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POLITKOVSKAYA: "PUTIN'S RUSSIA.
LIFE IN A FAILING DEMOCRACY"

Il Libro postumo sulla Russia di Putin tradotto in inglese da Arch Tate per conto di English PEN e divulgato nel mondo dall'organizzazione inlese. In Italia è stato pubblicato da Adelphi

Data: 0000-00-00

di Anna Politkovskaja traduzione inglese di Arch Tate e promozione a cura del programma Writers in Translation di EnglishPEN
Harvill Press. 2004. 296 pp.

La Russia di Putin (pubblicato in Italia da Adelphi), è l'ultimo libro scritto da Anna Politkovskaya, e uno dei figli adottati dal Programma Writers in Translation di EnglishPEN. Anna Politkovskaya, infatti collaborava spesso con le agenzie di PEN, da una parte all'altra dell'Atlantico, e al collo portava anche una medaglia al valore letterario e giornalistico, la Hermann-Kesten Medal, assegnatale dal PEN tedesco nel 2003. Ma è stato in particolare EnglishPEN che ha cercato in ogni modo di valorizzare il suo impegno indefesso e profondamente umano nella diffusione di notizie sulla violazione dei diritti umani in un angolo remoto dell'ex-Impero Sovietico.

Il merito di questa grande giornalista martire, uccisa dall'ignoranza e dalla grettezza del potere, è stato celebrato da EnglishPEN con uno dei mezzi che l'organizzazione aveva a disposizione, ossia la promozione del suo libro Putin's Russia, l'organizzazione di eventi e conferenze sul tema, in cui l'autrice è intervenuta, l'acquisto di pagine pubblicitarie sul Guardian e sull'Indipendent. La tesi che Anna esprime ne La Russia di Putin può in qualche modo esser condensata in una citazione tratta dal libro stesso:
"La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che questo accada di nuovo".

Questi i timori e le speranze che la Politkovskaya esprimeva, mentre cercava di tracciare un quadro completo di un uomo dalla doppia faccia, una costruita e una reale, e della Russia che sta costruendo. Vladimir Putin, secondo la giornalista, avrebbe infatti chiuso in un armadio, come fosse uno scheletro, la sua divisa del KGB, per presentarsi nell'arena politica russa e all'opinione pubblica internazionale, indossando i panni del leader aperto, illuminato e volenteroso di stringere legami con l'Occidente. Alcuni hanno creduto a quest'immagine riciclata, altri son rimasti scettici.

Anna Politkovskaya, che metteva le mani negli angoli impolverati delle storie più disgustose della Russia più segreta, a quell'immagine non ha mai creduto. Esistono infatti due Putin: uno Putin-uomo e un Putin-costruzione mediatica, e il problema è che quello cattivo è il Putin uomo che Anna descrive un po' come lo spettro de Il Cappotto di Gogol, Akàkij Akakièvic, travet invasato di entusiasmo amministrativo che ascende al "trono di tutte le Russie", coi suoi modi "gravi" e "imponenti" e la sua fede nella "severità". Per l'autrice, Putin non è un "despota congenito", ma un militare educato all'arte del monologo imperioso e al "nonnismo ideologico", è un restauratore, è il simbolo del "revanscismo sovietico".

Nello stilare il suo j'accuse, Politovskaya tenta di rispondere ad un interrogativo: "perché ce l'ho tanto con Putin?".
Il libro, infatti, non è un trattato di politologia sull'"autocrazia elettiva" (o "democrazia guidata", che dir si voglia), ma un "insieme di appunti a margine" della vita quotidiana al tempo del "nuovo medioevo" russo.

E basterebbe citare l'affaire Budanov (colonnello russo accusato di crimini - tra cui anche quello di aver stuprato e strangolato nel corso di un interrogatorio una giovane di 18 anni - nel corso di "operazioni antiterrorismo" in Cecenia, e poi rilasciato sulla base di una perizia psichiatrica poco credibile) per dimostrare che la Russia continua a portarsi dietro "i pidocchi sovietici", che l'amore per la democrazia non è un amore sincero, ma di comodo, e che "la dittatura della legge" trascina con sé delle mostruosità che il popolo russo non merita di ripetere.






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