Gli internazionalisti liberali ed i neoconservatori propongono diverse visioni della futura politica estera cinese. Verso un modello alternativo all'universalismo occidentale
Come tendenza generale, nell'ultimo trentennio i modelli politici liberal-democratici hanno esteso la loro influenza in aree del globo in precedenza impermeabili al loro richiamo ideale. Un processo simile a quanto è avvenuto per il libero mercato. Tutto ciò ha fatto credere a molti analisti, segnatamente occidentali, che la diffusione del liberalismo fosse orami inevitabile. Le autorità di Pechino non la pensano così e lo hanno spesso fatto presente, invocando il relativismo politico-culturale; in determinate regioni del mondo, ad esempio l'Asia, forme di governo autoritarie risponderebbero meglio alle esigenze di società storicamente educate all'ordine piuttosto che alla libertà d'espressione, alla disciplina piuttosto che alla rivendicazione di diritti, al comunitarismo piuttosto che all'individualismo. Il relativismo viene anche chiamato in causa dalla Cina per giustificare il proprio desolante curriculum in materia di rispetto dei diritti umani. Non più universali, ma relativi appunto. Un ragionamento che Pechino allarga facilmente al resto del mondo, sostenendo come l'Occidente non abbia titoli per criticare forme di governo diverse dalle sue. Inoltre, lo sviluppo cinese sta a dimostrare come la liberal-democrazia non sia l'unico sostrato applicabile al liberismo economico, capace invece per sua natura di adattarsi a qualsiasi forma di regime.
Che sia il Partito Comunista a sostenere queste tesi non sorprende affatto. Appare piuttosto curioso che quegli intellettuali che negli anni ottanta e novanta spingevano, e rischiavano di proprio, per ottenere riforme democratiche, oggi abbiano cambiato decisamente opinione, oscillando tra il gradualismo e l'accettazione dello status quo. Yu Keping, consigliere informale del presidente Hu Jintao, ha rinunciato da tempo alla contestazione ed auspica una riforma interna al Partito, che si diffonda poi cautamente al resto della società.
I nuovi pensatori cinesi paragonano le democrazie occidentali, fondate sul multi-partitismo, ad una meno riconoscibile democrazia cinese, gestita da un solo partito Essi assimilando la dialettica tra le varie fazioni politiche occidentali alla continua discussione interna al Partito Comunista cinese. Mentre le democrazie vivono una fase di profonda crisi, caratterizzata dal crollo della fiducia nei leader politici, dal calo nelle iscrizioni ai partiti e dal montare del populismo, il sistema centralizzato cinese si starebbe innovando. Discussioni più aperte, consultazione con esperti, analisti e scienziati, decentramento (controllato) del processo decisionale a livello provinciale e locale, ricorso (limitatissimo) al processo elettorale per la selezione di funzionari o di membri delle assemblee consultive. Dinamismo e movimento, contrapposti a declino e paralisi decisionale.
Per quanto possa apparire sorprendente, un'analisi del genere conferma l'inusitata vivacità dell'elaborazione intellettuale cinese, che spazia dall'economia alla riforma del sistema comunista, alla proiezione internazionale del gigantesco potenziale accumulato negli ultimi trent'anni. Quali saranno i futuri scenari della politica internazionale, quale il ruolo che il governo cinese dovrà giocarvi? La disputa, che coinvolge think tanks e centri universitari filo-governativi, divide la corrente mainstream dei cosiddetti internazionalisti liberali dai neocons, da qualcuno ribattezzati neocomms (neo-comunisti).
La prima corrente di pensiero ispira l'azione degli attuali vertici statali e mira a contrapporre all'American Dream un Chinese Dream, basato sulla crescita economica e su una graduale estensione dell'influenza cinese a livello regionale e mondiale. I neconservatori cinesi vorrebbero invece ridisegnare l'intero ordine mondiale a immagine e somiglianza della Cina. Un ritorno in piena regola del maoismo rivoluzionario, animato dal desiderio di opporsi all'egemonia politica e culturale dell'Occidente, che si concretizzerebbe nell'opposizione alla promozione universale dei valori democratici e ad ogni forma di interventismo umanitario nelle aree di crisi, considerato minaccioso per gli interessi della Cina e dei suoi alleati. Strumenti di un simile disegno la creazione di un'organizzazione militare regionale in grado di costituire il contraltare della Nato ed il tentativo di guadagnare posizioni in seno alle Nazioni Unite, sino ad influenzare pesantemente il massimo organismo internazionale. Sotto questo profilo, i neocon in salsa cinese amerebbero che, similmente a quanto fatto dagli Usa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, Pechino riuscisse in futuro, quale potenza sfidante l'egemonia americana, a costruirsi una solida rete di sostegno che permettesse alla Cina di incidere sempre più sugli equilibri globali, non solo economicamente ma anche politicamente.
Già i rappresentanti cinesi si stanno muovendo in quella direzione. Ad esempio, nel 2005 Pechino incoraggiò l'Africa a proporre un proprio candidato ad un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu, frustrando le aspirazioni del Giappone in tal senso. Ugualmente, la Cina è al fianco dei Paesi islamici per alleggerire le prese di posizioni ufficiali delle Nazioni Unite in tema di rispetto dei diritti umani. Un'alleanza tra Confucio e Maometto in nome dell'identità, contrapposta ad una visione universalistica dei diritti. La stessa politica di investimenti in Africa mira anche ad allargare questa alleanza. Nei prossimi anni le idee degli internazionalisti liberali continueranno a guidare in senso moderato e gradualista la politica estera cinese. L'opposizione morbida alla guerra in Iraq del 2003 è emblematica al riguardo. La Cina lasciò infatti ad altri l'onore/onere di contestare la politica americana. Tuttavia, elementi del pensiero neocon sono già presenti nelle scelte compiute da Pechino.
Man mano che la Cina acquisirà rilevanza sulla scena internazionale, i nomi e le idee dei suoi nuovi pensatori diverranno più famigliari. Zhang Weiying, Wang Hui e Yu Keping probabilmente raggiungeranno la considerazione e l'influenza che molti in Occidente hanno in passato assegnato agli economisti reaganiani o ai neo-conservatori del primo mandato di George W. Bush. La Cina non è certo una società plurale, ma l'emergere di un dibattito più aperto che in passato, il ritorno in patria di molti giovani studenti formatisi all'estero e l'organizzazione di importanti eventi universali come le Olimpiadi potrebbero accelerare il processo in atto, che potremmo definire di liberalizzazione intellettuale. Conseguentemente, potrebbe presto prendere forma un coerente e definito modello cinese, sicuramente distinto al sistema di pensiero occidentale ed in competizione con esso sul mercato mondiale delle idee.