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SICUREZZA ENERGETICA ED UNIONE EUROPEA

“Una politica energetica, sia essa nazionale o europea, deve perseguire contemporaneamente tre obiettivi principali che sono, oltre la sicurezza, la lotta contro il cambiamento climatico e la crescita economica.”

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Simona Bonfante

“Una politica energetica, sia essa nazionale o europea, deve perseguire contemporaneamente tre obiettivi principali che sono, oltre la sicurezza, la lotta contro il cambiamento climatico e la crescita economica.”
Questa la premessa al Rapporto sulla “Sicurezza energetica e l'Unione europea”, consegnato lo scorso 21 aprile a Matignon, da Claude Mandil, presidente della commissione incaricata dal Primo Ministro, François Fillon, di stilare un piano di azione che, nel corso della Presidenza di turno del Consiglio europeo, la Francia sottoporrà ai 27 dell'Unione.

Il lavoro compiuto da Mandil si rivela di estremo interesse. A rendere particolarmente prezioso il documento non è solo il rigore con cui si individuano problemi e relative soluzioni, soprattutto l'approccio “decomplessato” al dossier politicamente più sensibile, ovvero il rapporto tra l'Unione e la Russia. Quello che molti giudicano “il” problema della politica energetica europea, ovvero la dipendenza da Mosca, viene tuttavia qui assai ridimensionato, fino a venire giudicato un “falso problema”. “Contrariamente a quanto si è finora affermato – si legge nel Rapporto – le importazioni di energia dell'Unione europea sono ripartite piuttosto bene, anche nel caso del gas naturale, spesso presentato come causa di grande inquietudine. L'Unione produce un quarto del gas che consuma, un altro quarto lo importa dalla Russia, il 16% dalla Norvegia e il 15% dall'Algeria, il resto essenzialmente dalla Libia, la Nigeria e l'Asia centrale. Si aggiunga, come continuano opportunamente a ripetere i responsabili russi, che questo gas è stato assicurato all'Europa occidentale per trent'anni, senza interruzioni, neppure durante il periodo più turbolento di Mosca. Ciononostante, la dipendenza dell'Europa dal gas russo viene generalmente presentata come l'esempio emblematico del rischio per la sicurezza energetica dell'Unione. Perché?”

Questo allarmismo, tuttavia – si osserva nel documento – sembra più il frutto di una fobia, che di una valutazione dei pericoli reali cui va incontro l'Europa, continuando a servirsi da Gazprom, il colosso del gas mondiale controllato dal Cremlino. Inoltre, questa dipendenza da Mosca non colpisce affatto tutti i paesi europei. “Le importazioni della Spagna, ad esempio, equivalgono a zero, mentre la Polonia importa dalla Russia il 100% dei suoi consumi energetici.” Sotto questo punto di vista, allora, si tratta di prendere atto della carenza di solidarietà tra i paesi della Ue, ed investire politicamente per un rafforzamento della cooperazione, piuttosto che speculare su una minaccia che non si è mai concretizzata in passato, e che non sembra avere ragione di avverarsi neppure in futuro. Il Rapporto valuta molto criticamente l'approccio europeo nei confronti di Mosca. Secondo Mandil, l'Europa adotta una strategia ipocrita: “Insistiamo perché la Russia liberalizzi il suo mercato interno, permettendo anche a soggetti-terzi di accedervi. Ma come possiamo risultare credibili quando ogni nuovo progetto di infrastruttura destinata al trasporto di gas in seno all'Unione prevede una deroga all'accesso a terzi? Esigiamo dalla Russia che apra la sua attività energetica alle compagnie internazionali. Ma come reagiamo noi in Europa ai tentativi di acquisizione da parte degli investitori stranieri?”

