitò ad appoggiare il centro-sinistra, ma espresse anche la speranza che la De prendesse più a cuore l'America Latina favorendo in essa uno sviluppo democratico. Nel marzo 1961, Harriman aveva già sollevato questo problema col presidente Gronchi e Schlesinger era intervenuto perché non si ricorresse a metodi poco leali negli affari che gli americani trattavano con le imprese italiane in Argentina. Dello stesso tenore furono i colloqui tra gli alti fun-zionari dell'amministrazione e un'importante società di consulenza italiana, per un migliore sviluppo economico e sociale del bacino del Mediterraneo. Gianni Agnelli appoggiò entusiasticamente il progetto e attese di incontrarsi con Kennedy per discutere direttamente della questione, verso cui le organizzazioni dell'Orni avevano già manifestato interesse.
Durante la mia conversazione del 25 giugno 1985 con Schlesinger, egli confermò la sua idea per un'Italia di centro-sinistra intesa come modello per gli altri paesi e ribadì l'appoggio di Kennedy, specialmente nei confronti dell'America Latina. Particolare interessante, Schlesinger sosteneva la formula del centrosinistra per la Francia dopo De Gaulle e per la Germania dopo Adenauer. In termini più espliciti, gli americani, come testimonia il traffico diplomatico tra l'ambasciata di Roma e il Dipartimento di Stato, respinsero il modello gaullista per l'Europa, ritenendo che un governo stabile di centro-sinistra fosse una valida barriera a un potenziale De Gaulle italiano.
Gli uomini della Nuova Frontiera andarono al di là degli schemi ideologici, passando all'azione. Averell Harriman visitò Roma nel marzo del 1961 e invitò il presidente del Consiglio Fanfani a visitare Washington.
L'interazione tra gli affari italiani e il modo di ragionare degli uomini della Nuova Frontiera emerge chiaramente dagli appunti, in gran parte censurati, dei colloqui che Harriman ebbe con i leader italiani. Parlando con Saragat, per esempio, egli chiese come mai in Italia il voto comunista non fosse diminuito, nonostante l'impressionante sviluppo economico. La risposta di Saragat è stata cancellata, ma la nuova strategia anticomunista degli americani risulta chiaramente dalla replica di Harriman:

Mr. Harriman replicò che l'amministrazione Kennedy la pensava in questo modo. Aggiunse che gli Stati Uniti avevano imparato a proprie spese che non era sufficiente dare ai paesi sottosviluppati assistenza finanziaria, ma che era anche necessaria una riforma sociale e persino una rivoluzione sociale. L'ambasciatore disse che la nuova amministrazione democratica desiderava patrocinare gli interessi sociali ed economici della gente comune, e che era questo il piano della «Nuova Frontiera», mentre i repubblicani erano più interessati agli affari.

