Una matrioska incappucciata. Questa è la rappresentazione simbolica della società russa secondo Novaya Gazeta
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Una matrioska incappucciata. Questa è la rappresentazione simbolica della società russa apparsa sulla versione inglese del giornale Novaya Gazeta dello scorso 11 marzo. Sotto al disegno una didascalia composta da una percentuale spiegata nelle successive tre righe di testo: “Il nuovo presidente (Medvedev) governerà un Paese dove – a causa della mancanza di politiche pubbliche e istituzioni democratiche – il 55% delle popolazione sostiene il motto: “la Russia ai russi”.
Seguendo la metafora usata dal Novaya, la stessa matrioska avrebbe potuto essere ritratta, pochi giorni dopo, priva di vita con un cappio al collo o colpita da mortali fori di proiettile, come è accaduto nella realtà a due giornalisti russi, uccisi il 20 e il 21 aprile, in circostanze sospette. Entrambi i reporter si occupavano di affari caucasici, legati in particolar modo al Daghestan, una repubblica della Federazione russa, dove è attiva una guerriglia islamica collegata alla confinante Cecenia. Trovato strangolato, Ilia Shurpaiev, 33 anni, originario del Daghestan e giornalista del primo canale tv per il Caucaso russo, aveva lavorato in aree “calde” come la Cecenia, il Daghestan, l'Inguscezia e nelle repubbliche georgiane indipendentiste quali l'Ossezia del Sud e l'Abkhazia. Ucciso da colpi d'arma da fuoco, Gadji Abachilov, 58 anni, era invece direttore dell'emittente radiotelevisiva pubblica del Daghestan. I due delitti potrebbero essere collegati alla lunga catena di omicidi su commissione che hanno insanguinato la Russia post-sovietica e che hanno mietuto vittime soprattutto tra giornalisti critici verso il Cremlino. Tra questi la cronista del Novaya Gazeta, Anna Politikovskaya, uccisa nell'ottobre del 2006 dopo anni di indagini scomode al governo di Mosca sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia.Delitti misteriosi che accreditano fortemente l'ipotesi, sostenuta da molteplici fonti mediatiche alternative a quelle controllate dal Cremlino, secondo la quale la Russia non è una democrazia ma uno Stato che sovente applica metodi autoritari finalizzati a colpire il funzionamento delle istituzioni democratiche e, nel peggiore dei casi, gli stessi individui. «I giornalisti hanno sofferto in modo particolare sotto la presidenza di Vladimir Putin e la Russia è uno dei Paesi più pericolosi nel quale un reporter possa lavorare - scrive Robert Orttung, studioso della Jefferson University di Washington - Almeno 14 giornalisti sono stati uccisi a causa del loro lavoro da quando Putin è solito al potere e le autorità non hanno ancora identificato i mandati di questi crimini (…) I media sono una vittima del programma avviato da Putin per affermare il suo potere in Russia».
Dopo il crollo dell'Unione sovietica, la libertà pareva emergere, come mai era accaduto prima, nel mondo dell'informazione russa. Negli anni Novanta l'oligarca Boris Berezovsky prese il controllo di Canale Uno mentre Vladimir Gusinsky mise in piedi NTV, il primo network televisivo indipendente del Paese. Le due emittenti non potevano definirsi propriamente imparziali poiché sostenevano la rielezione di Boris Eltsin nel 1996 ma fornivano un pluralismo di prospettive e voci critiche verso alcune politiche pubbliche.Oggi non è più così, sottolinea il professore evidenziando come lo Stato russo abbia progressivamente riaffermato il suo controllo sulle maggiori emittenti televisive, sia per via diretta sia tramite compagnie legate al Cremlino, come Gazprom, e delle quali manipola i contenuti.«Non esistono più talk show politici che vanno in onda in diretta – spiega Orttung – I confronti sono filmati in anticipo cosicché gli editori possono tagliare i commenti indesiderati. Ci sono anche liste nere di noti critici al governo ai quali è impedito di parlare. Inoltre il Cremlino ha assicurato che la dirigenza di testate giornalistiche come Kommersant e Izvestiya rispetti la linea filo-governativa (…). Recenti emendamenti alla legge contro l'estremismo hanno inoltre reso ancor più difficile la possibilità di esprimere voci di dissenso verso l'autorità russa senza il rischio di incorrere in problemi legali». «Durante gli otto anni alla presidenza Putin ha sistematicamente smantellato i pilastri portanti di una democrazia funzionante» scrive ancora Orttung sottolineando che i cittadini russi hanno ben poche possibilità di ricevere un'informazione imparziale e partecipare ai processi decisionali della politica.
