In un’intervista a Robert Philpot, il Primo Ministro aggiorna il programma del New Labour per il rinnovamento del partito e della democrazia. Dall’empowerment alla politica internazionale, un bilancio dei primi cento giorni a Downing Street e delle ambizioni progressiste del suo governo.
Di Robert Philpot
A Gordon Brown tocca ringraziare – o maledire - Franklin D. Roosevelt. Da appassionato di politica americana, il primo ministro sa bene dove risiedano le origini di quel traguardo cruciale che sono i primi cento giorni, rispetto al quale verranno giudicati i suoi primi tre mesi a capo del governo.
Con l'avvio della nuova stagione politica, tuttavia, nessuno può certo accusare Brown di aver dato al suo ingresso al Numero 10 la cifra dell'inoperatività.
E questo, nonostante l'inatteso presentarsi di ben tre scenari di crisi – un allarme terrorismo su scala nazionale scoppiato a 48 ore dal suo insediamento, una inondazione che ha gravemente colpito diverse regioni dell'Inghilterra, e lo scoppio di un'emergenza sanitaria che lo ha costretto ad interrompere le vacanza appena qualche ora dopo la partenza – al punto che ci si chiede quanto Brown si stia godendo in realtà il nuovo incarico. “È una sfida – dice sorridendo il primo ministro - ma devi essere pronto ad affrontare i problemi quando sorgono.”
Tutte le sue prime iniziative – aumentare il numero di abitazioni popolari e residenze a costo controllato; impostare il rapporto sulla sanità; migliorare il sistema dei “prestiti d'onore” per gli studenti; estendere sia l'istruzione primaria sia l'apprendistato – perseguono proprio quell'obiettivo, ragiona il primo ministro.
Nel ritratto di Robert Kennedy contenuto in Courage – la raccolta di saggi pubblicati all'inizio della scorsa estate - il primo ministro fa sue le considerazioni di uno dei collaboratori che sull'ex senatore dice che “vedeva la povertà attraverso le lenti dei bambini e dei giovani.
“Penso sia il mio punto di partenza” – risponde.
Il primo ministro comunque, si dice ottimista per il diffondersi nel paese di una maggiore sensibilità rispetto alla povertà infantile. E al riguardo invoca un impegno analogo a quello realizzato con il Make Poverty History: “Le medesime battaglie che hanno diffuso tra la gente la consapevolezza per la povertà nel mondo dovranno essere combattute oggi per far capire cosa succede nel nostro paese e cosa è in nostro potere fare per impedirlo.”
“Qualunque sfida ci troviamo davanti richiede non solo l'ascolto ma anche il coinvolgimento e l'impegno di tutti i cittadini.”
Il primo ministro si dice convinto che questa medesima dinamica debba estendersi anche al Labour. Durante l'estate, infatti, ha spinto perché venisse delineata un'ambiziosa riforma del partito, poi raccolta in un documento consultivo - “Extending and Renewing Party Democracy” - che sarà presentato alla Party Conference [inaugurata domenica 23 settembre a Bournemouth].
“Il partito nazionale – sostiene Brown - deve cedere potere ai membri locali”.
Il primo ministro, tuttavia, spinge anche perché sia data la responsabilità ai partiti locali di impegnarsi con le comunità nelle quali operano. “Dobbiamo costruire una rappresentatività del partito in ogni comunità – suggerisce”.
Evidentemente però queste riforme non sono poi così semplici se è vero che, dopo dieci anni di governo, il Labour è si riuscito ad occupare il centro, ma ha fallito nell'impartire ad esso una direzione progressista.
Il premier, ad esempio, nota il modo in cui è stata ingaggiata la battaglia per la cancellazione del debito, “una battaglia inizialmente sposata solo da pochi, e considerata piuttosto dai molti nulla più che una questione tecnica, oltretutto su un problema così astratto come il debito.”
Se questi primi 100 giorni di Brown saranno dunque ricordati per la sua abilità nel sottrarre ai conservatori l'iniziativa in politica interna, il primo ministro ha già assestato anche alcuni successi sul piano internazionale.
Brown si è inoltre impegnato su un piano ancora più cruciale come la risoluzione delle Nazioni Unite per fermare il genocidio in Darfur. “Ho ritenuto necessario agire nel modo in cui abbiamo fatto – ragiona il primo ministro.”
Tornando al fronte interno, il primo ministro mantiene il paese sulle spine rispetto all'ipotesi di investire il credito politico sin qui accumulato con la convocazione di elezioni anticipate.
Brown sorride: “Credo che la cosa importante sia che il Labour lavori bene per il bene del paese…senza concedersi ad un eccesso di sicurezza per il futuro per il solo fatto di aver lavorato bene sino ad oggi.”