Allo stesso tempo Harriman si disse però preoccupato per l'impatto sulla politica estera che un'entrata al governo del Psi avrebbe potuto avere. Schlesinger ed io discutemmo su queste riserve di Harriman, che, secondo Schlesinger, erano la linea ufficiale della politica americana, come veniva prospettata ai funzionar! italiani. Quando Schlesinger parlò a Harriman dopo il ritorno dell'ambasciatore da Roma, egli, testualmente, «era sempre, per quel che ricordo, a favore del centro-sinistra».
Subito dopo il viaggio di Harriman, nell'aprile 1961, Schlesinger venne in Italia per partecipare a un convegno sulla politica estera americana sponsorizzata da «Il Mulino», rivista bolognese della sinistra democristiana. Egli, come spiegò in un memorandum al presidente Kennedy, riteneva che l'avere contatti con gli intellettuali europei fosse una carta importante per la nuova amministrazione. Sebbene il convegno avesse scarsa risonanza perché nel frattempo era scoppiata la crisi della Baia dei Porci, il viaggio ebbe conseguenze rilevanti.
La delegazione americana includeva un vecchio amico di Schlesinger, James E. King Jr., dell'Institute for Defense Analysis, favorevole all'apertura a sinistra. La partecipazione al convegno stimolò un ulteriore interesse per il centro-sinistra e generò un influente gruppo che ne sosteneva l'attuazione. Oltre a Schlesinger e a King, questo gruppo comprendeva il giornalista del «Washington Post» Leo Wollemborg, i cui articoli si trovano in abbondanza tra gli schedari di Schlesinger alla biblioteca Kennedy; Victor Sullam, rappresentante a Washington della Federazione italiana delle cooperative agricole; Victor Anfuso, un italo-americano membro del Congresso; Richard Gardner, futuro ambasciatore di Carter in Italia; i sindacalisti Victor e Walter Reuther; e Fabio Gavazza, membro influente del gruppo de «Il Mulino». Assieme a Robert Amory Jr. e a Dana Durand della Cia, al ministro del Lavoro Arthur Goldberg, al direttore dell'Usia Edward Murrow e ad altri influenti alleati di Schlesinger, tutte queste persone costituirono una potente «lobby» per il centro-sinistra.
Subito dopo il convegno de «Il Mulino», King ottenne, tramite Gavazza, dei colloqui con Gronchi, Fanfani, Moro e Nenni, e, come affermò testualmente più tardi, «sfruttai questi colloqui per rafforzare la convinzione di Moro che gli Stati Uniti avevano interesse a incoraggiare e non a ostacolare la collaborazione tra socialisti e democristiani».
Quando King ritornò negli Stati Uniti, in un memorandum che circolò tra gli influenti membri dell'amministrazione Kennedy riferì il contenuto dei colloqui avuti con i leader italiani e i funzionar! dell'ambasciata, facendo un'intelligente e favorevole analisi delle opportunità e dei rischi di un centro-sinistra. Affermò che Outerbridge Horsey, dell'ambasciata di Roma, aveva ingrandito esageratamente i rischi di un'apertura a sinistra. Tutti i leader con cui King aveva parlato concordavano sulla sincerità dell'allontanamento di Nenni dai comunisti, anche se avevano dubbi sull'effettivo controllo che Nenni aveva del suo partito. Inoltre Codacci Pisanelli, leader della destra de, e Aldo Moro negavano il pericolo di una scissione democristiana qualora si fosse verificata l'apertura: spauracchio sollevato dall'ambasciata per influenzare negativamente gli americani.
Come spesso nella politica italiana, ogni partito desiderava che fosse l'altro a compiere il primo passo, così da indebolirsi internamente e, di conseguenza, anche nei confronti dell'oppositore. Perciò Moro deplorò che Nenni, quando aveva chiesto alla De di rompere con la destra e di formare un governo che dipendesse dai socialisti, si fosse rifiutato di dare «garanzie» che il Psi avrebbe troncato, nei sindacati e nelle amministrazioni locali, ogni legame con i comunisti. Nenni, a sua volta, obiettò che un'improvvisa rottura con i comunisti in quelle aree avrebbe scosso l'unità del movimento operaio, facendo rifluire molti lavoratori nei sindacati comunisti e cattolici, e avrebbe lasciato millecinquecento comuni, dei duemila che avevano un'amministrazione di sinistra, in mano al centro e alla destra.
