TONY BLAIR. LA PACE IN IRLANDA RESISTE DA DIECI ANNI LA GUERRA CON GLI INGLESI ERA DAI TEMPI DI CROMWELL
L'ex premier britannico rievoca in un articolo sul Irish Times i passi compiuti per giungere alla pace in Irlanda nel 10° anniversario dell' Agreement
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“Se mi avessero detto, quando sono arrivato a Downing Street, nel maggio del 1997, che prima della fine del mio mandato Ian Paisley e Martin McGuinness, avrebbero partecipato al governo in Irlanda del Nord, non ci avrei mai potuto credere”.Così, Tony Blair, nel decimo anniversario del Good Friday Agreement, l'accordo che ha portato alla pace in Irlanda del Nord, celebra l'evento in un articolo apparso sull'Irish Times, il quotidiano di Dublino.
Quasi con incredulità, Blair rievoca quella straordinaria esperienza che ha reso realtà un traguardo che, per molti aspetti, aveva del miracoloso. Per Blair, il segreto del successo del processo di pace va cercato nella tenacia con cui, insieme a Bertie Ahern, Primo Ministro dell'Eire – oggi dimissionario, dopo undici anni alla testa della coalizione di governo guidata dal suo partito, il Fianna Fail, a causa di un'inchiesta della magistratura che lo vede indagato per tangenti - ed ai leader nordirlandesi, - John Hume, Gerry Adams e Martin McGuinness, per i Repubblicani; David Trimble e, successivamente, il Reverendo Ian Paisley, per gli Unionisti – si è colta l'opportunità di trasformare una storia di sangue e odio in un futuro di pace e prosperità.
Ma la sola volontà politica, ragiona l'ex Primo Ministro britannico, non avrebbe potuto bastare se non si fossero realizzate le condizioni storiche, economiche e sociali che hanno permesso ai leader giunti al potere alla fine degli Anni 90, nel Regno Unito, in Eire ed Irlanda del Nord, di “rompere” con l'eredità loro tramandata dalla generazione politica che li ha preceduti.
La prima condizione è stata il successo economico della Repubblica irlandese “che si è liberata dei vecchi stereotipi per trasformarsi in una delle più dinamiche e rispettate realtà economiche del mondo.”È questo nuovo ruolo dell'Irlanda che – osserva Blair – ha cambiato nel profondo la relazione di amore/odio che sino ad allora aveva condizionato i rapporti con il più importate dei suoi vicini.“ In secondo luogo – nota ancora l'ex leader New Labour, già Inviato Speciale del Quartetto per la Pace in Medio Oriente, oggi Presidente della Tony Blair Faith Foundation, nonché Coordinatore del Breaking Climate Deadlock, un'iniziativa volta a promuovere un accordo globale sulla riduzione delle emissioni nocive all'ambiente – il conflitto aveva qualcosa di straordinariamente anacronistico”. Un conflitto, le cui origini affondavano alla divisione tra Cattolici romani e Protestanti, “una divisione che – aggiunge l'ex leader laburista – appariva quanto meno bizzarra alla fine del XX secolo, soprattutto per un isola così piccola.” In entrambi i fronti, si era ormai consolidata la consapevolezza di quanto assurdo fosse continuare una guerra che, dal punto di vista strettamente militare, non avrebbe mai avuto un vincitore.
“Quando mi dicevano che ero matto a dedicare così tanto tempo alla questione – ricorda Blair – rispondevo che ero convinto che lavorandoci, continuando ad insistere, alla fine avremmo trovato una soluzione accettabile per tutti.” È questa tenacia ai limiti dell'utopia che, sin dall'inizio, ha impegnato Tony Blair che – come riconosce, nelle sue memorie, Great Hatred, Little Room - Making Peace in Northern Ireland, l'ex Chief of Staff del Primo Ministro, Jonathan Powell – ha permesso al processo di pace di reggere anche nei momenti di maggiore tensione, nonostante i momenti di crisi, talvolta drammatici, che hanno rischiato di vanificare i negoziati. “Ammetto di essere arrivato molto vicino dal perdere la speranza, in alcuni momenti” - riconosce Blair. “Ma ero convinto che la cosa più importante fosse mantenere vivo il processo, far procedere i colloqui ed evitare che si sviluppasse un vuoto che sarebbe stato colmato resto solo dalla violenza.”
“Uno dei momenti peggiori – scrive ancora Blair – è stato poco dopo l'Agreement ed il referendum, quello degli attentati di Omagh.” Quel sangue, che inizialmente sembrava destinato a riportare indietro le lancette della storia, a rinnovare l'odio e lo spirito di vendetta che alimentava d sempre lo scontro tra Cattolici e Protestanti, si è invece rivelato un fattore fatale al successo del processo. Quel sangue è apparso come un oltraggio inaccettabile a quanti, ne Regno Unito come in Irlanda, guardavano ormai con profonda speranza alla pace, come ad una strada alla quale non avrebbe più avuto senso voltare le spalle. “Ripensandoci – insiste Blair - il solo errore commesso è stato quello di credere che, fatto l'Accordo del Venerdì Santo, si fosse fatto il “deal”.
Non era così, evidentemente. L'Agreement ha avuto bisogno di essere accompagnato, seguito con attenzione e dedizione. Una dedizione che non è mai venuta meno né da parte del Governo britannico, né da parte degli americani che, con Clinton e grazie all'impegno personale del senatore George Mitchell, hanno giocato un ruolo decisivo in tutte le fasi del processo.“In un processo come questo – osserva Blair – l'accordo iniziale non è che la cornice. Dopo le strette di mano viene il lavoro duro. Gli accordi hanno bisogno di essere implementati ed hanno bisogno di tempo, perché le divisioni sono grandi e grande è anche la sfiducia. La fiducia – ragiona l'ex Premier – va costruita.”“La cosa più difficile – continua - è stato raggiungere il compromesso iniziale. Quello che abbiamo fatto, è stato creare uno spazio nel quale, nonostante la grande sfiducia, si ponessero le condizioni minime per un compromesso che permettesse di procedere in avanti, accettando la disponibilità dell'altra parte a compiere lo stesso cammino.”Il caso dell'Irlanda del Nord rappresenta oggi un modello, una lezione, un caso concreto, “un grande simbolo di come il XXI secolo possa portare con se, insieme ai rapidissimi cambiamenti, anche le soluzioni ai conflitti che sembrano insolubili.”
Il decimo anniversario degli Accordi del Venerdì Santo non è dunque solo un momento per commemorare le tante vittime del conflitto nord-irlandese e per celebrare la lungimiranza ed il coraggio dei leader politici che hanno permesso di archiviare decenni di sangue e odio smisurato. È anche il momento per far tesoro di un'esperienza che potrebbe essere assunta a modello per la soluzione dei tanti altri conflitti che dilaniano il mondo di oggi.“Assumiamoci insieme i rischi della pace – è l'appello di Tony Blair. Credo che ne valga la pena.”
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