di Simona Bonfante
“L'occidente vuole arrivare a controllare le riserve energetiche del Mar Caspio”. Questa la denuncia lanciata dal Presidente Vladimir Putin, a poche ore dal vertice che si è svolto a Teheran tra i cinque paesi del Mar Caspio – Russia, Iran, Kazakhstan, Turkménistan e Azerbaïdjan. Nell'azzardare un paragone tra Mosca e Baghdad rispetto alle presunte mire occidentali sulle risorse energetiche regionali, Putin ha inteso sottolineare come, contrariamente all'Irak, la Russia possiede i mezzi e gli strumenti per difendere la ricchezza dei suoi giacimenti.
“Questa idea circola nella testa di alcuni politici – ha ironizzato il Presidente della Federazione russa. Ma, a mio avviso – ha continuato - si tratta di una sorta di erotismo politico che può forse dare piacere a qualcuno in occidente, ma che non sembra destinato al successo.”
Il Capo del Cremlino cita proprio l'Irak a sostegno della sua previsione: “un paese incapace di difendersi, seppur dotato di enormi riserve di petrolio.” Ebbene, ragiona Putin, “abbiamo potuto vedere tutti come è andata a finire. Gli americani hanno preso il controllo, credendo così di ristabilire un ordine, ma per il momento sembrano aver fallito, né ci sono speranze per il futuro, poiché – ha osservato - combattere un popolo è un obbiettivo assolutamente senza prospettive.”
Ebbene, la Russia non è l'Irak. “Grazie a Dio, ha infatti ammonito Putin, la Russia ha mezzi sufficienti per difendersi e difendere i propri interessi.”
All'indomani del vertice di Teheran, a pochi giorni dalla visita a Mosca del Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, a non più di una settimana dagli incontri bilaterali con il Presidente francese, Nicolas Sarkozy, e la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, Putin sembra quindi sempre più determinato ad imporre all'occidente le sue regole nella partita in cui, oltre alla stabilità planetaria, è in gioco la sicurezza energetica delle comunità democratiche.
Mentre il Presidente Usa, in risposta all'asse Mosca-Teheran, rilancia sul pericolo nucleare iraniano, paventando un rischio di Terza Guerra Mondiale, Putin fa fronte comune con il Presidente Ahmadinejad nel difendere il diritto dei paesi del mar Caspio a tutelare i propri interessi dalle ingerenze delle potenze occidentali. Di fronte al rischio di un attacco militare americano all'Iran con partenza dalle basi azere, Russia, Kazakhstan, Turkménistan e, appunto, Azerbaïdjan annunciano infatti all'Occidente che l'amicizia con l'Iran sarà onorata fino in fondo, a cominciare dal fatto che nessun paese dell'area si presterà mai a concedere il proprio territorio per un aggressione contro la Repubblica iraniana. Questo, nei fatti, costringe gli americani ad un ridimensionamento dei propri margini di manovra; di più, ne paralizza la libertà d'iniziativa, anche sul fronte diplomatico. “Minacciare qualcuno, il popolo e il governo iraniano nella fattispecie – ha chiarito Putin nell'esplicitare l'ostilità alla strategia dello scontro sostenuta a Washington – non porta da nessuna parte.” Una dichiarazione, questa, che non lascia adito ad ambiguità. Putin ha intenzione di assumere la guida del negoziato tra Occidente e Iran, lasciando fuori gli Usa e relegando Onu ed Europa al ruolo di notai della legittimità della soluzione accordata.
Nel sostenere il diritto dei paesi aderenti al Trattato di non Proliferazione Nucleare – quindi dell'Iran - a produrre energia atomica, Putin non fa che rigirare a suo vantaggio una partita tenuta abilmente in sospeso per un po': la costruzione della centrale atomica di Bouchehr, in Iran. Al termine dell'incontro con l'omologo Mahmoud Ahmadinejad, ma soprattutto del faccia-a-faccia con la guida suprema della Repubblica islamica, l'ayatollah Ali Khamenei, Putin si è infatti impegnato a portare a termine i lavori della centrale nei tempi previsti, garantendosi così il controllo effettivo sulla produzione di energia atomica da parte dell'Iran. E questo, evidentemente, concede alla Russia una posizione che nessun altro paese nè organizzazione internazionale oggi detiene.
L'aspetto più intrigante della faccenda è che Putin ha gestito le relazioni russo-iraniane con la stessa ambiguità già sperimentata con gli altri paesi vicini. La centrale di Bouchehr è infatti un asset cruciale all'obbiettivo dell'autonomia energetica iraniana. I lavori di costruzione erano tuttavia stati bloccati dai russi a causa di presunti problemi con i pagamenti, nonché della difficoltà con la quale dalla Russia si concedeva la furnitura del combustibile necessario a portare avanti il cantiere. Entrambi i nodi sono stati sciolti d'un colpo al vertice di Teheran.
Ma non è tutto. Prima di ripartire alla volta di Mosca, dopo l'incontro con l'ayatollah Khamenei, Putin ha annunciato un piano per risolvere il dossier “nucleare”, quello, per intenderci che da anni ormai riposa nelle borse diplomatiche degli osservatori delle Nazioni Unite.