Dall'altro lato, Moro sostenne che considerava «inevitabile» il centro-sinistra poiché un'alleanza col Psi forniva l'unico strumento per controllare i comuni di tutte le regioni italiane. Nenni manifestò la volontà di trascinare con sé il suo partito, ma informò stancamente King che l'aveva proposto già tre volte: nel 1956, nel 1959 e «recentemente». La discussione sulle garanzie, disse King, richiamava chiaramente la polemica se fosse nato prima l'uovo o la gallina.
Oltre a far circolare il suo memorandum tra un pubblico privilegiato, King fece sì che Nenni scrivesse per il «Foreign Affairs» un articolo in cui chiarisse le sue idee agli americani. Nenni, nel suo scritto, argomentò che «il Psi non è, e non è mai stato una copia del Partito comunista» e attribuì la loro precedente collaborazione alla necessità di un'azione comune contro il fascismo.
Tutto ciò ebbe un'influenza positiva su Kennedy. Nel giugno 1961, in attesa della visita di Fanfani, Schlesinger parlò con due funzionari del Dipartimento di Stato, William Knight, incaricato degli affari italiani, e William Blue, direttore dell'Ufficio per gli affari dell'Europa occidentale. Questi funzionari, convinti dalle argomentazioni dell'ambasciata secondo cui i socialisti avrebbero potuto far uscire l'Italia dalla Nato e promuovere nazionalizzazioni che avrebbero compromesso gli interessi americani in Italia, non furono per nulla toccati dalle osservazioni di Schlesinger e, di conseguenza, consigliarono Kennedy di non sollevare la questione con Fanfani e di rispondere eva-sivamente se il presidente del Consiglio italiano vi avesse fatto allusione. Irritato da questa testarda posizione, Schlesinger non parlò più con il Dipartimento di Stato di tale argomento, ma invitò i suoi alleati nell'amministrazione a comunicare direttamente con Kennedy. E il presidente americano disse a Fanfani: «Se lei pensa che l'apertura a sinistra sia una buona idea, noi considereremo i risultati con simpatia».
Tuttavia, stranamente, una volta tornato a Roma Fanfani non accennò a questa eventuale «simpatia», probabilmente per prendere tempo; quando però, durante una cena in un ristorante di Washington, un gruppo di uomini della Nuova Frontiera ne informò gli osservatori romani, lo «strano silenzio» di Fanfani irritò sia Nenni che Moro.
La «burocrazia» contro «quelli» della Casa Bianca
Kennedy non mise immediatamente in atto la sua dichiarata politica di apertura a sinistra e questa esitazione incoraggiò gli oppositori americani a perseverare nel loro rifiuto della partecipazione dei socialisti al governo italiano.
Il vicesegretario dell'ambasciata, Horsey, definì l'apertura «una fantasia - o peggio, una trappola pericolosa». Affermava che i filocomunisti dominavano ancora il Psi, che una coalizione di centro-sinistra sarebbe dipesa dai voti comunisti e che avrebbe spezzato in due la De. Il centro-sinistra avrebbe significato la neutralizzazione dell'Italia e, come citato da King, «un terribile salto in avanti dei comunisti nell'Europa occidentale».
Nell'ambito dell'ambasciata, Horsey schiacciò tutte le opposizioni contrastando il primo segretario George Lister, la cui carriera fu salvata in extremis da Harriman. Secondo Leo Wollemborg, Nenni non si aspettava una così forte resistenza da parte dei diplomatici in Italia, dato che questi avrebbero dovuto invece considerare il centro-sinistra un effettivo «vantaggio». Wollemborg, che aveva incontrato molta ostilità da parte dell'ambasciata a causa dei suoi articoli sul «Washington Post» favorevoli al centro-sinistra, spiegò tale atteggiamento facendo riferimento all'«atmosfera da guerra fredda» degli anni Quaranta e Cinquanta che si respirava tra i funzionari dell'ambasciata. In effetti essi dissero ai loro critici: «Possiamo aver perso la Cina, ma guardate quale stabilità abbiamo in Italia».
Dopo che Kennedy ebbe espresso simpatia per l'apertura a sinistra, gli argomenti dell'ambasciata cambiarono. Dopo tanti anni di interferenza negli affari italiani, ora i diplomatici americani a Roma difendevano la «neutralità». Secondo Horsey:

La questione principale era se l'influenza del governo americano, occulta o palese, dovesse essere usata per favorire od ostacolare lo sviluppo della politica interna italiana. Secondo me... il governo degli Stati Uniti non sarebbe dovuto intervenire in questo processo che comportava rischi considerevoli e, d'altra parte, il governo degli Stati Uniti non era in grado di riparare il danno o le conseguenze che la sua azione avrebbe potuto provocare».

Ma, come Horsey sapeva, in questo caso la «non-interferenza» voleva dire conservare lo «status quo» a cui l'ambasciata aveva fortemente contribuito.
L'ambasciatore di Kennedy in Italia, G. Frederick Reinhardt, di vedute più aperte ma debole di carattere, non mutò politica. In sostanza, egli era d'accordo con Horsey e deplorò che Schle-singer, con la sua condotta, tentasse di raggirare le resistenze dell'ambasciata. Di questo egli si lamentò, in un incontro che ebbe con Kennedy nel marzo 1962. «Il presidente - scrive Reinhardt - prontamente centrò il problema e mi assicurò che la mia interpretazione del suo atteggiamento e della sua politica del governo era esatta, esortandomi a non farmi ingannare in un modo o nell'altro da persone che, ho dimenticato di dirlo, cercavano di influenzare sia me che gli italiani». Tuttavia, in una bozza del colloquio di pugno dello stesso ambasciatore, egli non menziona né questa né altre dichiarazioni simili.
Durante la sua lotta contro l'ambasciata e i suoi alleati, ma soprattutto contro William E. Knight, incaricato degli affari italiani, nella sezione operativa del Dipartimento di Stato (Eur), Schlesinger andò a Roma per comunicare direttamente ai leader italiani e a Nenni la posizione di Kennedy sul centro-sinistra. Scrisse agli amici italiani su carta da lettere con l'intestazione della Casa Bianca sollecitando l'appoggio di uomini appartenenti alla Nuova Frontiera. Alla fine del 1961 ottenne la collaborazione del senatore Hubert Humphrey, noto per la sua simpatia per le idee socialdemocratiche. Durante un viaggio a Roma, Humphrey cercò di mutare l'atteggiamento dell'ambasciata e si incontrò con Nenni e altri leader del Psi per comunicare quello che l'amministrazione pensava di loro.
Ben lungi dal convincerli, questi sforzi irritarono sia Reinhardt che Horsey. Trovandosi a Washington alla fine del 1961, per un periodo di quattro mesi, Horsey discusse furiosamente con l'Inr, esigendo che la «National Intelligence Estimate» del 1962, la quale simpatizzava per l'apertura a sinistra, mutasse orientamento, ma il suo tentativo fallì miseramente. In seguito cercò di screditare il documento, ma l'Inr, tramite il suo direttore Roger Hilsman, si schierò a fianco di Schlesinger, a favore del centro-sinistra e contro l'Eur. Il 19 gennaio 1962 una relazione dell'Inr disapprovò apertamente i numerosi rapporti sul centro-sinistra dell'ambasciata, fornendo dettagli sull'allontanamento dei socialisti dalle posizioni filosovietiche e concludendo letteralmente così: «non sembra che esista alcuna essenziale o stabile alternativa a un governo di centro-sinistra».
Le opinioni di Schlesinger e dell'ambasciata differivano anche per quanto concerneva i segreti aiuti finanziari dati dagli americani al Psi e il presunto invito a Nenni di visitare gli Stati Uniti. Un frammento di un documento più lungo, trovato tra le carte di Schlesinger, scritto su un foglio che reca, a grandi caratteri in rosso, la dicitura «Cabinet Paper-Privileged. Property of the White House-For Authorized Persons only», espone i motivi di tale aiuto finanziario, a cui Reinhardt era contrario. (Questo documento è ovviamente una minuta; il titolo originale, più rivelatore, «Le ragioni per l'assistenza al Psi» è cancellato e sostituito con «I pro e i contro dell'assistenza al Psi».)