Più che un problema – questa la intuizione del Rapporto Mandil - la Russia è semmai un'opportunità per l'Europa. Si tenga conto del fatto che si tratta pur sempre del più importante produttore di gas e che, averlo al proprio confine,  significa per l'Europa assocurarsi un canale privilegiato di approvvigionamento. In secondo luogo, cominciando ad avviare con Mosca un dialogo più equanime, ovvero smettendola con le lezioncine sul diritto internazionale e la democrazia, l'Europa potrebbe riuscire ad ottenere dalla Russia un impegno concreto sul piano ambientale, creando partnership per la modernizzazione degli impianti e la riduzione degli sprechi, ad esempio, ma anche per aiutare Mosca negli investimenti sulla estensione della rete di distribuzione. Il dialogo ed un rapporto tra soggetti del mercato, insomma, potrebbero diventare la leva per riuscire ad avere quella garanzia che l'Europa pretende dal Cremlino, come atto di buona fede: l'apertura del mercato del gas.“Invece di ambire a riformare la Russia, pretendendo al contempo che alimenti sempre più l'Europa, sarebbe meglio dotarsi degli strumenti per una minore dipendenza, ovvero l'efficacia energetica, il gas naturale liquefatto, le energie rinnovabili e il nucleare, ricordandosi allo stesso tempo che la Russia è uno stato sovrano.” Per affrontare il tema della sicurezza energetica e proporre un'agenda politica all'Unione europea, allora, è necessario dire con chiarezza quali sono veramente i “rischi contro i quali conviene premunirsi”, stabilendo la differenza tra rischi a lungo termine (si va incontro ad una carestia energetica?), e rischi a breve termine (interruzioni improvvise).“Per quanto riguarda questi ultimi si osserva che, contrariamente a quanto si tenda a credere, la maggior parte degli incidenti che hanno creato problemi agli approvvigionamenti di gas in Europa, hanno una causa interna. Non sono le importazioni dunque a creare tutti quegli inconvenienti di cui si dice.”I rischi che dovrebbero preoccuparci di più sono invece quelli di lungo periodo. Il problema vero della sicurezza energetica europea, insomma, è legato alla sostenibilità del sistema, ovvero alla capacità della produzione di crescere al ritmo della domanda. “In effetti – si osserva – le prospettive in questo ambito sono piuttosto allarmanti.”Né il petrolio né il gas garantiscono una sicurezza sul lungo termine. Con i ritmi attuali di crescita della domanda, “c'è dunque un rischio fondato che il mondo vada incontro ad una crisi petrolifera molto seria nel prossimo decennio.”La risposta a questa minaccia è una sola: aggredire il problema all'origine, ovvero mettere in atto da subito una strategia europea comune per la riduzione dei consumi, a tutti i livelli - industria, trasporti, riscaldamento domestico.

La difficoltà che ha impedito sino ad ora di gestire in maniera organica la politica energetica dei 27, ovvero l'incapacità dell'Europa di “parlare con una voce sola” è legata, da una parte, all'egoismo dei singoli stati membri, che hanno scelto di privilegiare la strada degli accordi blaterali alla politica unitaria; ma dall'altra, è legata   all'incapacità delle istituzioni europee di porsi in maniera credibile nei confronti Mosca, prospettando cioè una strategia realistica, cooperativa, rispettosa della sovranità della Federazione russa.
 

La sicurezza energetica europea ha bisogno di una grande capacità finanziaria per poter essere perseguita con l'ambizione di giungere all'autonomia. Richiede infatti grandi investimenti negli impianti e una grande capacità di differenziazione delle fonti. Questo significa fare i conti con il patrimonio geologico di un paese, la sua dotazione infrastrutturale e, non ultimo, le sue risorse geografiche. Ad esempio, l'Italia non è certo un grande produttore di energia, non ha grandi risorse geologiche, non ha il nucleare, eppure la sua costa – estesissima e strategicamente collocata – la rende un hub energetico potenzialmente cruciale, ovvero la sede ideale per la collocazione degli impianti di ri-gassificazione.
La stessa Commissione europea ha giudicato tali impianti uno strumento fondamentale della politica energetica comune, permettendo infatti l'acquisizione di grandi scorte di gas liquefatto che, trasportato su nave e ri-gassificato negli impianti, permetterebbe di acquistare il gas anche da paesi non collegati direttamente dalle ipeline. Potendo differenziare le fonti, dunque, l'Europa si liberebbe della dipendenza da quell'unico fornitore di cui ha così grande timore. Il fenomeno “Nimby” – Not in my back yard, “Non nel mio giardino”, ovvero il veto delle comunità locali alla costruzione dei ri-gassificatori - alimentato dal catastrofismo dell'informazione e dalla strumentalizzazione politica, deve dunque essere assolutamente e definitivamente soffocato. Nessun discorso sulla sicurezza energetica europea potrà infatti prescindere dalla condivisione di due principi: la solidarietà e la responsabilità. “Solidarietà” significa che ciascuno stato membro si impegna a riservare una parte delle proprie scorte per sostenere la domanda energetica di un altro stato membro, qualora quest'ultimo dovesse trovarsi a rischio “shortage”. “Responsabilità” significa fare meno retorica e decidersi ad affrontare seriamente alcune questioni concrete, come le pipeline nel Mar Caspio.

