Il miracolo economico di Putin non esiste. Il Paese necessita di riforme per modernizzare il proprio sistema produttivo e la sicurezza sociale
di francesca morandi
Il miracolo economico di Putin non esiste. Il Paese necessita riforme Francesca Morandi Il neoeletto presidente russo Medvedev non troverà la Russia del suo predecessore Vladimir Putin, che offriva del suo Paese l'immagine di una superpotenza mondiale, di uno Stato democratico in fase di espansione. Anche se la propaganda nazionalista continuerà a proiettare sugli schermi dei russi e degli occidentali il film di una Russia forte e liberale, la realtà con cui dovrà fare i conti il nuovo presidente del Cremlino è ben diversa. A partire da un'economia che è vitale solo in superficie. Lo sostengono numerosi studi di analisti economici, appartenenti a diversi istituti di ricerca, come la Russian Academy of Science, l'istituto americano Foreign Policy Research Institute, il Centro di Ricerca sugli Studi Est-europei di Brema, il Centro di Studi per la Sicurezza dell'Istituto di Tecnologia di Zurigo, il Peterson Institute for International Economics di Washington, l'Economic Expert Group, … oltre alle analisi, a firma di studiosi, pubblicate su giornali e riviste di fama internazionale, come Foreign Policy, Novaya Gazeta, Russian Analytical Digest e Prospect. Gli intellettuali concordano sul fatto che il miracolo economico sbandierato da Putin non esiste.
Un report elaborato da gruppo di esperti economici dell'Accademia delle scienze russa e pubblicato dal giornale Novaya Gazeta lo scorso 3 marzo, mette in dubbio «l'efficienza delle politiche economiche messe in atto negli ultimi sette anni (da Putin), poiché, sebbene siano stati compiuti progressi sul piano macroeconomico, il maggiore problema, rappresentato da un costante peggioramento delle condizioni della società civile, resta irrisolto». Medvedev si troverà dunque ad affrontare problemi ancor più seri di quelli del suo predecessore che lascia una situazione economica tutt'altro che florida. Evgeny Gontmakher, direttore del dipartimento di Politiche Sociali della Russian Academy of Sicence, evidenzia il problema dell'inflazione le cui conseguenze ricadono sulla «metà della popolazione russa che ha salari bassi (come i pensionati e i lavoratori a stipendio fisso) che spendono la metà dei loro guadagni per comprare beni di prima necessità mentre il rimanente finisce nel pagamento di servizi comunali legati alla casa, alle medicine e ai trasporti. Per queste persone l'inflazione, negli ultimi due anni, non è stata meno del 20% ». «Un altro problema – continua Gontmakher – è che la metà della popolazione russa continua a non usufruire di un servizio medico: gli operai non hanno neppure il tempo di mettersi in fila presso le cliniche pubbliche e non hanno i soldi per pagarsi quelle private. Sono solo il 7-8% dei lavoratori russi sono coperti da un'assicurazione sanitaria aziendale».
Fu Boris Eltsin a dare inizio, nel 1991, alle riforme volte a trasformare la Russia in un'economia di mercato, liberalizzando i prezzi e il commercio. Dopo la crisi finanziaria del 1998, quando l'enorme deficit nei conti pubblici russi divenne insostenibile, fu sempre il governo di Eltsin ad avviare politiche di bilancio oculate riducendo del 14%, tra le altre cose, la spesa pubblica del 14%. La stabilizzazione finanziaria, la monetizzazione e il deprezzamento del rublo furono alla base dell'elevata e solida crescita annuale del 7% che caratterizzava la Russia nel 1999. Anno in cui salì alla presidenza Putin, che poté usufruire degli eccellenti risultati economici delle politiche attuate in precedenza. «Nei due anni successivi (tra il 2000 e il 2002) Putin continuò sulla strada delle riforme economiche – scrive Alsund – (…) La più imponente fu la riforma fiscale» che, insieme alla deregulation, contribuì a far nascere in Russia piccole e medie aziende. Ne seguì un aumento notevole delle imprese registrate che creebbero a un tasso di 7 % l'anno e raggiunsero nel 2006 i 5 milioni di presenze. Anche la privatizzazione della terra agricola rappresentò una netta rottura con il passato. Tuttavia «dal 2003 le riforme si interruppero. Il segnale evidente fu la confisca (operata dal Cremlino) dell'azienda petrolifera Yukos». Dall'acquisizione della Yukos, nel 2004, da parte dell'azienda pubblica petrolifera Rosneft, tramite un giro di compravendite poco trasparenti, è iniziata un'onda di ri-nazionalizzazioni attuate attraverso affari conclusi con mazzette e corruzione. La crescita russa continuò grazie al fattore trainante rappresentato dalla crescita del prezzo del petrolio ma la Russia di oggi, conclude il professore del Peterson Institute, «è un Paese in crisi dove l'aspettativa di vita per un uomo è di sessant'anni» e dove «tutti i servizi statali sono in crisi: il sistema sanitario, educativo, legale, militare e infrastrutturale».