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OLTRE L'ASIA. IL NEO-COLONIALISMO CINESE

di Fabio Lucchini (seconda parte)

Data: 2007-09-29

L'America Latina rappresenta il terreno ideale per sostenere la pressante necessità di Pechino di risorse minerarie ed energetiche. La penetrazione cinese può contare su due fattori. In primo luogo, le condizioni economiche della regione. L'applicazione nell'ultimo ventennio delle politiche neoliberiste imposte dal Fondo Monetario Internazionale o dalla Banca Mondiale, invece di favorire la crescita e la distribuzione della ricchezza tra le nazioni sudamericane, ha causato graduale impoverimento, indebitamento e frustrazione. La crisi argentina ne è un emblema. Oggi i paesi dell'America Latina hanno un estremo bisogno di finanziamenti per infrastrutture e liquidità. In secondo luogo, bisogna considerare la notevole sfiducia che questi paesi nutrono verso gli Stati Uniti. Sebbene le fallimentari politiche neoliberiste siano da attribuire alle decisioni delle organizzazioni internazionali multilaterali, la popolazione e la maggior parte delle classi dirigenti delle nazioni sudamericane le percepiscono come il frutto di indirizzi statunitensi. Inoltre, l'attenzione rivolta dall'amministrazione Bush alla guerra al terrorismo, al Medio Oriente e, recentemente, al miglioramento dei rapporti con gli alleati europei, fanno apparire la Casa Bianca sempre più distante dal continente.
Mentre gli USA si defilano, altri attori si affacciano nelle Americhe, attratti dall'enorme disponibilità di risorse energetiche e materie prime. Vecchie, nuove e resuscitate potenze hanno fame di materie prime con cui alimentare il proprio sviluppo. Fermo restando che gli USA rimangono il principale partner commerciale dell'America Latina, e che i rapporti con Giappone e India sono marginali (ma in crescita), l'interesse per la regione di alcuni paesi è un dato incontrovertibile.
Un discorso a parte merita l'Europa che, come nel caso africano, sta perdendo inesorabilmente terreno nelle dinamiche regionali, essendo decisamente ridimensionata ogni forma d'influenza riconducibile al passato coloniale. Se negli scorsi decenni Francia, Regno Unito e Spagna erano state protagoniste della stagione delle privatizzazioni latinoamericane, una delle poche carte vincenti per ora in mano ad alcuni governi europei, nella fattispecie quello italiano e quello spagnolo, rimanda ad una vaga comunanza politica con alcuni governi di sinistra o di centro-sinistra al potere in Sudamerica. Decisamente troppo poco anche in considerazione del fatto che il neopopulismo latinoamericano non ha risparmiato critiche ed attacchi nemmeno all'Unione Europea ed ai leaders, di destra e sinistra, del Vecchio Continente.

Dunque, dal punto di vista economico e politico, Europa e Stati Uniti stanno lasciando dei varchi ai loro competitors nel mondo latinoamericano. I problemi economici uniti alla sfiducia verso gli Stati Uniti hanno spinto molte nazioni latinoamericane a cercare nuovi punti di riferimento internazionali. In un contesto simile la crescente attenzione cinese è giunta a proposito. Si guarda alla Cina non solo come ad un potenziale partner commerciale, in grado di assorbire grandi quantità di materie prime in cambio di liquidità, ma anche ad un benefattore disposto a investire miliardi di dollari nell'area. Se gli Stati Uniti sono disposti a dare finanziamenti finalizzati solo alla lotta alla droga e al narcotraffico, la Cina con le sue proposte di investimenti diretti viene considerata come un partner ben più concreto.
Secondo alcuni osservatori, la Cina avrebbe intenzione di usare la sua penetrazione nel continente sudamericano per sfidare la supremazia statunitense nell'emisfero occidentale e costruire così una coalizione di nazioni del Terzo Mondo con interessi e valori diversi e in potenza conflittuali con quelli di Washington e dei suoi alleati. I recenti abboccamenti di Pechino con il Venezuela di Chavez così come la proposta lanciata da Hu Jintao di fronte all'Assemblea Generale del settembre 2005 di un vasto programma di aiuti verso i paesi poveri, per non parlare poi della collaborazione cinese con l'Iran, sembrerebbero avvalorare questa ipotesi.
La crescente influenza cinese in Sud America non è però priva di controindicazioni e non incontra il favore di tutti gli Stati. Alcuni paesi, come il Messico, temono la concorrenza dei prodotti cinesi a basso costo sul mercato statunitense. Gli stessi dubbi vengono manifestati dalle nazioni andine che hanno paura di perdere quote di mercato nel settore tessile a favore della Cina. Il Brasile teme la concorrenza cinese nel campo automobilistico. La riluttanza cinese ad impegnarsi in attività suscettibili di garantire un valore aggiunto in termini di progresso tecnologico e occupazionale delle popolazioni locali rischia di perpetuare un modello di sviluppo debole e di scarso respiro. Pechino inoltre, al di là di dichiarazioni programmatiche dalla valenza squisitamente politica, appare nella realtà molto cauta nello spendere i miliardi di finanziamenti promessi con apparente generosità. (vedi Pier Francesco Galgani, Cina e America Latina. Pechino alla conquista del Terzo Mondo,www.paginedidifesa.it).
Ciononostante, a Washington molti temono la crescente influenza di Pechino e nutrono la speranza che le differenze culturali tra Pechino ed i suoi nuovi partners, unite ad un rinnovata attenzione europea ed americana verso le necessità della regione, permettano di invertire una tendenza che minaccia di marginalizzare l'UE rispetto agli sviluppi dell'area e di cancellare l'autorevolezza di Washington nell'emisfero occidentale.







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