Secondo il documento, le ragioni per cui Reinhardt era contrario all'assistenza si fondavano sulla presunzione che gli autonomisti del Psi non ne avessero bisogno; che la crescita elettorale del Psi sarebbe avvenuta a spese della Dc e del Psdi; che, quando il Psi fosse diventato più forte, la sua gara con i comunisti a favore della classe operaia lo avrebbe spinto a far pressione sul governo affinché assumesse posizioni più radicali: che il centro-sinistra non avrebbe isolato il Pci, ma gli avrebbe, anzi, dato una maggiore rispettabilità e avrebbe prodotto una mentalità da Fronte popolare; che l'appoggio americano avrebbe dovuto essere condizionato a una netta rottura col Pci o una scissione del Psi. L'autore, per quanto concerne la politica interna, fa riferimento all'autorità di Moro, di Fanfani e di Saragat, affermando a un certo punto che quei leader «presumibilmente sono i migliori...» (e la frase probabilmente proseguiva con «giudici di tali problemi», ma, dato che la pagina seguente del documento manca, non è possibile riportare l'intera citazione).
Notando che il Psi già «riceve sottobanco assistenza dal governo italiano attraverso le organizzazioni economiche di Stato», il motivo per fornirgli appoggio economico - tipico della posizione di Schlesinger - «consisterebbe nel fatto che è nell'interesse degli Stati Uniti cercare il Psi invece di aspettare che vengano loro da noi: più noi li coinvolgiamo, più li leghiamo all'Ovest. Per di più, il Psi ci da quello che non abbiamo mai avuto finora, cioè un contatto ampio con la classe operaia italiana per il cui tramite noi possiamo raggiungere le masse e attizzare la polemica tra Pci e Psi». Alcune note scritte a mano ai margini aggiungevano: «E discutibile se, per esempio, una divisione nel Psi possa tornare a nostro vantaggio; se non si corra il rischio di trasformare Nenni in un altro Saragat consegnando i carristi al Pci». L'autore di questo promemoria cita Saragat facendo riferimento al drastico declino del Psdi negli anni che seguirono la divisione del 1947, per controbattere l'opinione, incredibilmente contraddittoria, dei funzionari dell'ambasciata per «provare» che l'influenza di Nenni sarebbe declinata se avesse rotto con i comunisti.
Il documento continua dicendo che, se l'aiuto sottobanco degli americani fosse stato esteso al Psi, «noi ci troveremmo a dover fronteggiare un problema all'interno del movimento sindacale americano». Questo, nelle persone di Walter e Victor Reuther, aveva da tempo esteso gli aiuti finanziari alle organizzazioni sindacali del Psdi e probabilmente al partito. Il documento afferma testualmente che i Reuther «sono fortemente favorevoli» all'aiuto economico, ma che il gruppo di George Meany, influenzato dal Consiglio sindacale italo-americano di Vanni Montana, si opponeva all'assistenza. Qui si può notare che Knight riportava i dubbi di Montana come dimostrazione del fatto che la comunità italo-americana si opponeva al centro-sinistra. Sulla questione degli aiuti il documento conclude: «Non credo che ne sappiamo abbastanza per una decisione finale», ma, in realtà, è nettamente a favore dell'invio, in forma riservata, degli aiuti al Psi.
Termina, infine, deplorando l'opposizione di Horsey alla visita di Nenni negli Stati Uniti e usa abilmente una frase di un telegramma di Horsey in favore di una visita di Saragat al presidente Kennedy come preludio a una visita di Nenni. Altri documenti dimostrano che Schlesinger coordinò strettamente le sue attività con le più alte gerarchie del Dipartimento di Stato tramite McGeorge Bundy. Nel giro di pochi mesi Saragat era andato a trovare Kennedy e Nenni era stato invitato.
Sebbene Schlesinger sostenga tuttora che i loro rapporti personali erano buoni, nel 1963 consigliò a Kennedy di sostituire l'ambasciatore Reinhardt con il «liberal» Barry Bingham. «Il nuovo ambasciatore», scrisse nel suo memorandum Schlesinger, doveva essere in grado di condurre «una diplomazia creativa a Roma. Non è sufficiente “guardare gli eventi da vicino” e farne rapporto. Noi dobbiamo avere una politica attiva... se vogliamo aiutare l'Italia a muoversi verso un regime democratico e stabile». A quel tempo Reinhardt sfruttava la questione della Forza nucleare multilaterale (Mlf) per bloccare il centrosinistra.
Ovviamente il fatto che Kennedy non volesse intervenire direttamente dava agli oppositori dell'apertura ampio spazio per manovrare. Una fonte del Dipartimento di Stato mi riferì che Kennedy aveva detto in sua presenza: «Non darmi questa gatta da pelare. Se andasse bene, il merito non verrebbe a noi; se andasse male, ogni colpa ricadrebbe su di noi». L'incaricato degli affari italiani Knight fece un'osservazione simile.
In risposta alla mia domanda sul «non-intervento» di Kennedy, Schlesinger rispose:

