Fernando Mezzetti, giornalista e già corrispondente in Cina, Russia e Giappone per Il Giornale e La Stampa, illustra il quadro delle relazioni economiche che vincolano l’Occidente alla Cina, offrendo informazioni e analisi sconosciute al grande pubblico
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a cura di Francesca Morandi «La Cina è il maggiore creditore del mondo. Gli interessi americani accumulati in Cina negli ultimi 15 anni valgono mille miliardi di dollari». Fernando Mezzetti, giornalista e già corrispondente in Cina, Russia e Giappone per Il Giornale e La Stampa, illustra il quadro delle relazioni economiche che vincolano l'Occidente alla Cina,offrendo informazioni e analisi sconosciute al grande pubblico. «In vent'anni la Cina è passata dal quarantesimo posto al terzo posto negli scambi internazionali – spiega Mezzetti – Pechino si colloca dopo gli Stati Uniti e tra il Giappone e la Germania. La Cina ha un volume di esportazione enorme ed è un grande mercato per i Paesi stranieri. Oggi si contano circa 400 milioni di individui con capacità di acquisto pari a quella europea. Di più, la Cina registra ogni anno costanti avanzi a proprio favore negli scambi commerciali e per questo ha accumulato riserve pregiate per 1.600 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra enorme, è il più grande numero di riserve che un Paese abbia mai avuto».
Come la Cina investe questo surplus gigantesco?
«Di questi 1. 600 miliardi circa il 60/65% è investito in obbligazioni del Tesoro americani, il resto in euro e in yen. Questo vuol dire che la Cina è il maggiore creditore degli Stati Uniti. Pechino acquisisce 200 miliardi all'anno di accumulo rispetto agli Usa. Negli ultimi due o tre anni l'Unione europea è diventata debitrice verso la Cina per circa 100 miliardi. Dalle riserve di 1.600 miliardi Pechino ha stornato inoltre 300 miliardi destinandoli a un “fondo sovrano” per fare investimenti nel mondo. Investimenti che non finiscono soltanto in quote azionarie di banche ma sono utilizzati, ad esempio, per acquistare miniere, soprattutto in Africa e in Australia, e acquisire aziende tecnologicamente avanzate nel mondo occidentale.La Morgan Stanley, una delle più grandi banche americane, ha ceduto una quota azionaria a un fondo di investimenti cinese che, in concreto, è di proprietà del governo di Pechino. Si può dunque dire che Hu Jintao, presidente cinese, è azionista di Morgan Stanley».
Quali sono le conseguenze per le aziende e banche occidentali?
«Pechino nega di voler manovrare i consigli di amministrazione e asserisce che si tratta di investimenti perseguiti secondo una logica puramente finanziaria, senza secondi fini politici. Il fondo di investimento ha indubbiamente lo scopo di accrescere il patrimonio cinese ma non è possibile sapere se esiste una deliberata strategia politica.Il sospetto comunque sussiste».
Le pare che gli Stati europei e americani stiano opponendo dei paletti all'avanzata cinese nelle loro economie?
«L'anno scorso la maggiore azienda petrolifera cinese, privata ma a maggioranza azionaria pubblica,ha cercato di acquisire laConocoPhillips, la terza più grande compagnia petrolifera statunitense. La manovra è stata bloccata da un intervento governativo per cui l'operazione non si è conclusa».
La Cina è percepita dall'Occidente come un pericolo in casa, come una minaccia per la propria economia domestica, e si comprende allora perché, a fronte di una dipendenza più o meno accentuata, siano applicati pesi e misure differenti sulla questione dei diritti umani da parte dei Paesi Occidentali. Che ne pensa?
«Innanzitutto non è solo l'Occidente a essere legato alla Cina, lo è anche il Giappone che è il secondo partner commerciale di Pechino. E il rapporto di vincolo economico è in parte reciproco: la Cina per l'integrazione che ha conseguito nel sistema economico e finanziario internazionale è interessata come tutti gli Stati che ne fanno parte, alla stabilità. La Cina garantirà la stabilità per i prossimi venti anni perché ne è interessata quanto l'Occidente. In termini politici se ci fosse una crisi seria, come un attacco a Taiwan, il sistema di relazioni politiche internazionale sarebbe distrutto con pesanti danni per il sistema economico e finanziario globale. La Cina è pienamente integrata nel sistema di rapporti economici e finanziari internazionale e, ripeto, trae vantaggio dalla stabilità mondiale che cercherà quindi di preservare».
Il sistema economico mondiale favorisce quindi una maggiore stabilità tra gli Stati del globo, per via della loro interdipendenza. Non era così in passato …
«L'Unione sovietica aveva un commercio estero irrilevante, fuorché vendere gas e petrolio all'Occidente e armamenti ai Paesi emergenti, non esportava altri prodotti nel mondo. La Cina esporta invece tutto: oltre il 50%dei computer del mondo sono “Made in China” eil 70-80% dei cellulari nel globo sono fabbricati da aziende cinesi. Le percentuali sono altrettanto alte se parliamo di abbigliamento e calzature, con cui la Cina ha riempito il Terzo Mondo».