Ma non è soltanto il mondo dei media a finire sotto il potere tentacolare del Cremlino, l'intero sistema politico-sociale è oggi saldamente controllato dal governo di Mosca. Secondo il ricercatore della Jefferson University di Washington, l'ex presidente «Putin ha creato un sistema politico che è per molti aspetti nuovo nella storia della Russia, in quanto combina pratiche sovietiche, risultati raggiunti durante il periodo di Gorbaciov e di Eltsin, e caratteristiche nuove».
Orttung rileva che la Russia ha attraversato fasi di grande cambiamento e apertura, che si sono però attuati con la«sistematica violazione della democrazia e delle libertà civili». L'intellettuale riconosce che la Russia di oggi sia «molto più aperta all'influenza straniera rispetto al periodo sovietico: molti russi sono liberi di viaggiare, hanno accesso a internet, che fornisce un'informazione libera, la possibilità di un dibattito e l'opportunità di formare gruppi organizzati online. Inoltre, con la fine dell'economia pianificata e i prezzi elevati di petrolio e gas, i cittadini russi, da un punto di vista economico, non sono mai stati meglio di oggi. I beni di consumo sono ampiamente disponibili, dando al russo medio una sensazione di benessere». Questi progressi sono stati tuttavia realizzati a discapito della democrazia e dei diritti. Al Cremlino governa infatti una Triade di potere composta da uomini collegati all'ex Kgb (oggi Federal Security Service, Fsb), alla Gazprom e agli ambienti sanpietroburghesi. «Una ragnatela di diversi clan e gruppi di interessi che comprende i servizi segreti, gruppi industriali e finanziari e delle forze armate», scrive Foreign Policy, che definisce la Russia una «un'autocrazia».
Partendo dalla constatazione che la Russia non è una democrazia e precisando che non può essere definita un'autocrazia in senso assoluto sul modello di Cuba o della Nord Corea, la rivista statunitense afferma inoltre che «la Russia è un regime semiautoritario che indossa i panni della democrazia. E in questa imitazione della democrazia, le istituzioni, che appaiono democratiche, nascondono un sistema che è allo stesso tempo autoritario, oligarchico e burocratico al punto della paralisi. La Russia ha diversi partiti politici, un parlamento, i sindacati, movimenti giovanili, ma in realtà si tratta di un'enorme pantomima poiché tutto è controllato dal Cremlino che addirittura fa sporadiche concessioni a una parte dell'opposizione liberale per salvare la faccia. In questa situazione si prospetta il pericolo che questa pseudo-democrazia si trasformi in un'autocrazia ancor più distruttiva di quella che ha caratterizzato la Russia per decenni».
«Con il controllo totale del processo elettorale – scrive il Russian Analytical Digest – Putin e i suoi fedeli hanno trasformato il parlamento in un organo con assai poco peso nei processi decisionali della politica. In questo senso Putin ha seguito una tradizione legislativa russa che risale all'epoca zarista». E' indicativo osservare che sui 450 seggi che compongono la Duma, 393 sono occupati da partiti che sostengono Putin e il Cremlino. Anche la magistratura è asservita alla Triade. «I tribunali russi non sono indipendenti ma sottoposti a pressioni politiche – evidenzia ancora la rivista specializzata in analisi sulla Russia che comprende diversi istituiti di studi europei e americani – Quando il Cremlino necessita di una decisione in suo favore, non vi alcun è dubbio che i tribunali provvederanno a fornirla».
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