È vero. Kennedy permise a me di agire... ma era impegnato in troppe altre battaglie col Dipartimento di Stato e questo non era un problema pressante. Così mi diede licenza di caccia... ma non mi smentì. Come dico, c'erano altri problemi più importanti per i quali stava combattendo col Dipartimento di Stato. Non si può combattere su tutti i fronti.

Infatti le crisi di Cuba e di Berlino mettevano il problema italiano in secondo piano, ma gli obiettivi che l'amministrazione si poneva per l'Italia dimostrano molto bene gli scopi della sua politica a lungo termine.
Nonostante gli altri incalzanti problemi di Kennedy e la sua riluttanza a scontrarsi col Dipartimento di Stato per via del centro-sinistra in Italia, Arthur Schlesinger enfatizza il fatto che il presidente comunicò chiaramente ai leader italiani la sua simpatia per la partecipazione dei socialisti alla coalizione governativa. Nel giugno del 1960, Kennedy non solo disse a Fanfani che il precedente «veto» americano non esisteva più, ma lo ripeté anche in occasione del suo viaggio in Italia del 1963. William Fraleigh, consigliere d'ambasciata che accompagnò Kennedy a Roma, ricorda di averlo udito dire «che sperava molto che la nuova coalizione governativa in Italia fosse un successo e che sembrava offrire grandi opportunità per ottenere risultati positivi».Durante un ricevimento nei giardini del Quirinale, cui parteciparono tutti i segretari dei partiti dell'area «democratica», incluso Nenni, Kennedy si diede un gran da fare per dimostrare la sua stima al segretario socialista, cosa che infastidì gli altri leader, in special modo Malagodi. Secondo Fraleigh, Kennedy parlò a Nenni in privato, alla presenza di un interprete:

E stavano in piedi in mezzo a quella piattaforma e parlavano e parlavano e parlavano. La cosa destò l'interesse dei presenti, che cominciarono a mormorare. Credo che alcuni degli altri leader cominciassero a diventare un po' irrequieti - si tenevano ai lati - chiedendosi se avrebbero mai parlato col presidente e soprattutto se per tanto tempo quanto ne aveva dedicato a Nenni.

