Raid, guerre sfiorate e proliferazione nucleare. Due oscuri episodi del recente passato confermano l’indipendenza e la determinazione con cui Israele tutela la propria sicurezza
Seymour Hersh è un giornalista investigativo, esperto di questioni strategico-militari ed insignito del Premio Pulitzer, che collabora con il New Yorker. Hersh si concentra su quanto accaduto nella notte dello scorso 6 settembre, quando almeno quattro aerei da combattimento israeliani hanno violato lo spazio aereo siriano e bombardato obbiettivi sensibili in prossimità del confine con l'Iraq. Un'operazione che ha fatto seguito a mesi di tensioni lungo le contese Alture del Goaln e che resta tuttora avvolta da un alone di indeterminatezza. Immediatamente, il governo siriano ha denunciato l'accaduto, senza tuttavia spendersi in dettagli ed anzi minimizzando i danni subiti da alcuni“edifici militari in disuso”. Almeno secondo le dichiarazioni rilasciate dal presidente siriano Bashar Assad alla BBC. Ben presto hanno tuttavia cominciato a diffondersi indiscrezioni di ben altro tenore: l'attacco israeliano avrebbe avuto l'obbiettivo, raggiunto felicemente, di distruggere un embrionale reattore nucleare siriano, costruito con l'aiuto della Corea del Nord ed in violazione del Trattato di Non Proliferazione. Similmente a quanto fatto nel 1981 nei confronti dell'Iraq di Saddam Hussein, Israele avrebbe così frustrato con un attacco preventivo le velleità dei siriani di dotarsi di un arsenale atomico.
L'intelligence israeliana era del resto consapevole da tempo della sospetta collaborazione tra Pyongyang e Damasco, e lo stesso governo americano con ogni probabilità conosceva i contorni della vicenda. Nei mesi successivi all'attacco, Washington e Gerusalemme hanno ufficialmente mantenuto il più stretto riserbo sull'accaduto, ma ciò non ha impedito che interessanti retroscena venissero comunque alla luce. Secondo fonti vicine al ministero della Difesa israeliano “il raid ha salvato il mondo da una devastante minaccia”, mentre un alto funzionario governativo britannico arriva ad affermare che “se la gente avesse saputo quanto quel giorno siamo stati vicini ad una Terza Guerra Mondiale, si sarebbe sicuramente scatenata una reazione collettiva di panico”.
A prescindere dagli scampati esiti apocalittici dell'attacco, è sorta negli ultimi mesi una serrata disputa sull'esistenza e, eventualmente, sullo stato di avanzamento di un programma nucleare siriano al momento del raid israeliano. Mohamed el-Baradei, direttore generale dell'AIEA, l'agenzia delle Nazioni Unite per il controllo dell'energia atomica, sostiene che non ci fossero chiare evidenze in tal senso. Qualcuno già accusa i servizi di intelligence di scarsa accuratezza ed i governanti israeliani di avventatezza nel decidere l'attacco. Imputazione estesa agli Stati Uniti, presumibilmente a conoscenza dei piani del governo Olmert.
Il sospetto che la Siria stesse costruendo un reattore nucleare con l'assistenza nord-coreana è stato tuttavia corroborato nel mese di ottobre da David Albright dell'Institute for Science and International Security, un autorevole e indipendente centro di ricerca non profit, che ha portato a sostegno della propria tesi una immagine satellitare dell'obbiettivo colpito, sostenendo come l'edificio siriano somigliasse notevolmente alla centrale nucleare nord-coreana di Yongbyion. Gli esperti dell'AIEA hanno dissentito in proposito e contrastato l'assertività di Albright su questo punto.
Resta il fatto che nelle settimane precedenti l'attacco, l'esercito siriano sembra essersi dato un gran daffare per occultare il sito e per nascondere la natura delle attività ivi svolte. Una questione meriterebbe di essere approfondita. Per quale ragione la Siria, innegabilmente attaccata, non ha protestato con forza presso le Nazioni Unite, mantenendo invece un basso profilo ed assumendo un atteggiamento inspiegabilmente remissivo? La cortina fumogena sollevata da israeliani, siriani ed americani rende particolarmente complicato il compito di chi, come Hersh, può vantare un'esperienza pluriennale ed una serie di contatti nei ranghi delle intelligence militari di mezzo mondo.
Le sensazioni raccolte da Hersh in Israele indicano che negli ambienti politici e militari si avvertisse nei giorni precedenti l'attacco la forte sensazione dell'imminenza del pericolo, suffragata dai movimenti sospetti lungo la costa siriana, frequentemente visitata da cargo di provenienza nord-coreana. Movimenti attentamente monitorati dai servizi israeliani.
Spostandosi in Siria e colloquiando con il vice-presidente Faruq al-Shara e con altri funzionari governativi e militari, Hersh ha avuto modo di constatare l'incoerenza della posizione di Damasco. Le personalità intervistate non sono state in grado di dare una descrizione condivisa della natura dell'installazione colpita (per alcuni un edificio militare, per altri un deposito agricolo contenente fertilizzanti e pompe idriche) ed hanno mentito sulla disponibilità di Damasco ad acconsentire ad un'ispezione dell'AIEA, prima concessa e poi negata. Il timore è che gli ispettori possano effettivamente scoprire le prove della collaborazione con la Corea del Nord, a prescindere dall'esistenza o dallo stato di avanzamento del programma nucleare siriano.
La collaborazione militare fra Damasco e Pyongyang prosegue da anni ed è altamente probabile che nei giorni precedenti il 6 settembre tecnici coreani stessero lavorando nell'istallazione, sulla cui natura diverse speculazioni restano ad oggi valide. Non è da escludere, per esempio, che il sito fosse destinato alla lavorazione di armamenti non convenzionali di diverso genere, considerato che la Siria non risulta essere tra i firmatari della Convenzione sulle Armi Chimiche. Una fonte dell'intelligence siriana ha comunque confermato la presenza di tecnici di Pyongyang nel sito incriminato, negando tuttavia che vi si producessero armamenti chimici. Prosegue l'ufficiale siriano, “l'edificio era adibito alla fabbricazione di componenti missilistiche, l'unico strumento efficace da contrapporre alla superiorità militare israeliana.” L'unico fatto certo è che l'edificio bombardato non servisse a migliorare la resa agricola dei suoli siriani!