AUNG SAN SUU KYI E LA LOTTA ALLA DITTATURA BIRMANA. UN LIBRO DI GORDON BROWN
In una recente pubblicazione, Courage. Eight Portraits, Gordon Brown celebra il coraggio, forse la più rara ed apprezzabile delle virtù umane. L'esempio della dissidente birmana Aung San Suu Kyi.
Data: 2007-05-06
“IL CORAGGIO” SECONDO GORDON BROWN Sicuramente, nel dettagliare la sua concezione di coraggio, Brown ha voluto rimarcare la sua predilezione per quelle donne e quegli uomini capaci di portare alle estreme conseguenze la difesa dei valori in cui hanno creduto e credono. Non solo sterili prese di posizione, ma comportamenti conseguenti e, al limite, sacrificio personale. Nel testo emerge quindi la tempra di Brown, un intellettuale votato più all'azione che alla teorizzazione. Nella primavera del 1988 la vicenda personale di Aung San Suu Kyi s'intreccia indissolubilmente con il tragico destino della Birmania (poi Myanmar). A quell'epoca Suu Kyi conduceva una vita tranquilla in Gran Bretagna, che venne sconvolta dalla notizia della malattia della madre e dalla susseguente decisione di ritornare in patria. A Rangoon avrebbe trovato il caos. La giunta militare al potere da ventisei anni aveva annunciato l'indizione di un referendum che lasciasse ai birmani la scelta sulla forma di governo che li avrebbe retti, suscitando speranze popolari di rinnovamento democratico che sfociarono in manifestazioni di massa. La leader dell'opposizione democratica e non violenta birmana ha trascorso undici degli ultimi diciassette anni agli arresti domiciliari. Anni lunghissimi e dolorosi per la dissidente birmana, gratificata dal Premio Nobel per la Pace nel 1991 ma sottoposta allo snervante isolamento della prigionia e separata crudelmente dagli affetti familiari. Lo scorso mese di maggio la giunta militare birmana ha deciso di prolungare di un anno la durata della condanna di Suu Kyi, nonostante diversi autorevoli leaders politici, Bill Clinton e Jimmy Carter su tutti, avessero richiesto il rilascio della donna al capo della giunta Than Shwe. Ennesima dimostrazione della determinata perseveranza con cui le autorità birmane si oppongono ad ogni apertura democratica che possa scalfire il ferreo controllo esercitato sulla popolazione. Intransigenza che si manifesta non solo nel rifiuto di consentire spazi, seppur minimi, di libertà e pluralismo, ma anche nelle attività persecutorie perpetrate ai danni di attivisti politici, giornalisti, membri di minoranze etnico-religiose. Negli ultimi anni, il governo ha intensificato la campagna militare contro i ribelli di etnia Karen. La distruzione di interi villaggi ha ingenerato un'emergenza umanitaria legata all'elevato numero di sfollati, molti dei quali hanno dovuto subire trattamenti inumani e degradanti da parte delle truppe governative. Inoltre, nel paese, tra i maggiori produttori mondiali di oppio e metanfetamine, è pratica comune l'imposizione del lavoro forzato, l'utilizzo di bambini soldato e lo sfruttamento indiscriminato del patrimonio ambientale a detrimento di centinaia di migliaia di contadini e pescatori che stentano a raggiungere il livello di sussistenza. Dalle colonne del Guardian, il leader laburista approfondisce il valore dell'impegno personale di Suu Kyi e la sua perseverante resistenza ai diktat ed alle persecuzioni della giunta birmana come le manifestazioni più alte del coraggio umano, di gran lunga superiori alle concezioni classiche, guerriere e virili del medesimo. Nessun atto di audacia, o singola impresa, per quanto rischiose ed eclatanti possono essere paragonate alla forza di chi, sprovvisto di potere e mezzi coercitivi, resiste negli anni alle ingiustizie ed alle privazioni, sorretto dall'incrollabile fede nei propri ideali e dalla convinzione di lottare per una giusta causa.
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