Stati Uniti e Unione europea hanno mostrato eccessiva prudenza nell'avanzare critiche al governo di Pechino a fronte delle sommosse in Tibet, senza sostenere con determinazione la minaccia di non partecipare alle Olimpiadi in Cina?
«A mio parere l'Occidente è stato invece imprudente nel criticare la Cina. Il presidente Nicolas Sarkozy e il suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner sono stati degli imprudenti, tanto è vero che hanno poi fatto marcia indietro. Dopo alcune manifestazioni anti-olimpiche a Parigi, il capo di Stato francese ha persino inviato unalettera di scuse al governo di Pechino».
Quali potevano essere le conseguenze di un atteggiamento duro?
«L'inasprimento dei rapporti con la Cina. E fare il muso duro con Pechino significa irrigidire l'intero sistema. Le Olimpiadi sono vissute dal regime in maniera trionfalistica come la legittimazione internazionale per il successo della Cina nello sviluppo e nella modernizzazione. Quella cinese non è semplicemente una conquista economica, si tratta di un rapido sviluppo che è stato un recupero prodigioso di secoli di arretratezza. Nel giro di due decenni la Cina ha recuperato cento anni di arretratezza».
Alcuni potrebbero affermare che a essere vincente è stato il modello cinese di comunismo. È così?
«No, perché non si tratta di un modello comunista ma di un sistema capitalista autoritario. In Cina il sistema politico è autoritario, con il monopolio del potere, ma l'economia è pluralista. Nel sistema economico cinese la parte di iniziativa non statale è il 70%. Non si può certo parlare di comunismo. Si può piuttosto osservare che vi è una contraddizione di fondo tra sistema politico autoritario e pluralismo economico cinese, un contrasto che genera spinte evolutive che hanno coinvolto anche il potere politico, seppure in maniera parziale. In Cina non si sono ancora tenute elezioni libere ma il voto libero è un aspetto della democrazia che può esprimersi anche in altri canali».
Quale valore hanno le Olimpiadi 2008 per Pechino?
«Il regime guarda alle Olimpiadi come il momento trionfale di affermazione sulla scena internazionale a coronamento della rapida modernizzazione della Cina. Questi sentimenti sono diffusi e condivisi dal popolo cinese. Non c'è una dicotomia tra il Potere e il popolo sulla questione delle Olimpiadi. Gli assalti alla torcia e le discussioni sul possibile boicottaggio occidentale sono vissute dai cinesi come una ferita alla Cina e non al sistema politico cinese. E sonointerpretate come insofferenza da parte degli occidentali, o meglio di circoli politici occidentali, spiegabile sulla base di un'invidia verso la Cina che è riuscita a modernizzarsi in maniera formidabile. È come se i cinesi pensassero che l'Occidente vuole vedere la Cina sempre in ginocchio».
Questo sentimento diffuso dei cinesi è dovuto a una qualche strumentalizzazione da parte del governo cinese in funzione anti-occidentale?
«No. Non c'è bisogno di alcuna strumentalizzazione, la popolazione cinese lo percepisce da sé e ritiene che il successo di modernizzazione della Cina dia fastidio all'Occidente che per questo vuole boicottare le Olimpiadi. In Cina esiste una sorta di sciovinismo han, l'etnia cinese che rappresenta il 95% della popolazione, che storicamente porta i cinesi a considerarsi i migliori. Il regime, che ha abbandonato l'ideologia, rafforza questo spirito nazionale galvanizzato dal rapido e gigantesco sviluppo economico».
Crede che un atteggiamento troppo condiscendente verso Pechino possa diventare destabilizzante in Occidente, creare sfiducia nei cittadini verso i governi non solo rispetto alla loro coerenza verso i principi, ma verso la capacità e la volontà di difendere gli interessi delle società occidentali?
«Non vedo condiscendenza da parte occidentale. Il mese scorso il presidente George Bush ha ricevuto alla Casa Bianca il Dalai Lama, leader spirituale tibetano, e lo stesso ha fatto il cancelliere tedesco Angela Merkel. Stati Uniti e Germania sono i due Paesi che hanno maggiori rapporti economici con la Cina ma sanno bene che avere buone relazioni con i cinesi non significa subìre i loro veti. Per questo Bush e Merkel hanno deciso di invitare il Dalai Lama facendo infuriare Pechino. Lo scorso autunno invece, l'allora premier Romano Prodi non ha voluto vedere il Dalai Lama».
Pare di capire che i rapporti tra Cina e Occidente sia sotto il profilo economico, sia sotto quello politico funzionano e sono buone, al di là di sporadiche tensioni. Lo conferma?