Come vedremo in seguito, le trattative per il centro-sinistra attraversavano in questo periodo una fase particolarmente delicata e l'attenzione di Kennedy diede maggiore prestigio al segretario socialista. Secondo Fraleigh, Nenni «non poteva essere più felice ed estasiato», mentre Schlesinger mi informò che Kennedy considerava Nenni una «figura leggendaria» e intendeva rendere esplicita la sua accettazione dei socialisti, cosa che fece durante i suoi colloqui con Segni. Secondo Nenni, Kennedy gli avrebbe detto che, mentre lui rappresentava il presente, Nenni rappresentava il futuro; e Schlesinger riteneva probabile che Kennedy avesse pronunciato una frase simile.
Il giorno successivo, al pranzo che Kennedy diede per il presidente Segni a Villa Taverna, una telefonata, citata da Fraleigh, annunciò che i socialisti si sarebbero astenuti dal voto di fiducia per il governo di transizione di Giovanni Leone, lasciando più tempo per definire le trattative del centro-sinistra.
Inoltre, l'amministrazione Kennedy riuscì a spezzare la resistenza del Dipartimento di Stato e dell'ambasciata alla sua politica, perché questa opposizione era andata fuori controllo.
Alla fine di novembre del 1961, all'ambasciata di Roma avvenne un incontro incredibile: in quell'occasione, infatti, alcuni partecipanti proposero l'intervento militare americano per bloccare il centro-sinistra. Alan Platt, autore di una tesi sul centro-sinistra e sulla politica americana che intervistò la maggior parte dei protagonisti, cita, come fonte di questa sua affermazione, un'intervista segreta. Le fonti italiane hanno costantemente identificato Vernon Walters, allora addetto militare a Roma, più tardi ambasciatore di Reagan alle Nazioni Unite, come il fautore dell'intervento armato. Walters ha sempre negato questo addebito, ma la sua ostilità al centro-sinistra, il suo stretto legame col capo del Sifar, il generale Giovanni De Lorenzo, indiziato di aver progettato un colpo di Stato nel 1964, e inoltre il fatto che le memorie di Walters siano inattendibili quando parla dell'atteggiamento degli americani nei confronti dell'apertura a sinistra, tutto ciò suggerisce che potrebbe essere stato proprio lui a fare la proposta.
Stranamente, a difenderlo da tale accusa è proprio chi a quei tempi lo avversava. Il 25 giugno del 1985, quando sollevai la questione, Schlesinger si mostrò sorpreso e mi disse:

Dick Walters non è una delle persone più furbe del mondo, ma per-sino lui deve... cioè, voglio dire, si capisce che forse può averci pensato... ma le sue raccomandazioni... era considerato un interprete, una «liaison» militare con il governo italiano; non aveva alcun ruolo nello svolgimento politico. E se anche ha fatto una raccomandazione del genere, cosa possibile, ma secondo me non probabile, certamente nessuno si sognò di prestargli attenzione, ecco perché l'intera faccenda è pazzesca.