Ebbene, senza fornire indicazione alcuna sui termini della soluzione proposta, Putin ha scavalcato la comunità internazionale, con impareggiabile smacco per l'Onu, provando di essere il solo mediatore capace di ottenere credito presso le autorità di Teheran che, infatti, non hanno indugiato a far sapere di essere impegnate a valutare con attenzione la proposta formulata dal Presidente russo. Non è sfuggito a nessuno, inoltre, che la massima autorità dello stato iraniano, appunto l'ayatollah abbia concesso a Putin un incontro riservato che non ha mai concesso al direttore dell'Agenzia Internazionale per l'energia Atomica dell'Onu (Aiea), Mohamed ElBaradei. Nè il rappresentante della politica estera europea, Xavier Solana, nè El Baradei sono stati preventivamente informati dai russi sulla proposta avanzata da Putin alla controparte iraniana.Se dunque è vero quanto lasciato intendere dalla delegazione americana al termine della trasferta moscovita della Rice, ovvero che, aldilà della posizione pubblicamente assunta, Putin condivida le preoccupazioni degli Usa nei confronti della possibilità che l'Iran si doti di armi nucleari, è tuttavia evidente che l'interesse di Mosca è di ritagliarsi nell'affaire iraniano un ruolo da negoziatore indipendente, non solo da Washington ma dall'insieme delle sedi istituzionali internazionali evidentemente controllate dagli Stati Uniti.Prima di dichiarare, di concerto con la Cina, la propria ostilità all'inasprimento delle sanzioni Onu contro l'Iran, Putin aveva infatti proposto di usare gli stabilimenti russi per arricchire l'uranio da impiegare nei reattori iraniani, facendo così da garante del fatto che il materiale arricchito non sarebbe stato impiegato per armi atomiche. La proposta, tuttavia, venne allora rispedita al mittente dalle autorità iraniane come una violazione alla loro sovranità. Oggi i toni tra Mosca e Teheran sono molto cambiati. Il comunicato congiunto emesso al termine del vertice parla di "amicizia e cooperazione”, come della cifra di questa nuova fase di relazione improntata “alla vicinanza delle posizioni russe e iraniane sulle questioni-chave del mondo e sullo sviluppo della cooperazione per la definizione di un ordine mondiale più giusto.”L'espressione “ordine mondiale più giusto” ha in realtà una sola possible chiave di lettura per la comitiva di Teheran, ovvero un sistema in cui il controllo delle risorse energetiche del mar Caspio escluda gli Stati Uniti e, per estensione l'Occidente tutto. La natura della questione tuttavia non è così lineare e, per quanto paradossale possa apparire, il nodo del problema risiede nella definizione giuridica del Caspio, ovvero se lo si possa definire “mare”, sottoponendolo quindi alle regole sulla sovranità delle acque internazionali, o piuttosto “lago”, nel qual caso la supremazia spetta a quei paesi che vi si affacciano con il perimetro costiero più ampio.Iran e Russia si trovano quindi accomunate dalla battaglia a sostegno dell'opzione “mare”, poiché l'alternativa finirebbe col privilegiare le ex repubbliche sovietiche dell'area, come l'Azerbaijan, penalizzando al contrario proprio Russia e Iran che finirebbero col contrarre sensibilmente la propria quota nazionale (per l'Iran, ad esempio, si tratterebbe di passare dall'attuale 20 ad un misero 14).La controversia va avanti da anni, dal crollo dell'impero sovietico per l'esattezza. Sin dalla sua prima elezione, nel 1998, Putin ha cercato di vincolare alla Russia i paesi dell'Asia centrale, giocando d'anticipo rispetto agli Stati Uniti ed ai paesi dell'occidente europeo che, attraverso le proprie compagnie energetiche avrebbero potuto sottrarre alla Russia un'area di influenza così cruciale per i destini di Mosca sullo scenario regionale. Si pensi al progetto, caldeggiato dagli Usa, per una pipeline che bypassi l'area del Caspio sottraendo così a Mosca il monopolio dellle riserve destinate all'area euro-asiatica.Fino ad ora, Putin ha proceduto con una strategia fatta di compromessi, quando non di minacce, contro le ambizioni autonomiste degli ex stati satellite di Mosca, non riuscendo tuttavia in pieno a contrastare l'influenza degli Usa nella regione, dove l'America rappresenta ancora la sola alternativa credibile all'espansionismo anti-democratico coltivato al Cremlino. E tuttavia, oggi gli Usa sembrano come incartati: l'ipotesi bellica convince più sul piano simbolico che su quello del realismo e l'inefficacia paralizzante degli organismi internazionali dove si stenta a rendere credibili persino le minacce di nuove sanzioni.L'odierno asse con Teheran risulta quindi null'altro che una tattica, funzionale a Putin per il consolidamento dell'autorità di Mosca nella regione e l'estensione della sua influenza sul più vasto Medio Oriente. La ratio della convergenza strategica tra Iran e Russia è ovviamente la contrapposizione all'Occidente ed alla libertà democratica ed è evidente che la scelta di Putin di siglare oggi l'amicizia con Teheran non nasce che da una constatazione: ma come ora il nemico è debole, infiacchito com'è dagli errori strategici degli Stati Uniti, dalla passività degli organismi internazionali e dall'inconsistenza dell'Unione europea.