«Certo che funzionano. In Cinac'è una situazione interna in costante evoluzione e in lento miglioramento in termini di diritti umani. Il cinese odierno vive spazi di libertà individuale - non di diritti umani come lo intendiamo in Occidente - di cui non ha mai goduto nel corso della Storia. Quando un individuo per il proprio posto di lavoro non dipende più dall'uomo di partito che sorveglia e che assegna il posto di lavoro, quando è possibile aprire un'officina, un laboratorio artigiano, una bottega senza dover chiedere il permesso alla sezione territoriale del partito, si è già, in piccola parte, un uomo libero. In Cina vige un controllo autoritario ma bisogna anche osservare che ci sono più di 600 milioni di abbonati alla telefonia mobile e 150-180 milioni abbonati a Internet. In qualsiasi cafè di Shanghai e Pechino è possibile trovare la connessione wirelessa Internet, che in Italia non abbiamo se non in pochi luoghi pubblici. I 300 mila Internet point presenti nel Paese asiatico hanno postazioni di 1.000-2.000 computer e non con 4-5 computer come si verifica a Milano.È chiaro che a Pechino non è possibile consultare siti come quello del Human Right Watch ma su Internet le notizie volano. A Pechino è possibile aprire motori di ricerca come Yahoo e vedere il notiziario internazionale così come è possibile fare da Roma o Londra».
I cittadini cinesi stanno vivendo un benessere e una libertà mai raggiunti finora... «Nel 1981 i cinesi erano tutti uguali nella povertà più nera. Oggi 400 milioni di cinesi appartengono a una classe media. Certamente permane un gap tra la popolazione dei centri urbani e quella delle campagne, ma grazie alle riforme tutti i cinesi hanno avuto benefici. Anche i contadini stanno meglio di quanto stessero prima. Oggi iniziano a emergere differenze che vedono una fascia “ristretta” di alcune decine di milioni di miliardari e uno strato immenso, pari quasi alla popolazione dell'Europa e quindi a 350-400 milioni di individui, che vivono in condizioni meno agevoli, per non parlare del resto della popolazione che vive nelle campagne in situazioni di povertà».
In che misura il modello cinese di “capitalismo autoritario” può essere esportato nel mondo e creare un modello alternativo a quello liberal-democratico americano?
«Il modello cinese ha una grossa attrattiva in Africa, dove in cinesi comprano materie prime e petrolio, come in Sudan e Angola. Negli ultimi cinque anni la Cinasta mettendo le mani sulle materie prime e sul petrolio africani. Mentre l'Occidente dà prestiti ai Paesi emergenti ponendo delle condizioni legate al rispetto dei diritti umani o alla lotta alla corruzione, la Cina offre prestiti senza alcuna condizione. Anche se non lo proclama pubblicamente Pechino si presenta agli Stati emergenti come un Paese che è riuscito a raggiungere uno sviluppo economico con un sistema politico autoritario. Questo modello è ideale per i caporali africani e i dittatori. Al contrario di quanto propongono gli occidentali, ovvero democrazia, multipartitismo e rispetto dei diritti umani, Pechino propone un sistema autoritario, mono-partito.Un modello che, tra l'altro, smentisce che sviluppo e democrazia vanno di pari passo».
L'India è un concorrente solido per la Cina a livello economico? «L'India non ha ancora eguagliato la Cina nella capacità manifatturiera. In India c'è un sistema democratico che è stato a lungo ingabbiato da un'economia di impostazione socialista. Negli ultimi 15 anni l'India ha iniziato a smantellare questo imponente apparato dirigistico per avviare un'economia aperta. I risultati sono ottimi. Non è tuttavia possibile prevedere se l'India raggiungerà o sorpasserà la Cina poiché sono molteplici le variabili economiche da considerare così come i tratti peculiari dell'una e dell'altra cultura, ad esempio, lo spirito contemplativo indiano e quello pragmatico cinese. Storicamente tra i due Paesi c'è sempre stata una diffidenza latente».
In questo quadro Washington e New Delhi sono alleati … «Gli Stati Uniti temono una Cina dominante nell'area, anche se non è vero che gli americani non vogliono lo sviluppo cinese. Per questo Washington tesse da tempo rapporti con l'India e il Giappone per contenere la Cina».
Che ne pensa della moratoria sulle esecuzioni nell'anno delle Olimpiadi e sulla commutazione delle pene? A differenza del boicottaggio può essere una richiesta più facilmente sottoscrivibile e meno “aggressiva”, se il punto è non perdere il “dialogo” con Pechino?
«Personalmente sono contro la pena di morte, ritengo che nessuno abbia il diritto di togliere la vita a un'altra persona, neanche la podestà statale. Ritengo però che questo argomento non debba essere trasformato in un problema nei rapporti internazionali».
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