Schlesinger aggiunse che Walters era «un uomo dalle vedute di estrema destra, con rapporti molto stretti con i militari italiani» e accennò alla sua intimità con Clare Boothe Luce (incontrata in Italia durante la seconda guerra mondiale). Anche se Walters può non aver avuto alcun ruolo nei fatti politici, egli senza dubbio diede ai militari italiani, ostili ai socialisti, un'idea di quale fosse l'atteggiamento americano molto diversa da quella che aveva l'amministrazione Kennedy. Data la sua posizione e quella dell'ambasciatore, il loro atteggiamento può senz'altro aver incoraggiato gli italiani che osteggiavano il centrosinistra a prendere provvedimenti illegittimi contro di esso una volta che avevano perso la battaglia politica e che Kennedy e gli uomini della Nuova Frontiera avevano abbandonato la scena.
Alla fine del 1961 e all'inizio del 1962, la Nuova Frontiera rimosse gli ultimi grossi ostacoli che ancora si frapponevano all'appoggio americano del centro-sinistra. Nel novembre del 1960, Enrico Mattei aveva concluso un gigantesco affare petrolifero con l'Unione Sovietica. Come si è notato, egli appoggiava il centro-sinistra, sebbene i suoi obiettivi finali siano ancor oggi difficili da stabilire. Nenni considerò favorevolmente le attività petrolifere di Mattei e si incontrò con lui subito dopo l'accordo con l'Unione Sovietica, riportando nel suo diario: «Mattei dice di aver voluto dare un avvertimento all'America perché capisca che non può più continuare a sfruttarci facendoci pagare prezzi esosi sul petrolio del Medio Oriente». Nenni notò che i socialisti lo avevano appoggiato «nell'interesse della nazione».
Le attività di Mattei rendevano perplessi persino gli uomini della Nuova Frontiera. Un memorandum segreto di una conversazione su tale argomento, che io ottenni per Ordine Esecutivo 12065, descrive dettagliatamente un incontro, avvenuto il 17 marzo 1962, tra i consiglieri del presidente e i più alti esponenti del Dipartimento di Stato. Allarmato dal potere apparentemente sempre maggiore di Mattei, il sottosegretario di Stato George Ball fece riferimento alla sua «presunta responsabilità nell'instaurazione del nuovo governo Fanfani dipendente dal Psi e la possibilità che diventi un fronte per i comunisti cinesi e un agente per i sovietici nella vendita del petrolio».
Dopo un'«approfondita valutazione» di Mattei, tuttavia, il sottosegretario di Stato George McGhee, che proveniva dal Texas, propose un accordo con l'Eni. I partecipanti concordarono sul fatto che McGhee chiedesse a Walter Levy della Standard Oil del New Jersey di andare a Washington a discutere i dettagli per un eventuale accordo. Ball disse che «l'effettivo risultato di tale accordo, se si fosse rivelato possibile, sarebbe stato quello di rimuovere l'Italia dalla categoria dei paesi con scarsità di petrolio» e quindi le azioni italiane sarebbero mutate in questo «intero campo per il meglio». Il 19 aprile 1962, McGhee trascorse diverse ore con il direttore della Standard Oil del New Jersey e il vicepresidente esecutivo della stessa compagnia, W. R. Stott, lavorando ai dettagli per un accordo con Mattei; ambedue, Stott e Ball, si prepararono a un incontro con il direttore dell'Eni.
L'amministrazione Kennedy, perciò, fece da mediatrice tra le compagnie petrolifere americane e Mattei, per risolvere le loro divergenze, eliminando un grosso ostacolo alla politica americana favorevole al centro-sinistra, e aiutando l'Italia a ottenere l'energia a basso costo necessaria per il suo sviluppo economico.
Infine, l'amministrazione smantellò l'opposizione interna. L'assegnazione di Averell Harriman come sottosegretario di Stato per gli affari politici nel 1963, gli avvicendamenti di routine e i vari trasferimenti - la nomina di Horsey ad ambasciatore in Cecoslovacchia, la promozione di Knight, il trasferimento di Walters in Brasile - favorirono la formazione di una burocrazia che si allineò con la politica presidenziale verso la fine del 1962 e nel 1963.
Tuttavia, i molti influenti americani che si opponevano al centro-sinistra per paura di una presa del potere da parte comunista tramite il Psi rimasero attivi dietro le quinte. L'ex ambasciatore Luce scrisse una lunga, incoerente lettera a Kennedy nella quale prediceva che i comunisti avrebbero assunto il controllo di tutta Europa. La sua analisi era la seguente:

Il governo italiano filooccidentale ha tenuto il piede sulla buccia di banana di Mosca per diciassette anni. Il governo italiano, che due anni fa aveva incluso i socialisti nenniani filomoscoviti, non può sopravvivere a un disastro del centro francese e l'Italia probabilmente lo precederà portando al potere i socialisti che sono a favore dei comunisti.

In effetti, dichiarava la Luce, gli italiani avevano ingannato Kennedy:

Gli italiani non hanno alcun problema: non si ribellano, ma, come al solito, non fanno niente. Da tempo avevano una soluzione per il giorno in cui le truppe americane si fossero ritirate... Mantengono un ampio partito comunista pronto a creare un'amministrazione controllata per confrontare le realtà nucleari. Il Partito comunista italiano negozierà il futuro dell'Italia con l'Urss.

Ben due risposte di Kennedy e di McGeorge Bundy, che si trovano depositate negli archivi dell'ufficio presidenziale nella Biblioteca Kennedy, dimostrano quanto cautamente l'amministrazione avesse dovuto trattare con la Luce a causa dei potenti agganci che costei aveva con la stampa. Ma, entro il 1963, la Nuova Frontiera aveva eliminato l'aperta opposizione degli americani alla partecipazione socialista al governo, e aveva reso esplicito il suo appoggio: così facendo, aveva dato un possente impulso alla formazione del centro-sinistra.






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