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TUTTI I BALCANI NELL'UNIONE EUROPEA

Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo occorre offrire più chances alla Serbia per diventare a pieno titolo un membro dell'Unione

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L'unica soluzione per stabilizzare il Kosovo è l'adesione degli Stati balcanici all'Unione europea. Su questa tesi confluiscono le analisi, pubblicate sulla rivista Prospect, a firma di Ana Stanic, avvocato specializzato in diritto internazionale ed esperta di questioni legate alla dissoluzione dell'ex Jugoslavia, e Dominik Zaum, ricercatore di Relazioni Internazionali presso l'università britannica di Reading e membro del Dipartimento di Studi Internazionali dell'università di Oxford.

I due studiosi concordano anche sul fatto che la dichiarazione unilaterale di indipendenza annunciata  da Pristina, non fa altro che formalizzare uno status quo che da anni poggia sulla divisione tra la maggioranza albanese e la minoranza serba all'interno della provincia ribelle di Belgrado. Una frattura, quella tra i due gruppi etnici costretti a convivere in Kosovo, che sarebbe prima o poi sfociata in violenze incontrollate. Uno scenario che Stati Uniti e Unione europea hanno preferito evitare appoggiando la strada dell'indipendenza del Kosovo sotto la supervisione dell'Onu e dell'Ue.

Era dunque inevitabile, secondo Ana Stanic, la secessione del Kosovo che «ha posto fine a 16 anni di un limbo giuridico e politico». Una situazione di stallo che stava compromettendo anche «la stabilità della Bosnia dove i serbi della Republika Srpska usavano, in maniera sempre più pressante, la minaccia dell'indipendenza dall'entità bosniaca per bloccare ogni evoluzione nei negoziati con il Kosovo. Un ricatto che si configurava sempre più come un ostacolo insormontabile all'integrazione della Serbia, della Bosnia e di altri Paesi balcanici nell'Unione europea.

L'unica strada percorribile era quindi l'appoggio alla secessione kosovara dopo che Pristina ha accettato il piano dell'inviato speciale delle Nazioni Unite, Martti Ahtisaari che permetterà alla comunità internazionale di "guidare" la transizione del Kosovo dove avrà ampi poteri di intervento. Tra questi la facoltà di formare la polizia e la magistratura, supervisionare la gestione dei confini e persino rimuovere pubbliche autorità e abrogare norme.

La comunità internazionale, con l'Europa in primo piano, si occuperà inoltre di proteggere i diritti delle minoranze e i luoghi sacri serbi, ai quali sarà garantita una sostanziale autonomia nei distretti del Nord dove rappresentano la maggioranza. Le minoranze kosovare (serbi e rom) avranno il potere di veto su di alcune materie chiave delle legislazione.

Il Kosovo si dichiara dunque libero ma in realtà la sua sovranità sarà limitata in quanto "sottomessa" alla supervisione internazionale. La missione di Bruxelles (Eulex) prevede l'invio di circa 2.000 persone, tra agenti, giuristi e magistrati, che avranno l'obiettivo di aiutare le autorità della provincia a maggioranza albanese a sviluppare un sistema giuridico multietnico e un'amministrazione in grado di funzionare.

Resta ora da vedere se le missioni internazionali saranno bloccate dalla Russia, che ha già annunciato battaglia in sede Onu. Secondo Mosca l'indipendenza del Kosovo vìola il diritto internazionale e in particolare la risoluzione Onu 1244 del 1999 (che sancisce l'inviolabilità della sovranità territoriale della Serbia). L'Ue e l'Onu replicano che le missioni internazionali continueranno perché richieste (e dunque legittimate) dal governo di Pristina.

«Gli oppositori alla secessione del Kosovo temono una catena incontrollata di dichiarazioni d'indipendenza nell'area balcanica e in altre aree del mondo divise da fratture etniche – Si teme un esodo di massa di 100mila serbi kosovari, con il conseguente risveglio di piani come quello della "Grande Serbia" e della "Grande Albania" che potrebbero portare a un ridisegnamento, attraverso la violenza, dei confini balcanici secondo linee etniche. Allarmismi sono inoltre sollevati a fronte di un pericoloso contrasto tra la Russia da un lato, e gli Usa e l'Ue, dall'altro».

A questi timori l'esperta di diritto internazionale replica affermando che il caso del Kosovo è «un caso unico» e a sostegno di questa tesi cita una serie di dati storici, a partire da quello che vede «il Kosovo divenire parte della Serbia solo nel 1912».

«La provincia serbia ha potuto godere per 4 decenni di una rilevante autonomia politica nell'ex Jugoslavia che, secondo alcuni studiosi includeva un diritto costituzionale alla secessione - spiega ancora la giurista - La disintegrazione della Jugoslavia ha lasciato il Kosovo alla Serbia che lo ha incluso sulla base di una struttura unitaria e monoetnica piuttosto che su linee federali. L'espulsione dal Kosovo, voluta da Milosevic, di 750mila albanesi kosovari nel 1999 ha reso successivamente impossibile per questi ultimi accettare il governo di Belgrado», considerato come tiranno.

Considerazioni condivise da Zaum secondo il quale «il ritorno della violenza e di tentativi di pulizia etnica non sono affatto scongiurati in Kosovo». Secondo lo studioso «il riconoscimento dell'indipendenza formalizza uno status quo ma non offre un percorso di sviluppo verso la stabilità e la prosperità». Un Kosovo impoverito che confina con una Serbia divisa che si sta allontanando dall'Europa è una bomba a orologeria che deve essere disinnescata. A farlo può essere solo l'Unione europea, i cui Stati devono capire che l'unico modo per tenere sotto controllo gli equilibri balcanici è aprire le porte al Kosovo. «Altrimenti dovranno fare i conti con le conseguenze della loro indecisione - afferma Zaum – spiega Zaum – continua il ricercatore – sostiene Zaum






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