Fabio Lucchini
“Noi rimaniamo amici degli Stati Uniti, ma abbiamo il dovere di dir loro, proprio in quanto amici, che stanno sbagliando.” Quante volte, nella fase più acuta del dissenso euro-americano degli anni scorsi, abbiamo sentito pronunciare frasi di questo tenore dalle sempre più imbarazzate classi politiche dell'Europa Occidentale. In verità, per lunghi mesi il dialogo fra le due sponde dell'Atlantico è semplicemente venuto meno. Quanto deve esser parso surreale in Germania, cinque anni or sono, ricordare il quarantennale del celebre discorso tenuto da John Fitzgerald Kennedy nella Berlino divisa dalla Guerra Fredda!
Le ferite si stanno da allora rimarginando. Come detto, tuttavia, si tratta di un processo lento. Negli ultimi mesi, i più influenti governi europei fanno a gare per riavvicinarsi nel modo più rapido possibile a Washington. Il fatto che l'amministrazione Bush stia volgendo al termine non costituisce un discrimine. Ciò che interessa è ricostruire l'unità occidentale. Germania e Francia sono in prima fila, guidati da due giovani leaders desiderosi di riaffermare la collocazione atlantica dei loro Paesi. Dopo Schroeder, fiero nel rivendicare l'autonomia di Berlino dalla politica USA in Iraq ma discutibile nei suoi abboccamenti con Putin, e Chirac, che ha fatto dell'anti-americanismo l'unico punto qualificante del suo interminabile ed inconcludente mandato all'Eliseo, il cambiamento non poteva essere più radicale e propulsivo. La cancelliera Merkel ed il presidente Sarkozy non hanno perso tempo a dichiarare il loro amore per quello che il modello americano rappresenta e la loro intenzione di ricompattare il fronte atlantico. Il processo interessa anche la Spagna, dove il governo Zapatero, dopo aver ritirato istantaneamente le truppe inviate da Aznar in Iraq, sta assumendo una postura più conciliante verso Washington. L'Italia, dove oggi un governo neppure esiste, ha assunto negli anni un atteggiamento criptico nei confronti degli Stati Uniti, spesso condizionato dagli umori dell'opinione pubblica.
Opinione pubblica che in Europa rimane comunque diffidente nei confronti dell'America. Secondo una ricerca del Pew Center Global Attitudes Project, 60 tedeschi su cento avevano un'opinione favorevole degli USA dopo l'11 Settembre. Percentuale scesa drammaticamente (25%) dopo l'invasione dell'Iraq, per poi risalire leggermente negli ultimi tempi (30%). Così, l'azione dei nuovi leaders dell'Europa Occidentale non appare un'opportunistica svolta propagandistica, intrapresa per assecondare il mutevole umore dell'elettorato o della piazza. Appare un progetto politico, culturale ed anche economico, di vasto respiro e profondamente sentito. Davanti alle sfide di un sistema internazionale che nei fatti è ormai multipolare e tutt'altro che armonioso, Berlino e Parigi si uniscono alla storica posizione di Londra e riconoscono che l'UE non può prescindere dall'amicizia di Washington per collocarsi compiutamente nel novero delle forze guida del mondo del futuro. Senza dimenticare che gli strappi del recente passato hanno prodotto ferite che continuano a sanguinare. Un serio progetto di ricomposizione dell'unità atlantica non potrà prescindere da una seria discussione sulle cause, necessariamente profonde, delle divisioni e dei contrasti che quella unità hanno rischiato di frantumare.