L'Europa – si denuncia nel Rapporto – ha riposto su questi strumenti delle aspettative quanto meno esagerate, sia rispetto alla loro capacità di permettere alla Ue di sottrarsi al “giogo” di Gazprom, sia rispetto alla reale profittabilità dell'investimento. Da tempo si discute di come collegare i giacimenti nel Caspio all'Europa, bypassando la Russia. È di questo che si occupa il progetto “Nabucco” cui Mandil dedica un ampio capitolo del suo rapporto alla Presidenza francese. Nabucco, si spiega, propone di costruire un gasdotto che partendo dai tre paesi rivieraschi del Caspio - Azerbaïdjan, Turkménistan e Kazakhstan – arrivi in Europa attraverso la Turchia.
 Il progetto è senz'altro degno di interesse. Tuttavia – si nota – nonostante la pressione esercitata dagli Stati Uniti per convincere l'Europa che fosse lo strumento migliore per mettere in difficoltà il monopolio russo, la conseguenza dell'aver attribuito al progetto Nabucco il valore della minaccia anti-Gazprom, è stata l'esatto contrario dell'obbiettivo che si cercava di raggiungere. In risposta alle tante dichiarazioni aggressive dell'Europa, infatti, la Russia ha messo in atto due strategie, per arginare il potenziale minaccioso della pipeline progettata in Europa: a) essendosi garantita, con contratti a lungo termine e ad costi recentemente ritoccati al rialzo, l'essenziale del gas disponibile ad est del Caspio, Gazprom ha privato il progetto di una parte significativa del gas che si sperava di trasportare attraverso Nabucco; b) avendo ventilato la possibilità di costruire un tracciato concorrente, il South Stream, che unisce direttamente la Russia alla Bulgaria, passando sotto il Mar Nero, il Cremlino è riuscito a mettere in competizione i partner europei.  Insomma – osserva l'estensore del documento francese, citando un antico proverbio russo – “Si è svegliato l'orso che dormiva, ed adesso eccolo che saccheggia la foresta.”

Evidentemente, realizzare un progetto come Nabucco impone investimenti significativi, che non potranno essere accordati finché le prospettive di redditività risultino un po' più chiare, ovvero siano state risolte le tante incognite che ne hanno impedito sino ad ora la realizzazione. Una di queste – quella fondamentale – riguarda la quantità di gas che effettivamente la pipeline riuscirebbe a trasportare. Secondo i dati del governo americano – una fonte, dunque, non certo sospettabile di voler sminuire il valore potenziale del gas estraibile dai paesi del Caspio – se le riserve di gas della Russia, nel 2008, ammontano al 27,16%, quelle dell'Iran al 15,33 % e del Qatar al 14, 64 %, l'insieme dei tre paesi rivieraschi del Mar Caspio non copre più del 2% delle riserve mondiali.
Il gas che Nabucco potrebbe trasportare, allora, sarebbe del tutto insufficiente, non solo per giustificare l'entità dell'investimento, ma soprattutto per divenire l'arma della liberazione dell'Europa dalla dipendenza da Gazprom. La strategia energetica dell'Europa, insomma, deve essere redatta con e non contro Mosca, e non può neppure ignorare la necessità di coinvolgere l'Iran. Nabucco, insomma, è un canale aggiuntivo, non alternativo alle forniture garantite dai due principali produttori di gas naturale. “Si deve accettare che, trasportando anche gas russo, il gasdotto venga costruito con e non contro Gazprom. È questa prospettiva che nel Rapporto si suggerisce alla Francia di sottoporre ai partner della Ue.”

Si aggiunga a questo, il problema della Turchia, terminale finale del gasdotto europeo, ovvero la sua affidabilità. Chi garantisce, infatti, che la Turchia – nel vivo di una fase di sviluppo economico che la rende particolarmente affamata di energia - non si tenga per sé il gas che le arriva dal Caspio, invece di liquefarlo e spedirlo alle diverse destinazioni europee? La “Carta dell'Energia”, che la Turchia ha ratificato, prevede che l'unico diritto che può rivendicare un paese di transito è il pedaggio, il cui ammontare viene fissato sulla base di convenzioni internazionali.
Nonostante le garanzie fornite da Ankara, tuttavia, in Europa si dubita sulla sua assoluta buona fede. Ben si capisce, infatti, quale interesse possa avere la Turchia a capitalizzare il ruolo di hub dell'energia, che Nabucco le garantirebbe, sfruttando la posizione di “monopolio” per agire sui pedaggi. Infine, un cenno viene fatto alle grandi prospettive offerte dall'Unione mediterranea. I progetti concreti che potrebbero essere avviati tra la costa europea e quella nordafricana del Mediterraneo, offrono infatti all'Europa  opportunità assai promettenti, nell'ambito della differenziazione delle fonti come strumento per il conseguimento della sicurezza energetica europea. Tali opportunità risiedono, innanzitutto, nella natura stessa del Mediterraneo, “mare gassoso” per eccellenza. L'Euromed può dunque rivelarsi un asset cruciale per tutti i partner della Ue e non solo per gli stati meridionali e costieri. Il principio che la Presidenza francese si batterà per affermare in Europa rispetto alle prospettive di una politica energetica comune è quello della “trasparenza”. “Ci vuole più trasparenza sui dati, più trasparenza sui bisogni e più trasparenza sui comportamenti” – si legge nelle conclusioni del rapporto. La sfida è ambiziosa. Ed è interesse di tutti che Nicolas Sarkozy riesca a trovare nei 27 degli alleati responsabili e solidali che accettino di affrontarla, secondo l'agenda stilata dalla Presidenza francese del Consiglio europeo.






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